Il film: Empire of Light, del 2022 Diretto da: Sam Mendes. Cast: Olivia Colman, Micheal Ward, Toby Jones. Genere: drammatico, sentimentale. Durata: 119 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Torino Film Festival, in anteprima.
Trama: Kent, 1980. La solitaria Hilary Small è la direttrice di sala dell’Empire Cinema, tormentata dalla depressione e dalle richieste sessuali del suo capo, Donald. L’arrivo di un giovane nuovo dipendente di colore, Stephen, la spingerà ad aprirsi e cambiare la sua vita. I due, però, dovranno lottare contro il bipolarismo di Hilary e fare i conti con il razzismo dilagante…
Sam Mendes è un regista davvero poliedrico, che ha firmato due Premi Oscar del calibro di American Beauty e 1917.
La lista dei suoi meriti cinematografici non si ferma qui: oltre alla convincente commedia American Life, Mendes vanta anche la paternità dell’ottimo 007: Skyfall, uno dei migliori Bond di sempre, e del valido sequel – seppur controverso – 007: Spectre.
Dramma, commedia, guerra e spionaggio: nel palmarès del regista britannico c’è davvero di tutto, a conferma della sua padronanza di un gran numero di generi e linguaggi.
A tre anni dal successo di 1917, è tempo del suo atteso ritorno in sala con Empire of Light, che vorrebbe essere – quantomeno nelle intenzioni del regista – una nostalgica e profonda “lettera d’amore” alla magia delle sale cinematografiche ambientata all’inizio degli anni Ottanta.
Qualche mese fa, il film è valso a Olivia Colman una nomination ai Golden Globe miglior attrice protagonista, ma come se la cava a livello complessivo?
Vi avvisiamo fin da subito: qualcosa è andato terribilmente storto. Scopriamo di più in questa recensione di Empire of Light.
La trama: storia di un amore impossibile
L’anno è il 1980. L’Empire è un piccolo cinema di paese, nel cuore del un piccolo villaggio sulla costa inglese del Kent. Qui, il personale di sala è un’autentica famiglia, e lavora duramente per permettere ai clienti di sperimentare nel migliore dei modi la magia dei film su pellicola.
La severa direttrice Hilary Small, però, rimane sempre in disparte, e non si concede un momento di relax, né la visione di una proiezione.
Priva di qualsiasi forma di realizzazione personale e incalzata dalle continue richieste sessuali del suo capo, Donald – che pure è un uomo sposato – la donna è ormai alle soglie della depressione, minacciata dal riaffiorare di un grave disturbo bipolare.
A cambiare le carte contribuirà l’arrivo di un nuovo, giovanissimo dipendente di colore, Stephen, che sta cercando di racimolare un po’ di soldi per pagarsi i futuri studi universitari.
Nonostante il forte divario d’età, Hilary e Stephen finiranno per innamorarsi, e la direttrice di sala inizierà lentamente ad aprirsi al mondo esterno.
I problemi, però, sono in agguato: il disturbo bipolare di Hilary si aggrava, e anche in Gran Bretagna stanno iniziando a soffiare i venti del razzismo.
Il loro amore è appeso a un filo, in una società sempre più ostile e minacciosa: l’unico rifugio sono le luci della sala… Ma potrà davvero durare per sempre?
Fotografia, musica, Colman: alcuni ingredienti sono ottimi…
La premessa è doverosa: alcuni elementi tecnici di Empire of Light, se considerati in maniera del tutto avulsa dal resto del film, sono indubbiamente di ottima qualità.
È il caso della maestosa fotografia di Roger Deakins, che riesce a catturare tutta la poesia della costa inglese, nonché il magico “impero della luce” che dà il titolo al lungometraggio.
È anche il caso, quantomeno a intermittenza, della pregevole colonna sonora composta di Trent Reznor e Atticus Ross, che sostiene alcuni momenti chiave del racconto.
