Il film: Educazione Fisica, 2022. Regia: Stefano Cipani. Cast; Giovanna Mezzogiorno, Sergio Rubini, Claudio Santamaria. Genere: Drammatico. Durata: 88 minuti. Dove l’abbiamo visto: in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2022.
Trama: Un gruppo di genitori sono riuniti in una palestra scolastica su convocazione della preside che vuole metterli al corrente di una brutale vicenda nella quale sembrano essere coinvolti i loro figli.
Oltre ad apporre la propria firma su alcuni dei più interessanti film del panorama italiano degli ultimi anni, i Fratelli D’Innocenzo firmano anche sceneggiature che affidano poi alla direzione di altri cineasti. Educazione fisica è uno di questi casi, adattamento per il cinema a partire dall’opera teatrale La palestra di Giorgio Scianna la cui regia è affidata a Stefano Cipani (Mio fratello rincorre i dinosauri).
Come andremo a vedere nella nostra recensione di Educazione fisica, presentato in anteprima alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, il film pone al suo centro il tema della brutalità umana, declinata nelle sue forme più grette, ottuse dall’ignoranza e dalla paura, non riuscendo però a conciliare appieno la ferocia del suo portato a toni quasi da black humor.
La trama: alcune dure verità
Educazione fisica inizia quasi come un western: la prima inquadratura dall’alto che vede entrare alcune persone all’interno di una scuola fatiscente preannuncia uno stallo prolungato. Nello stacco che segue siamo dentro la palestra dell’istituto, uno stanzone dimesso, pieno di attrezzi arruginiti, pareti sporche, vetrate quasi tutte incrostate e rotte. Saremo qui per la successiva ora e mezza di film, in compagnia di alcuni genitori che sono stati convocati dalla preside per discutere di un brutale evento in cui sembrano coinvolti i loro figli.
Ci sono inizialmente solo un padre (Claudio Santamaria) e una madre (Raffaella Rea), il primo sposato e la seconda divorziata, legati da una relazione clandestina e con i rispettivi figli che li attendono fuori dalla struttura mentre giocano a calcio. Poi arriva una coppia di lungo corso (Sergio Rubini e Angela Finocchiaro), con un figlio adottato e anche lui apparentemente coinvolto nella questione. Il gruppetto, stampato a calco sui differenti toni dello spettro sociale (l’uomo di successo, la donna indipendente altolocata, gli umili da circuire con le belle parole), si interroga sul perché di questa anomala riunione mentre si definiscono e si collocano sullo scacchiere i singoli caratteri.
Ma il velo verrà sollevato solo all’arrivo della preside (Giovanna Mezzogiorno), che li mette al corrente di un’accusa di stupro di gruppo mossa ai ragazzi da una compagna di scuola che li ha identificati come gli autori della barbarie avvenuta ai suoi danni. Da qui il film inizia a sciorinare in maniera quasi programmatica e sotto iperbole le reazioni di questi genitori, che paiono non voler sentire ragioni e fanno scivolare la situazione in un vortice di isteria e aberrazione.
Un’opera ingessata dove c’è solo il bianco e il nero
Appare quindi chiaro come il tema messo sul banco da Educazione fisica sia estremamente sensibile. E interessante può risultare il modo in cui l’opera vuole approcciare la questione rintracciandone le matrici all’interno del nucleo familiare, riflesso anche di un contesto sociale, ragionando sui gradi di influenza implicita ed esplicita sulla e dalla quale le nuove generazioni sono plasmate.
Ma a dispetto di un titolo molto brillante, il film pare snocciolarsi con davvero poca raffinatezza nel proporre e descrivere le patologie interne alle quali si vuole far ricondurre un certo tipo di discorso sulle cause. Lo si nota a partire dai singoli caratteri dei personaggi, che scontano la natura teatrale e accusano un adattamento che pare riportarli sullo schermo cinematografico di sana pianta rispetto a come si animano sul palco.
Devono necessariamente rispondere all’esigenza di porsi come figure archetipiche, modelli negativi in cui far convogliare le storture che afferiscono a certi individui, formatisi in certi ambiti e sottoposti a un certo tipo di pressioni. Dallo script ne escono però fuori rigidi, stereotipati, manchevoli di un qualsivoglia tipo di sfumatura e ritratti, forse anche a causa di una direzione degli attori non eccelsa, come statue di gesso che dichiarano ad alta voce la loro monolitica natura maligna (il personaggio e l’interpretazione di Santamaria ne sono il perfetto esempio).
La dissonanza tra la ferocia del tema e un tono disomogeneo
Si potrebbe magari appuntare che questo effetto di graniticità delle figure portate su schermo da Educazione fisica sia un qualcosa che il film tenta di ricercare. In parte potrebbe anche essere così, ma un significativo evento che avviene a un certo punto dell’opera e soprattutto il tono attraverso il quale il tutto è veicolato paiono aumentare sempre più la distanza tra le intenzioni di resa e la resa effettiva.
Se in un primo momento il grottesco del film sta addosso a questi individui così quadrati nel mostrare la propria dimensione meschina ed egoista, nell’incedere in avanti inizia a sgomitare per prendersi più spazio un’ironia che con la sua ferocia accarezza quasi il black humor. Il problema però sta in un passaggio netto, repentino dalla violenza raccontata ai genitori secondi i codici del dramma (inevitabile visto il tema delicato, anche se formulati con ridondanza), e il modo in cui Educazione fisica crea dei siparietti da facile risatina che agiscono in maniera dissonante rispetto a ciò che sta cercando di trattare.
I numerosi e piatti piani d’ascolto del film e un accompagnamento sonoro che segue una via tutta sua di certo non aiutano a donare uniformità agli intenti dello script dei D’Innocenzo, ma è francamente difficile passare sopra al fatto che più si procede più le ragioni del perché siamo all’interno di questa palestra finiscono per scivolare in secondo piano, gli accusatori da una parte, gli accusati da un’altra e carnefici e vittime nel fuori campo.
Quel che resta al termine di Educazione fisica è una fiacca disamina sui confini morali dell’umanità, riconosciuta sotto i termini del bianco e nero e mai realmente indagata nelle distanze che separano le responsabilità etiche dal tornaconto personale.
Ad essere ben più grave è però la confusione di un film che mescola colpevolmente l’umoralità all’importanza del tema, dove il secondo a un certo punto diventa accessorio della prima, carburante per alimentare una messa in scena farsesca che smarrisce la via e non assume una vera responsabilità sull’orrore che vorrebbe discutere al di fuori di un banale meccanismo ai limiti del giocoso.
La recensione in breve
Stefano Cipani dirige Educazione fisica, film la cui sceneggiatura è firmata dai Fratelli D'Innocenzo a partire dall'opera teatrale La palestra di Giorgio Scianna. Ne esce fuori un racconto incapace di conciliare la brutale aberrazione del suo tema e dei suoi personaggi a un tono quasi da black humor, finendo con colpa per perdere la bussola del discorso.
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