Il film: Cento Domeniche, 2023. Regia: Antonio Albanese. Cast: Antonio Albanese, Liliana Bottone, Bebo Storti, Sandra Ceccarelli, Maurizio Donadoni. Genere: Drammatico. Durata: 94 minuti. Dove l’abbiamo visto: Anteprima stampa alla Festa del Cinema di Roma
Trama: Antonio è un uomo come tanti con un’esistenza come tante. D’altronde la sua massima aspirazione è vivere una quotidianità placida, senza sorprese o scossoni. L’emozione, dunque, non fa parte delle sue giornate ma questo non rappresenta un cruccio per lui. Anzi, trova una sorta di serenità nelle ritualità che compongono le sue giornate. Sicurezze che ritrova negli affetti familiari, come quello per la madre ormai anziana e l’ex moglie per cui nutre un sentimento di rispetto. A completare l’insieme, poi, ci sono gli amici delle bocce e, ovviamente, sua figlia Emilia. Ma è proprio quando lei annuncia il suo prossimo matrimonio che l’esistenza di Antonio subisce un contraccolpo importante. A gettarlo in una sorta di labirinto senza uscita è la banca dove ha, da sempre, custodito i suoi risparmi. Ora, però, per motivi misteriosi, tutto sembra essere diventato aleatorio e intangibile. Soprattutto la possibilità di organizzare il matrimonio di sua figlia.
Antonio Albanese non è solamente Cetto La Qualunque, Frengo, Mino Martinelli o Pier Peter. E questo, ormai, sembra chiaro. Il suo animo, piuttosto, si avvicina di più a quello del timido Epifanio che non si muove mai senza la sua piantina di Valeriana. Sarà per questo motivo che, nel suo percorso cinematografico, ha portato spesso sullo schermo le vicende di questa piccola umanità, ferita e battuta senza vergogna da una società indubbiamente più scaltra e priva di scrupoli.
Seguendo questo approccio emotivo ed una sorta d’impegno sociale, dunque, ha dato forma ad Antonio Riva, l’ultimo dei suoi sconfitti e protagonista del film Cento Domeniche. Presentato alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma, il film lo vede impegnato nel doppio ruolo di registe e protagonista per tratteggiare una vicenda personale di Antonio che, diviso tra l’amore paterno e la frustrazione economica, si trova a combattere contro l’assurdo come un novello protagonista kafkiano. Sarà riuscito, però, nel tentativo di costruire un racconto quotidiano, emotivo e, al tempo stesso, di denuncia? Scopriamolo nella recensione del suo Cento Domeniche.
Trama: Gli affanni dell’uomo comune
Antonio è un uomo semplice, comune, come tanti. Anche le sue ambizioni, a prima vista, non hanno nulla di eccentrico. Tra le priorità, infatti, c’è la tranquillità della quotidianità, l’immancabile partita a bocce con gli amici di sempre, l’amore per la madre anziana ed un rapporto affettuoso con la sua ex moglie. Più di tutto, però, per Antonio conta la felicità del grande amore della sua vita: la figlia Emilia.
Per questo motivo, quando la ragazza annuncia la volontà di sposarsi, in lui scatta immediatamente l’orgoglio paterno di regalarle la cerimonia dei suoi sogni. D’altronde, per quale motivo ha trascorso molti anni a lavorare come operaio di un cantiere nautico, riuscendo a risparmiare quanto possibile? Per Antonio, dunque, non c’è impegno cui desidera adempiere con tutte le sue forze.
Ma è in questo momento di massima gioia che il sistema intorno a lui comincia a mostrare delle resistenze, degli ostacoli pratici e burocratici sempre più strutturati e, in molti casi, misteriosi. A rappresentare la controparte più difficile con la quale confrontarsi è la banca del piccolo centro in cui vive e che custodisce i risparmi di gran parte della comunità.
L’istituto, infatti, comincia ad avere dei problemi, i direttori si alternano con una velocità impressionante ed Antonio non riesce ad avere ciò che gli appartiene. In questa struttura assurda di rimando costante, in cui il denaro diventa una realtà aleatoria quanto essenziale, si va tratteggiando l’immagine di una società immersa in una profonda crisi economica il cui conto, ancora una volta, viene addebitato all’uomo comune.