Ed è ovviamente il caso della straordinaria recitazione di Olivia Colman, che ce la mette davvero tutta per trasmetterci le emozioni e l’apatia, la sofferenza e le gioie di Hillary, nella sua continua lotta per aprirsi all’esterno e sentirsi accettata.
I presupposti per realizzare un buon film nel segno di vari grandi classici come Nuovo Cinema Paradiso (1988) di Giuseppe Tornatore, insomma, c’erano davvero tutti.
…ma la ricetta è sbagliata, e il risultato è davvero deludente
Il problema è che, purtroppo, a partire da questi buoni ingredienti, Sam Mendes finisce per plasmare un lungometraggio incredibilmente scialbo e insipido, che non riesce mai a coinvolgere lo spettatore.
Tra le tante cose che non funzionano spicca in particolare una pessima sceneggiatura, che sancisce un disastroso debutto dietro la tastiera da parte dello stesso Mendes.
Purtroppo Empire of Light mette a nudo un evidente punto debole del regista, che davvero non sembra essere in grado di trasporre le sue idee in un racconto adeguato.
Nel corso di appena due ore, il film cambia vorticosamente focus e identità, incerto su cosa voglia essere e quale temi intenda rappresentare.
È la storia di due amanti che lottano contro un mondo ostile? È la versione di Mendes di “The Fabelmans” e “Nuovo Cinema Paradiso”, con la sua presunta “lettera d’amore alla sala”? O è piuttosto un film sulla malattia mentale? Intende raccontare una storia d’amore che trascende le barriere dell’età? Oppure si tratta di un film storico che affronta il problema del razzismo nell’Inghilterra thatcheriana?
Con ogni probabilità, Empire of Light voleva essere tutte queste cose insieme, ma fallisce miseramente.
Alcuni temi restano appena abbozzati, mentre altri avrebbero anche potuto funzionare, se solo non fossero soffocati da troppe deviazioni di rotta.
In tal senso è decisamente emblematico come, ad esempio, la madre e la sorella di Stephen entrino in scena soltanto nell’atto finale, in maniera posticcia e decisamente pretestuosa.
Analisi di una disfatta
Nonostante i mille sforzi di Olivia Colman, Empire of Light è film davvero freddo, del tutto privo di empatia con lo spettatore.
Da parte loro, i lodevoli tecnicismi citati in precedenza non soltanto non ne risollevano le sorti, ma finiscono per diventare parte del problema, contribuendo a trasmetterci l’impressione di un vuoto esercizio di stile.
Al netto della romantica sequenza in cui il proiezionista interpretato da Toby Jones ci fa scoprire la magia della pellicola, l’impressione complessiva è quella di un film davvero mal riuscito, che vagando alla disperata ricerca di un’identità finisce per contraddire le medesime premesse su cui si fonda.
Del resto, persino lo stesso personaggio di Jones – che pure dovrebbe rappresentare una figura chiave nella fantomatica “lettera d’amore” di Mendes alla sala – viene poi inspiegabilmente marginalizzato nel resto del lungometraggio.
Leggendo il solo paragrafo della trama, qualche lettore avrà senz’altro l’impressione che la sentenza sia troppo dura.
L’opinione è più che legittima, ma vi rimandiamo alla visione integrale del film per cogliere il punto in questione.
È vero: di per sé l’idea di fondo era decisamente buona, il potenziale non mancava, e forse tutte le identità citate in precedenza avrebbero davvero potuto convivere in un unico film.
Empire of Light, però, fallisce in pieno nell’esecuzione narrativa, e non riesce ad amalgamare le proprie componenti.
La recensione in breve
Empire of Light rappresenta una clamorosa occasione mancata e un vero spreco di alcuni eccellenti elementi cinematografici, che vengono amalgamati nel peggiore dei modi per dare vita a un lungometraggio insipido, pretenzioso e privo di identità. Inutile girarci intorno: il nuovo film di Mendes è un mezzo disastro.
- Voto CinemaSerieTv