Il film: El Conde, 2023. Regia: Pablo Larraín. Cast: Jaime Vadell, Gloria Münchmeyer, Alfredo Castro. Genere: Dark Comedy, satirico, horror. Durata: 110 minuti. Dove l’abbiamo visto: Alla 80° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Trama: Augusto Pinochet è un vampiro centenario che si nutre di sangue e cuori umani. Dopo aver finto la morte vorrebbe vivere in pace, ma una suora esorcista è pronta a tutto pur di liberare il Cile dalla sua presenza…
Pablo Larraín torna a Venezia – dopo Jackie, Ema e Spencer – con l’ennesimo titolo capace di dividere ma al contempo di colpire profondamente il pubblico. Coadiuvato dalla forza produttiva di Netflix, l’autore cileno confeziona una storia inaspettatamente e deliziosamente folle, completamente diversa da quello che ci saremmo aspettati da lui…
Come vedremo in questa recensione di El Conde, infatti, l’ultima opera di Larraín è una commedia satirica più nera che mai, in cui una figura classica del genere horror – il vampiro – si fa strumento per rielaborare la storia del Chile, “esorcizzandone” con l’umorismo gli elementi più oscuri. El Conde non è un film del tutto riuscito, ed è forse lontano dalla perfezione formale di spencer e Jackie, ma non si può dire che non abbia un cuore (sanguinolento e pulsante).
La trama: un vampiro in Cile
Il nuovo film di Pablo Larraín parte da una premessa particolarmente accattivante: e se il famoso (e terribile) dittatore cileno Pinochet fosse in realtà un vampiro? Nato nella Francia della fine del Settecento, Claude Pinoche (Jaime Vadell) scopre di essere una creatura assetata di sangue e di cuori umani. Fin da subito scopriamo che Pinoche è un fervente sostenitore della monarchia e dello status quo, la Rivoluzione lo sconvolge infatti profondamente (al punto da trafugare la testa di Maria Antonietta dalla sua tomba) e lo spinge a lasciare il suo Paese per un altro, il Cile, in cui vivere secondo i suoi principi. Ed è in quel piccolo angolo di mondo che il vampiro cambia identità (da Pinoche a Pinochet) e trova la sua vera natura nella vita militare (di giorno) e in quella di cacciatore (di notte).
Divenuto il dittatore che tutti conosciamo, Pinochet governa il Cile con pugno di ferro per oltre vent’anni, sposato con una donna altrettanto crudele, Lucia (Gloria Münchmeyer), e con una dinastia di figli egoisti e attaccati al denaro. L’idillio però si interrompe quando il generale (che dai più intimi si fa chiamare “il conte”) viene accusato di frode fiscale e, indignato per l’ignobile (ma ovviamente fondata) accusa decide di fingere la sua morte e di ritirarsi a vita privata in campagna con la moglie. La sua voglia di sangue non sembra essersi sopita e, una serie di morti misteriose iniziano a flagellare la città di Santiago. Quando i suoi figli lo raggiungono nell’isolato rifugio, pronti a chiedergli spiegazioni sugli omicidi avvenuti in città (ed ad estorcergli altri soldi), vengono seguiti da una suora (Paula Luchsinger) in incognito che vorrebbe debellare i male che insidia il Paese…
Tante, forse troppe, idee
Le premesse della storia imbastita da Larraín sono senza dubbio uniche ed originali: l’idea di rielaborare la memoria storica cilena – e di conseguenza un argomento così delicato come quello della dittatura – come se fosse una dark comedy colpisce a fondo lo spettatore, che ne coglie comunque le brutture anche se raccontante con un linguaggio così particolare. La metafora messa in scena dall’autore, pur non essendo molto sottile, è a suo modo particolarmente efficace, riesce infatti a veicolare con chiarezza una critica sociale e politica più feroce che mai.
El Conde è un film ricco di spunti a dir poco geniali (in particolare un’idea sul finale che non vi sveliamo ma che vale davvero la visione) ma che si perde in una narrazione dal ritmo a tratti un po’ strascicato, soprattutto nella parte centrale. La libertà data da Netflix a Larraín di lavorare completamente a briglia sciolta è palpabile, e a volte si ha la sensazione che l’autore non sia riuscito ad imbrigliare nella maniera giusta le troppe idee ed i troppi spunti. Non ci sono dubbi che l’argomento sia particolarmente sentito dal regista cileno, e forse proprio per questo non è stato capace di infondere al suo film quel più distaccato senso di compiutezza formale che invece apparteneva alle sue precedenti opere.
Il confronto con le opere precedenti
È infatti proprio nel confronto con titoli come Spencer e Jackie il maggior disservizio all’ultimo film di Larraín, ne El Conde manca infatti quell’estrema delicatezza – sia dal punto di vista visivo che della narrazione – che ci aveva fatto così tanto amare le altre sue opere. Se qui quello che l’autore ci vuole raccontare ci viene urlato, in Jackie – ma soprattutto in Spencer – veniva solo sussurrato: non è detto che sia un difetto, ma così il racconto finisce per perdere un po’ del suo fascino.
Ribadendo quanto detto in apertura, però, El Conde è un film che ha un grande cuore, che viene però frullato insieme a troppi elementi, idee e suggestioni e potrebbe così risultare un po’ indigesto.
La recensione in breve
El Conde è una storia estremamente affascinante e dal grande cuore, peccato per una parte centrate un po' trascinata e per i troppi temi e spunti che lo rendono un po' pasticciato.
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Voto CinemaSerieTV.it