Antonio Albanese regista
Si dice spesso che un regista può essere definito autore quando rintraccia un suo stile personale che si riflette sulla messa in scena come sulla creazione dei personaggi. All’interno di questo tratto possono rientrare delle tematiche specifiche oppure delle tipologie di protagonisti. Considerando tutto questo, dunque, ed osservando le scelte fatte per definire la storia di Cento domenica, Antonio Albanese può essere definito come un autore. Anche se molto “giovane”, almeno dal punto di vista creativo.
A definirlo tale, infatti, sono delle caratteristiche evidenti che accomunano il suo lavoro dietro la macchina da presa. La più evidente è, senza alcun dubbio, l’attenzione volta verso l’uomo qualunque. Partendo proprio dalla sua prima regia, Uomo d’acqua dolce, ci si trova di fronte ad un regista interessato a raccontare delle piccole storie quotidiane il cui compito è mettere in luce un protagonismo caratterizzato dalla normalità. Questo vuol dire che i suoi personaggi non mostrano mai delle caratteristiche spiccate e non hanno alcuna presunzione di mettersi in evidenza. Ad accendere la luce su di loro è solo la volontà di Albanese, il cui scopo è utilizzare una quotidianità scontata per narrare l’eccezionalità di diversi borghesi piccoli piccoli.
In questo senso, dunque, Antonio, lo smemorato maestro del suo debutto alla regia, è strettamente collegato con l’Antonio di Cento Domeniche. Entrambi, infatti, sembrano essere vinti da eventi che non riescono e non possono controllare, sorpresi dall’imprevedibilità negativa dell’esistenza che si fa beffe delle loro aspettative. Oltre a questo, poi, ci si trova di fronte a dei personaggi caratterizzati da un’intima dolcezza dal retrogusto malinconico.
Una qualità che sembra anticipare la silenziosa drammaticità del futuro che li attende. Caratteristica, questa, che l’Albanese regista utilizza senza enfatizzare per permettere all’altro sé, quello interprete, di vestirne la normalità. Tirando le somme, dunque, non solo Cento Domeniche dimostra l’intenzione autoriale di Albanese ma anche la sua capacità di confrontarsi con delle vicende in apparenza invisibili. Il tutto utilizzando uno stile rappresentativo dai toni sommessi e senza particolari guizzi ma che ha il pregio dell’essenziale e della concretezza consegnando un percorso credibile. Se non addirittura realistico.
Raccontare la crisi
Con questo film Albanese riesce in un’impresa affrontata da molti ma vinta da pochi. Si tratta della capacità di utilizzare una vicenda intimista e fortemente personale per tratteggiare una problematica universale, se non d’interesse sociale. In questo senso, dunque, il movimento del film va dal piccolo al grande, dall’intimo al condiviso, dal personale al generale. Una scelta che ben si adatta alla volontà di riflettere su un periodo di crisi economica, di sogni infranti e di deficit senza lasciarsi andare a ricostruzioni pedanti, alcune troppo militanti, che cadono in un’inevitabile superficialità.
Molto più centrata, invece, è la scelta di partire dal singolo e rimanere saldamente attaccato al suo percorso, alla scoperta del sogno infranto e alla sua personale sensazione di sconfitta che si riflette nel percorso di molti. Così, attraverso un’esperienza diretta, la tematica della crisi economica e delle aspettative disattese da parte della società abbandonano l’ambito del concetto e si fanno tangibili e reali come gli effetti che hanno sulla vita del singolo.
La recensione in breve
Con questo film Antonio Albanese dimostra di essere un regista con una propria poetica che si esprime nel dare voce alla piccola quotidianità degli invisibili. L'uomo normale, quello senza sorprese o scossoni, infatti, è il protagonista di questa vicenda personale ed universale che, senza artifici o roboanti soluzioni, rimanda quel sentimento di silente sconfitta che alberga nell'animo di molti. Soprattutto a confronto con una società che non si fa custode dei loro sogni.
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Voto CinemaSerieTV.it