Il film: Downtown Abbey – il film, 2019. Regia: Michael Engler. Cast: Hugh Bonneville, Elizabeth McGovern, Michelle Dockery, Laura Carmichael, Maggie Smith, Joanne Froggatt, Rob James-Collier, Sophie McShera. Genere: Drammatico/Storico. Durata: 122 minuti. Dove lo abbiamo visto: su Netflix.
Trama: È il 1927 e mentre i tempi si muovono veloci all’esterno, nelle antiche mura della tenuta di Downton arriva un messaggio che ha il sapore del passato. Direttamente da Buckingham Palace, infatti, è stata inviata una lettera per avvisare che il re e la regina arriveranno in visita proprio nella casa dei Crawley. Una notizia che immediatamente mette in subbuglio la quotidianità della casa ma che, allo stesso tempo, inizia a evidenziare alcune insofferenze personali. L’arrivo dei reali, infatti, mette in moto in ognuno una serie di riflessioni più o meno silenziose sul valore dell’appartenenza, della tradizione e delle consuetudini sociali. Così, pur rispettando l’evento e l’importanza che questo ha per i membri più anziani della famiglia, molti di loro aprono gli occhi e le aspettative a un mondo diverso. Tutti tranne il personale di servizio che, vivendo nella sottile linea che divide il proprio universo da quello della famiglia, nel mondo reale già vive e combatte.
Quando nel settembre del 2010 venne trasmessa in Gran Bretagna la prima puntata dalle serie tv, il suo creatore Julian Fellowes e gli sceneggiatori Shelagh Stephenson e Tina Pepler non avrebbero mai immaginato la risonanza che questa storia d’altri tempi avrebbe avuto a livello internazionale.
In effetti il progetto di Downton Abbey ha delle potenzialità evidenti per attrarre un’audience prettamente britannica, ripercorrendo un passato storico e sociale che appartiene alla struttura culturale delle persone da generazioni. Per questo motivo quando le vicende dei Crawley, una famiglia appartenente all’aristocrazia durante l’epoca edoardiana, hanno conquistato l’attenzione di un pubblico ben più vasto si è rimasti sorpresi.
Un successo che non solo è valso a Downton il prolungamento della vicenda per ben sei stagioni, ma le ha fatto ottenere anche molti riconoscimenti come show più acclamato dalla critica nel 2011, mentre l’anno successivo, grazie alle nove nomination agli Emmy, è diventato lo show televisivo non americano con maggior nomination nella storia della televisione.
Come se non bastasse, poi, tutto questo ha scatenato anche il fenomeno del così detto turismo cinematografico o televisivo. Questo vuol dire che, arrivando in vacanza a Londra, molti turisti non hanno resistito alla tentazione di una “gita fuori porta” nell’Hampshire per visitare la tenuta ed il palazzo storico che ha ospitato le riprese della serie.
Ma perché è stata scelta proprio questa location? Non tutti sanno che dietro il nome immaginario di Downton in realtà si nasconde il castello di Highclare, di proprietà del Conte e della Contessa di Carnarvon, amici di famiglia del creatore Julian Fellowes. Anzi, la “storia” vuole che Fellowes abbia scritto questa storia pensando proprio alla residenza storica dei suoi amici.
Palazzi e nobiltà a parte, però, il fascino di questa serie si deve soprattutto ai due universi, quello dei proprietari e della servitù, che si muovono in parallelo, spesso trovando più di una connessione tra loro. E in questo andamento all’unisono, anche se su piani apparentemente diversi, raccontano i cambiamenti del mondo e, soprattutto, l’evoluzione sociale dei tempi.
Per tutti questi motivi, dunque, non stupisce che, dopo la fine della serie nel 2016, sono trascorsi solamente tre anni prima di veder tornare tutti i membri della famiglia Crawley al completo. Questa volta, però, ad accoglierli è il grande schermo. Nel 2019, infatti, viene presentato Downtown Abbey – Il flm, diretto da Michael Engler.
