Il film: Fino alla fine, 2024. Regia: Gabriele Muccino. Genere: Thriller. Cast: Elena Kampouris, Saul Nanni, Lorenzo Richelmy. Durata: 118 minuti. Dove l’abbiamo visto: alla Festa del Cinema di Roma.
Trama: Al suo ultimo giorno di vacanza prima di rientrare in California, la ventenne Sophie conosce tre giovani e ne diventa amica. Questi in realtà hanno un debito da saldare, e decidono di coinvolgerla nell’intrigo che li riguarda. Sophie si ritroverà a dover fare scelte che la porteranno sull’orlo del precipizio.
A chi è consigliato: Agli amanti del thriller, agli appassionati di Muccino curiosi di vederlo con un genere diverso.
Facciamocene una ragione: il cinema di Gabriele Muccino è urlato ed enfatico, i suoi personaggi e le loro emozioni hanno scelto quasi sempre la via dello strillo e del fiatone, è una cifra stilistica e, per quanto possa non piacerci dobbiamo accettarla. Anche quando pare prossima all’auto-parodia come nel caso di Fino alla fine, il suo nuovo film che stavolta cerca di sondare un genere finora estraneo al percorso del regista, ossia il thriller.
Tutto in una notte, anche troppo
Il film racconta di Sophie, turista americana di passaggio a Palermo, che incontra un gruppo di ragazzi, si innamora di uno di loro e viene coinvolta in un losco giro fino all’alba del mattino dopo. Parte come una nuova Estate addosso e diviene una sarabanda criminale, ispirata (ma non dichiarata, almeno non nei credits del film), a Victoria, film tedesco del 2015 in cui la stessa storia veniva raccontata in un unico piano sequenza.
In questo caso Muccino, assieme al co-sceneggiatore Paolo Costella, echeggiano i fantasmi della cronaca, riducono il minutaggio del film ed eliminano le acrobazie tecniche dell’inquadratura unica, ma mantengono la gabbia narrativa che rende il film serratissimo, aggiungendo – coerentemente con la poetica dello stesso regista – la ricerca di una via “estrema” per vivere, per cercare il proprio posto nel mondo, un’idea non addomesticata della giovinezza.
Il (poco) senso di Muccino per la tragedia
A tutti gli effetti, la cosa migliore di Fino alla fine è proprio la sicurezza con cui la regia tiene il ritmo, la suspense e l’attenzione del pubblico, coadiuvato dalla fotografia di Fabio Zamarion, dalla steadycam di Giovanni Gebbia e dal montaggio di Claudio Di Mauro, tutti elementi che, anche a fronte di una direzione degli attori molto discutibile e di forzature di scrittura, non danneggiano troppo la riuscita.
Il film, purtroppo, cade pesantemente nel gran finale, in cui si nota la grave carenza di Muccino in questo caso, ovvero la mancanza di senso della tragedia, che gli impedisce di reggere un finale simile, costruito su un tono isterico e solenne allo stesso tempo che non è in grado di gestire senza risultare ridicolo (e la cover eterea di Heroes in colonna sonora è davvero di troppo. Così, Fino alla fine conferma l’irresolubile dilemma dei film diretti da Muccino, quello tra una perizia e forza tecnica e di messinscena di primissimo ordine, perfettamente affine al genere tra le altre cose (cosa sono i suoi drammi borghesi se non thriller all’ultimo respiro, con i sentimenti al posto del crimine?), e una mancanza di controllo sulla forma del racconto, sulla direzione che le sue storie e i suoi personaggi dovrebbero intraprendere. Elementi che con i decibel c’entrano fino a un certo punto.
La recensione in breve
Il primo thriller di Gabriele Muccino cerca di portare la poetica del regista e il suo stile su territori poco affini: coraggioso e tecnicamente riuscito, scivola su un finale molto mal gestito.
Pro
- La sicurezza tecnica nella gestione del ritmo e della tensione
- Una Palermo fuori dagli stereotipi
- La prova di alcuni dei giovani attori
Contro
- Il tono isterico ripetuto all'ossessione, anche fuori contesto
- Le forzature di scrittura sempre più evidenti
- Il finale tragico che diventa ridicolo
- Voto CinemaSerieTV