Il film: Dogman, 20023. Regia: Luc Besson. Cast: Caleb Landry Jones, Jojo T. Gibbs, Marisa Berenson, James Payton. Genere: Thriller, drammatico. Durata: 114 minuti. Dove l’abbiamo visto: All’80° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, in anteprima stampa.
Trama: Un bambino cresciuto in mezzo a molte difficoltà e sopravvissuto ad altrettante tragedie, cresce cercando la salvezza nel rapporto con i suoi cani.
Alla 80° Mostra d’Arte Cinematografica ha commosso e strappato applausi, sia da parte della critica di settore che dal pubblico pagante, e al momento è uno dei primi titoli ad aver convinto entrambe le fazioni un po’ a sorpresa. Stiamo parlando di Dogman, nuovo film diretto dal regista francese di culto Luc Besson che debutterà nelle sale italiane con Lucky Red a partire dal prossimo 5 ottobre. Con protagonista un intenso e camaleontico Caleb Landry Jones, forse già in odore di premio in quel del Lido.
Nella nostra recensione di Dogman ci soffermeremo sui punti di forza e di debolezza di un film curiosamente atipico, che naviga in un tumultuoso mare di manierismo e derive cinematografiche nel quale però regista e interprete principale tengono salda l’attenzione del pubblico, confezionando per il festival di Venezia un lungometraggio piuttosto godibile, nonostante tutto.
La trama: chi ama un cane non sarà mai solo
Douglas è sempre stato un emarginato, fin quando da piccolo, vittima delle violenze del patrigno, aveva come suoi unici amici e confidenti una muta di fedelissimi cani. Ora adulto ma ugualmente tormentato, Douglas possiede ancora questo strano legame inter-specie e lo userà per vendicarsi dei torti subiti, per allontanarsi dal dolore e dai traumi che lo avevano affogato e per mettere in discussione la sua stessa identità di genere. Le conseguenze delle azioni di Douglas saranno imprevedibili, e molto sanguinose.
In concorso alla 80° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e in uscita nelle sale cinematografiche con la distribuzione di Lucky Red a partire dal prossimo 5 ottobre, Dogman è uno dei primi titoli che pare aver insospettabilmente messo d’accordo pubblico e critica di settore. Un po’ inaspettato, visto che da qualche anno il regista francese di culto de Il quinto elemento e Léon non ne azzeccava una. Eppure, ancorandosi a una sceneggiatura originale firmata dallo stesso cineasta e che affonda a piene mani nella struttura e nel linguaggio dei fumetti moderni, firma forse il suo film più compiuto dai tempi de Il quinto elemento con Bruce Willis e Milla Jovovich.
Dogman è il nuovo Joker?
Impossibile non pensare al Joker di Todd Philips quando si guarda per la prima volta il nuovo lungometraggio di Luc Besson. Dal linguaggio sporco, ombroso e malfamato che utilizza il regista per raccontare l’infanzia difficoltosa di Douglas fino al rapporto con la sua famiglia bifolca, passando per i primi amori non corrisposti e il suo feeling innato con i cani, Dogman è l’ennesimo inno agli ultimi della società contemporanea occidentale, agli individui con disturbi mentali e alle conseguenze di un mondo che non lascia spazio ai traumi e alla sensibilità. Non è tra l’altro un caso che il film di Luc Besson sembri ricalcare la struttura e i cliché degli albi a fumetti della modernità, costruendo sul volto e la fisicità dell’ottimo Caleb Landry Jones un prototipo di villain che pare per l’appunto uscito da una graphic novel realistica e violenta.
Non una novità nel cinema del regista francese, che con i suoi successi più riconoscibili (vedansi Nikita, Il quinto elemento e lo stesso Léon) aveva attinto a piene mani, pur con sceneggiature assolutamente originali, da stilemi ed elementi tipici del fumetto degli ultimi decenni. Dogman non fa di certo eccezione, presentandosi al suo pubblico come un curioso, seppur derivativo e prevedibile inno agli ultimi, che sa intrattenere a dovere senza però risultare indimenticabile.
L’intensità di Caleb Landry Jones
Nonostante ciò, non ci sorprenderemmo se la giuria di Venezia 80 che assegnerà il Leone d’Oro e tutti i riconoscimenti corollari premiasse con la Coppa Volpi al miglior interprete maschile il ferino Caleb Landry Jones, che segue rispettosamente l’andamento della sceneggiatura originale firmata da Luc Besson e salva in corner il lungometraggio in concorso alla kermesse veneziana dall’essere tutto tranne che fiore all’occhiello della carriera dietro la macchina da presa del cineasta francofono.
Nei panni del fragile e imprevedibile Douglas, Landry Jones mostra al pubblico tutta la gamma del suo innato talento, dando vita a un ritratto di trauma infantile che affronta con istrionismo e proprietà recitative camaleontiche dolori del passato, amore per il suo “esercito” di fedelissimi a quattro zampe e una verve per il travestimento femminile che mette in discussione la propria vita passata e la propria identità con conseguenze imprevedibili e di grande impatto emotivo nel pubblico di spettatori più ignaro. Forse, alla fine della fiera, l’unica nota veramente intonata quella cantata dall’attore principale, che rende il Dogman di Luc Besson meritevole di una visione sul grande schermo.
La recensione in breve
Derivativo e con poche cose originali da raccontare, il nuovo film di Luc Besson continua a esplorare le infinite possibilità del cinema ispirato al mondo dei fumetti che lo stesso regista francese aveva già affrontato nella sua carriera con risultati spesso altalenanti. Per fortuna, però, c'è Caleb Landry Jones, che dona spessore ed empatia al bizzarro protagonista.
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