La vicenda è ambientata nel 1927 e, questa volta, ad animare la vita del palazzo è un annuncio importante ed inaspettato: i sovrani d’Inghilterra stanno per arrivare a Downton Abbey, ospiti per una notte. Un evento che, ancora una volta, punterà l’attenzione sulle divisioni sociali che, però, si fanno sentire anche nei piani bassi del palazzo. Consuetudini che, in un decennio, saranno spazzate completamente via dal secondo conflitto mondiale.
Nonostante i venti del cambiamento si facciano già sentire, però, ora siamo ancora in piena convinzione monarchica, un elemento che, come vedremo nella recensione di Downton Abbey – Il film, ora disponibile su Netflix, avrà il suo peso nella gestione della vicenda e nell’evoluzione dei personaggi.
La Trama: Dio benedica il re
La vita a Downton scorre nella completa normalità nei piani superiori, dove si muove per intero la famiglia dei Crawley, e in quelli inferiori dove fa altrettanto quella formata dal personale di servizio. La serie televisiva aveva chiuso la sua narrazione con un cambio importante proprio all’interno di questo nucleo. Lo storico maggiordomo Mr Carson, dallo stile imperturbabile e dotato di uno certo snobismo, cede il testimone al giovane Thomas Barrow, il personaggio che, umanamente parlando, ha vissuto l’evoluzione più importante.
Per il resto tutto è invariato. John Bates e la sua dolce Anna sembrano aver finalmente trovato la tanto desiderata tranquillità, mentre Daisy continua le sue scaramucce in cucina con la vigorosa Mrs. Patmore. Questo fino a quando da Lord Robert Crawley non arriva una notizia in grado di creare scompiglio ed emozione: il re e la regina arriveranno a Downton per una visita ufficiale. Ciò vuol dire mettere la casa in un’attività febbrile capitanata dalla stoica Lady Mary, sempre più simile per forza e capacità di comando alla volitiva nonna Violet. Ad essere più eccitato di tutti, però, è il personale di servizio che, all’idea di poter servire i sovrani, si fa vanto di un onore raro.
Peccato, però, che le consuetudini di corte sono destinate ad abbattersi come un uragano sulla gestione quotidiana della tenuta, sovvertendo ordine e divisioni sociali. Il personale di servizio di Casa Reale, infatti, piomba su Downton come fossero delle stelle di prima grandezza, mettendo in ombra chi quella casa la conduce e la conosce quotidianamente. Ed è così che, mentre la famiglia è impegnata nei suoi doveri sociali, nelle cucine e nelle stanze della servitù si consuma una piccola rivoluzione. Lo scopo è riprendere il controllo della casa e far valere le proprie ragioni. Di fronte a tanto movimento, i membri della famiglia rispondono con un’attività forse meno evidente ma ugualmente importante. Attraverso i dubbi e la stanchezza di Lady Mary e la difficoltà di Edith nel vivere una quotidianità senza scopo, si sentono forti i venti di un cambiamento inarrestabile. Tra tutti, poi, spicca Tom che, oggi più che mai, rappresenta l’inutilità del divario sociale e di quanto questo, a breve, non avrà più alcun senso.
Ritorno a Downton, il tempo che passa
Uno dei motivi alla base del successo della serie televisiva è, molto probabilmente, la sua capacità di consegnare una fotografia sociale dell’epoca attraverso gli eventi più importanti dei primi anni del Novecento. Così tutto inizia con la notizia detonante della tragedia del Titanic nel 2012, attraversa il dramma della Grande Guerra e le epidemie per poi arrivare agli anni Venti. Un periodo fatto di grande modernità dove la moda, i costumi e la cultura stessa stanno iniziando a raccontare anche la storia delle donne. Un viaggio temporale di cui, poi, non si è mai sentita la pesantezza, visto che è stato saggiamente cucito alla perfezione sulle forme caratteriali ed evolutive dei singoli personaggi. In questo modo tutti loro, nobili e personale di servizio, sono stati delle voci narranti di una storia ben più universale.
