Il film: Dracula di Bram Stoker, 1992. Regia: Francis Ford Coppola. Cast: Gary Oldman, Winona Ryder, Keanu Reeves, Anthony Hopkins, Sadie Frost, Monica Bellucci. Genere: Horror. Durata: 128 minuti. Dove l’abbiamo visto: in televisione.
Trama: Jonathan Harker è incaricato di concludere un affare per conto del conte Dracula, eccentrico signore della Transilvania. Una volta osservata una fotografia di Mina, fidanzata di Harker, il conte si convince che sia la reincarnazione dell’amata Elisabeta e diviene ossessionato da lei. Harker e Mina non sanno che il conte nasconde un terribile segreto.
Sono passati esattamente vent’anni dalla realizzazione e dall’uscita in sala di Dracula di Bram Stoker, girato da Francis Ford Coppola due anni dopo la conclusione della trilogia del Padrino (con il terzo capitolo uscito nel ’90) e ben quattro anni prima del suo film successivo, Jack. E risulta piuttosto complicato, ancora oggi e nonostante la ricchissima concorrenza, immaginare un Dracula più inobliabile ed emblematico di quello rappresentato da lui insieme a Gary Oldman, che veste i panni dell’enigmatico conte dedicandogli tutta la propria anima e sapienza d’attore. Nella nostra recensione di Dracula di Bram Stoker proveremo ad analizzare come il film di Coppola riesca a essere amato oggi più che mai, ancor più che vent’anni fa.
Trama: da Costantinopoli a Londra
Dopo la presa di Costantinopoli i Turchi minacciano l’integrità del mondo cristiano invadendo l’Europa. Un cavaliere romeno del Sacro Ordine del Dragone, di nome Vlad Draculea “l’Impalatore”, si batte con la sua armata in difesa della Chiesa e torna vittorioso in patria. Tuttavia, qui Vlad scopre che sua moglie Elisabeta si è tolta la vita gettandosi da una torre: era appena venuta a conoscenza della morte dell’amato in battaglia per conto dei Turchi, intenzionati a diffondere la falsa notizia per vendetta. Per il suo suicidio, Elisabeta viene sentenziata alla dannazione eterna da un sacerdote. L’ira di Vlad si scaglia contro la Chiesa tutta e Dio stesso, scatenando forze che lo trasformano in una demoniaca creatura assetata di sangue: il vampiro Dracula.
Nel 1897 Jonathan Harker viene incaricato da una ditta di completare l’acquisto di case londinesi per conto dell’eccentrico conte Dracula, residente in Transilvania. Giunto nel castello dell’ambiguo signore Harker mostra a Dracula una foto della sua fidanzata, di nome Mina: il conte ravvede nell’immagine della donna le stesse fattezze dell’amata e compianta Elisabeta, morta quattro secoli prima. Se ne ossessiona a tal punto da costringere Harker a trattenersi per un mese nel suo castello, affinché possa recarsi a Londra per perseguire l’obiettivo di conquista della bellissima Mina. Nel frattempo Harker ha già compreso la natura aberrante del conte e i segreti mostruosi che si celano nella sua vetusta dimora, ma Abraham Van Helsing, docente universitario interessato al fenomeno del vampirismo, sta seguendo le tracce della belva da molto tempo ed è intenzionato a fermarla.
Un ritorno al passato
Nella memoria collettiva gli anni Ottanta sono connessi a un’idea di vampire movie che ha ben poco da spartire con i succhiasangue Universal. Dal western-vampire movie di Kathryn Bigelow, Near Dark, alla commedia nera Vampire’s Kiss, fino a The Hunger di Tony Scott e a The Lost Boys, teen black comedy di Joel Schumacher, il vampirismo era stato declinato in ogni accezione possibile per conquistare una fetta di pubblico oltre i nostalgici dei mostri Universal e cercare di accordarsi ai setting realistici dello slasher horror in voga fra i giovani. Persino Fright Night, omaggio cristallino e dogmatico alla tradizione, è per metà infuso di quelle atmosfere eighties che accompagnano il fenomeno del vampiro urbano. Il mostro cessa di essere un reietto che il protagonista dovrà raggiungere in un luogo esiliato dal mondo e si trasferisce nei sobborghi della città, travestendosi da insospettabile vicino di casa.
