Il film: Disquiet, 2023. Regia: Michael Winnick. Genere: Horror, thriller. Cast: Jonathan Rhys Meyers, Rachelle Goulding, Elyse Levesque, Trezzo Mahoro, Lochlyn Munroe, Garry Chalk. Durata: 85 minuti. Dove l’abbiamo visto: Netflix.
Trama: Dopo un incidente d’auto quasi fatale, Sam si sveglia e scopre di essere intrappolato in un ospedale abbandonato da forze misteriose e sinistre che non hanno intenzione di lasciarlo andare.
Horror dimenticabile, Disquiet di Michael Winnick vorrebbe essere una rielaborazione spaventosa della crisi morale di un protagonista assuefatto al lavoro, ma è solo un film di poche pretese che funziona male e con un intento moraleggiante fastidioso. Come vedremo nella recensione di Disquiet, non bastano un paio di figure tremebonde per fare un film di paura coi fiocchi. E se amate questo genere, forse è meglio indirizzarvi da un’altra parte. Anche nel caso foste fan di Jonathan Rhys Meyers, qui in una delle sue interpretazioni più discutibili.
La trama: caccia all’uomo
Sam è un uomo che ha appena lasciato il suo lavoro per mettere in piedi un’azienda tutta sua. Ha una moglie Sarah, incinta del loro primo figlio, a cui non dimostra sempre affetto, preso com’è dalla passione per le altre donne e dagli affari che segue senza tregua. Anche mentre guida. Infatti, complice un’occhiata al cellulare, un giorno si scontra con un camion e viene portato in ospedale. Il risveglio è quanto mai drammatico visto che Sam, di punto in bianco, viene colpito da un paziente in coma apparente che si risveglia per aggredirlo. Cerca di liberarsi di lui uccidendolo, salvo poi scoprire che l’uomo sia tornato al suo posto.
C’è qualcosa che non va in quell’ospedale e Sam vuole scoprirlo. Si veste di tutto punto e cerca di uscire da lì. A questo punto incontra altre persone che come lui segnalano la stessa assurda storia. C’è Monica che stava per sottoporsi a un intervento estetico. Carter, un ragazzo di colore, colpito da un poliziotto che lo credeva autore di una rapina. E Lily, una dottoressa all’apparenza “normale”. Insieme si fanno forza cercando di uscire da lì. Ma uscire sarà la vera soluzione di tutto? Soprattutto, qual è l’uscita giusta da scegliere?
La compagnia del tranello
Pochi generi come l’horror si prestano con così grande efficacia a una rilettura “bassa”. Volendo, in caso di estrema necessità, bastano solo un paio di elementi per fare un ottimo film di paura e non è necessario impiegare budget altissimi o investire su chissà quali effetti speciali. Lo hanno dimostrato Roger Corman e tutti i suoi adepti. Ci vuole un eroe, un luogo buio, la presenza minacciosa di creature malvagie e poco altro a far sobbalzare sulla sedia uno spettatore. A patto che la storia sia ben congegnata e che ci sia un’idea precisa di racconto. Disquiet di Michael Winnick questa pretesa non ce l’ha e rivela da subito la sua natura di “vorrei ma non posso”.
Impossibile non pensare dopo i primi minuti, che Sam sia finito in una sorta di allucinato purgatorio dantesco per espiare i suoi “peccati”. Non è un caso che uno dei personaggi principali, Virgil, l’uomo sulla sedia a rotelle che lo aiuta a riveder le stelle, abbia il nome del compagno di Dante. Ma scegliere tra inferno e paradiso è una questione di libero arbitrio. Così, il regista pensa bene di costruire un’impalcatura debole attorno a un protagonista al centro di due forze contrapposte. Una che lo spinge verso l’empireo, l’altra (ovviamente femminile e ovviamente perturbante) che invece lo vorrebbe tra i dannati.
In cerca della luce
La trama di Disquiet è quanto mai farraginosa e senza colpi di scena rilevanti. O meglio, quelli che ci sono sono talmente assurdi da non avere senso. Inoltre, il protagonista, uno spaurito Jonathan Rhys Meyers, ci appare smarrito come il suo alter ego, al pari di tutto il cast. Cos’è che non funziona, insomma? Che tutto è già scritto e immaginabile, che il coup de teatre spaventoso non lo assaporeremo mai con gusto, visto che tutto si anticipa facilmente. E che i dialoghi siano inverosimili all’ennesima potenza.
Winnick mette dentro un po’ tutto: sangue finto (a ettolitri), un’infermiera cattivissima che sembra la Louise Fletcher di Qualcuno volò sul nido del cuculo, una fotografia così oscura che vien voglia di regolare la luminosità dello schermo, sexy zombies e altre amenità varie. Manca però la direzione precisa del racconto che si perde, come detto, in mille sottotrame insensate. Il regista espande all’inverosimile un’idea anche interessante, ma come succede con gli impasti, allargando sempre di più la storia, si creano dei buchi che poi non si possono tappare. In un’ora e venti di film, scopriamo quanto possa essere complicato vivere in un’allucinazione. Alla fine, tocca semplicemente seguire la luce in fondo al tunnel (sì, c’è anche quella). Una bruttissima copia di Ghost, in sintesi.
La recensione in breve
Disquiet di Michael Winnick è un horror di spessore quasi nullo che vi porterà via 80 minuti della vostra vita. Un tempo che di sicuro potreste impiegare in attività più utili o semplicemente divertenti.
- Il voto di CinemaSerieTv