Inevitabile, dunque, che questa caratteristica narrativa ritornasse anche nella scrittura del film. In questo caso, però, si deve gestire la riflessione e l’evoluzione attraverso una temporalità sicuramente più breve rispetto a quella di una lunga serialità. Una necessità che ha comportato, forse, un pizzico di superficialità nella narrazione culturale, rispetto a quanto era consuetudine. La velocità del linguaggio cinematografico e l’esigenza della sintesi, dunque, ha portato a velocizzare alcune percorsi che, in altre occasioni, avrebbero chiesto maggior tempo per trovare una loro compiutezza.
Nonostante questo, però, il mondo esterno alla famiglia Crawley è riuscito a fare mostra di sé grazie, soprattutto, alla familiarità con i protagonisti e il loro background. E a dare mostra del trascorrere del tempo sono soprattutto i personaggi femminili. Dai dubbi di Lady Mary sull’opportunità di mantenere i fasti di Downton, passando per le insofferenze personali di Edith, i timori di una dama di compagnia finalmente liberata dai gioghi sociali del passato e una figlia illegittima che ottiene il suo riconoscimento davanti al mondo, tutto parla di un mondo femminile che sta mutando. I passi per ottenere una completa liberazione sono ancora molti, ma i mutamenti più importanti arrivano nell’intimo, nei pensieri e nelle intenzioni concretizzate nel proprio quotidiano. In questo senso, dunque, la visita reale rappresenta un escamotage narrativo grazie al quale mettere in movimento tutta questa complessa narrazione personale, composta da varie voci e toni diversi.
Il volto della monarchia
Nonostante sia ambientata nel passato e da questo tragga la sua principale ispirazione, Downtown Abbey – Il film risente del tempo più di quanto non possa sembrare a prima vista. In modo particolare a mostrare i segni di questo rapporto con l’attualità, forse anche inconsapevole, è il modo in cui vengono gestite e descritte le figure dei reali. Così, mentre The Crown tende a mostrare i Windsor in una sorta di realismo romanzato che non gioca sempre a loro vantaggio, in questo caso ci troviamo di fronte a un racconto più umano e naturalmente imperfetto della regalità.
Andando oltre una facciata di cortesie, riverenze e cerimonie, infatti, si mostrano anche le fragilità degli uomini e delle donne che indossano una corona. Una visione e un atteggiamento che, molto probabilmente, è frutto di una smitizzazione della regalità avvenuta a colpi di gossip, divorzi e tragiche scomparse negli ultimi trent’anni. Perché che lo si voglia ammettere o meno, la presenza di Lady Diana sulla scena sociale e culturale ha portato a dei cambiamenti fondamentali d’immagini e di percezione da parte dell’esterno.
L’evidenza della sua infelicità e le vicende sempre pubbliche della sua vita, hanno reso le mura dei palazzi reali incredibilmente trasparenti. Allo stesso modo i loro abitanti non hanno avuto poi molte possibilità per nascondere le umane miserie. Tutte eventi culturali, questi, particolarmente importanti per il mondo britannico e che hanno trovato uno spazio espressivo anche nel film di Downton Abbey. Non è certo un caso, infatti, che venga presentato il personaggio di una “principessa triste”, destinata a un matrimonio infelice di cui desidera liberarsi, mentre le altre sue coetanee dibattono animatamente con loro stesse sulla necessità di non aderire a nessun tipo di ruolo sociale imposto da altri.
In questo senso, dunque, i concetti di appartenenza, dovere, aspettativa e orgoglio personale assumono un valore diverso e più moderno. Anche l’attivismo politico di Tom muta la sua forma. Per alcuni, forse, potrebbe apparire meno incisivo e indebolito da un compromesso cui si è piegato. In realtà non è accaduto nulla di tutto questo, se non una maturazione del pensiero e del comportamento, entrambi gestiti attraverso un ragionamento democratico che sa di contemporaneità.
La recensione in breve
Il film di Downton Abbey riprende alla perfezione le atmosfere della serie televisiva confidando soprattutto del rapporto affettivo che il pubblico ha stretto con molti personaggi. Per questo motivo, ad esempio, il nuovo percorso narrativo non rinuncia a nessuno di loro. Anzi, gli affida il ruolo essenziale di sopperire alla sintesi del linguaggio cinematografico per rendere comunque compiuto l'arco evolutivo del racconto.
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Voto ScreenWorld