Non c’è più posto per Dracula nel cinema mainstream perché l’impalcatura narrativa che lo contraddistingue non è più adatta a soddisfare le esigenze di questo nuovo pubblico. Almeno finché Francis Coppola non lo fa riemergere con mirabile coraggio e un titolo che è tutto un programma: Bram Stoker’s Dracula, a testimoniare il giuramento di assoluta fedeltà nei confronti del romanzo-monumento di partenza. Un giuramento azzardato, sia in vista delle licenze poetiche che pure non mancano, sia in vista della potenziale reazione di uno spettatore reduce da uno sperimentalismo intenzionato a recidere il cordone ombelicale con il classicismo, su ogni fronte culturale.
Un omaggio al cinema fantastico
Eppure il Dracula di Coppola è diventato, per quello spettatore, semplicemente Dracula: il Dracula definitivo, l’unico in grado di competere con il primordiale Nosferatu europeo (che sta per avere un remake) e il supremo Lugosi di casa Universal. È riuscito a farlo per mezzo di un paradosso inevitabile, mutando profondamente per riuscire a rimanere conforme, e tramutando la figura del conte sanguinario in una rielaborazione riflessiva sul cinema stesso. Non è tanto il cinema lo strumento usato da Coppola per raccontare Dracula, quanto più Dracula lo strumento adoperato dall’autore e regista per narrare il cinema: se i primi esempi di gotico cinematografico dovevano nutrirsi della letteratura, Coppola si nutre delle immagini di Cocteau, di Bava, di Murnau per proclamare il primo dei vampiri come incubo filmico a pieno diritto e il film come veicolo ideale dell’incubo. Vlad scivola dalla sua dimensione umana a quella animalesca, per poi tornare nuovamente a vestire i panni di un dandy londinese e ammaliante, con la stessa abilità per mezzo di cui sguscia dalla giovinezza all’anzianità, dal passato al presente, “attraversando gli oceani del tempo” nel fotogramma necessario al film per passare da una scena all’altra, da uno spazio all’altro, stabilendo un legame perpetuo fra cose che al di fuori del linguaggio cinematografico sarebbero lontanissime.
Il gotico e l’incertezza del doppio
L’afflato esotico del prologo contro la Londra industrializzata in cui si muovono i personaggi; la duplice Mina-Elisabeta da ri-amare contro Lucy, da cannibalizzare; e, ancora, la bestia contro l’uomo, la Chiesa contro l’individuo, il sesso contro la verginità, l’appetito contro l’illibatezza. Coppie oppositive che Coppola pone al cuore della sua opera trasgredendo però la prima regola del gotico, cioè di tracciare un confine netto all’interno di queste, e fra il bene e il male. Qual è il confine fra l’amore di Mina e la punizione di Lucy? L’aberrante e l’incantevole si amalgamano, l’osceno arpiona con la forza alcuni ma con la passione altri, aprendo uno specchio sul suo mondo che rimane irresistibile fino alla fine.
Il vampiro è un virus che trasforma le donne da lapdogs, da cagnolini da salotto, a feroci lupi. Mina e Lucy, come le altre eroine del vampire movie, contraggono la malattia proprio quando la loro funzione esistenziale sembra limitarsi a quella del cagnolino da salotto di una cerchia ristretta di nobili e aristocratici che non vorrebbero mai perdere il controllo sulla loro castità. Dracula torna a essere lo strumento usato per sconfessare le ossessioni e le ansie dell’uomo moderno riguardo la sessualità femminile e, di riflesso, la propria. Da Coppola in poi, lo spettatore non riuscirà più a vedersi nei Jonathan Harker che verranno.
La recensione in breve
Dracula di Bram Stoker è una rilettura rivoluzionaria della creatura gotica per eccellenza. Francis Ford Coppola affida al conte Vlad la metafora perfetta delle ansie dell'uomo moderno e la sua opera gotica è un continuo omaggio che riconosce nelle opere di Murnau, di Bava e di Cocteau le fondamenta per il genere cinematografico, ormai indipendente dalla letteratura. Il film, romance perfetto in sospeso fra melodramma e orrore, è ormai un cult indiscusso.
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