Il film: Firebrand, 2023. Regia: Karim Aïnouz. Cast: Alicia Vikander, Jude Law, Junia Rees.
Genere: drammatico, storico. Durata: 87 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Cannes, in lingua originale.
Trama: Catherine Parr è la sesta moglie di Enrico VIII, ma la vita al fianco del sovrano per la donna è tutt’altro che facile, il marito la costringe infatti a vivere in un clima di terrore. Le cose rischiano di precipitare quando viene alla luce il rapporto di amicizia della donna con una controversa predicatrice Anne Askew…
Tra le sei mogli di Enrico VIII quella meno popolare è certamente l’ultima, Catherine Parr, l’unica che gli è sopravvissuta. Se tutti conoscono la storia della prima, Caterina d’Aragona, principessa spagnola abbandonata dopo più di vent’anni di matrimonio, della seconda, Anna Bolena, ripudiata e decapitata (e causa scatenante dello Scisma anglicano), di quella morta di parto (Jane Seymour, l’unica capace di dare al re un erede maschio), per non parlare della moglie scacciata perché troppo “brutta” (Anna di Clèves) o dell’altra che fu giustiziata (perché presumibilmente fedifraga, Catherine Howard), tra tutti questi nomi quello della Parr passa decisamente in secondo piano, anche se la storia della donna che accompagnò Enrico VIII nei suoi ultimi anni di vita merita davvero di non essere dimenticata.
Una storia che viene ripercorsa, con non poche libertà creative, nel film di Karim Aïnouz in Concorso a Cannes 2023: come vedremo in questa recensione di Firebrand, il regista brasiliano esplora un periodo circoscritto della vita della Parr, raccontando un’esistenza fatta di abusi ma anche di un forte desiderio di autoaffermazione. La regina interpretata da Alicia Vikander è una vittima – di un marito, ma anche di una società intera che soffoca le sue aspirazioni – che intraprende un percorso di rinascita, il re di Jude Law, invece, è una caricatura mostruosa del sovrano inglese che abbiamo visto in tante altre opere di finzione. Il film di Aïnouz funziona infatti estremamente bene nel costruire la tensione provata da Catherine e dalla corte, in balia di un tiranno volatile capace di grandi slanci di crudeltà, e nella presenza del quale non si è mai al sicuro.
La trama: l’ultima moglie
Catherine Parr è sposata da alcuni anni con Enrico VIII e la relazione tra i due sembra andare piuttosto bene, tanto che lui l’ha resa reggente in sua assenza, mentre è lontano per seguire delle campagne militari. La nuova regina è anche diventata un’insostituibile figura materna per i figli del re, avuti dalle precedenti consorti: Mary (Patsy Ferran), Elizabeth (Junia Rees) e il piccolo Edward (Patrick Buckley). La tranquilla vita che Catherine si è lentamente costruita, fatta di responsabilità di corte e dell’amore per la scrittura, viene bruscamente interrotta dal ritorno a casa del marito, sofferente per una ferita alla gamba ormai incurabile.
L’arrivo del sovrano riporta a galla le paure di Catherine, vittima di una figura maschile oppressiva e crudele che potrebbe liberarsi di lei da un momento all’altro, come ha fatto con le precedenti mogli. Intanto, nel regno, si accendono le scintille di una rivolta spirituale; dallo scisma, infatti, anche il popolo pretende il diritto di avere accesso ai testi sacri senza la mediazione del clero. Catherine è una fedele sostenitrice di queste idee, tanto da solidificare la sua amicizia con la predicatrice Anne Askew (Erin Doherty), pur sapendo che se il marito ne fosse al corrente la cosa potrebbe metterla in pericolo di vita…
Diritto di fede
Al cuore del film diretto da Karim Aïnouz, il parallelo tra il diritto delle persone di poter credere liberamente, esprimendo le propria feda senza timore di ripercussioni, e quello delle donne a essere altro che mere appendici dei propri padri e mariti. Catherine lotta tanto per poter affermare le proprie idee come per affrancarsi da un ruolo che non può che stargli stretto; anche lei, che è arrivata addirittura a pubblicare un libro a suo nome, è in balia dei desideri del marito, che spesso la tratta più che come un animale da compagnia che come una persona.
La corte di Enrico VIII
Sicuramente non si tratta di tematiche nuove, ma il film di Aïnouz trova comunque una sua originalità nel raccontare la corte inglese e la sua regina, rendendo giustizia ai suoi meriti personali, sotto una luce nuova. Vediamo una corte in balia di un grottesco e terrificante tiranno, in cui – grazie al sapiente uso della fotografia e a diverse scelte di regia – anche l’aria si fa opprimente e pesante, come se ogni giornata si trasformasse in un crudele gioco alla sopravvivenza.
L’Enrico VIII di Jude Law, è capace di incutere terrore, ma al contempo pena e disgusto, con il suo corpo deformato che schiaccia a letto quello di Catherine, o mentre flirta con giovani donne proprio davanti a lei. Un uomo paranoico e malato, che sa di essere quasi arrivato alla fine e che cerca di mantenere più controllo possibile su chi lo circonda, in particolare sulle donne della sua vita. Se Jude Law ruba la scena ogni qualvolta è presente, Alicia Vikander, con il suo volto antico e un portamento posato e trattenuto, racconta abilmente la silenziosa ribellione di Catherine, che si fa inaspettatamente feroce nel finale.
La ricerca nei costumi
A coadiuvare le interpretazioni del cast anche la grande ricerca fatta per scenografie e costumi, soprattutto questi ultimi, particolarmente curati, risultano funzionali a esprimere il soffocante senso di oppressione della corte di Enrico VIII. Ingombranti e pesanti, tanto da impedire quasi i movimenti ai personaggi femminili, gli abiti raccontano un periodo storico in cui le donne erano prigioniere del proprio ruolo sociale, per quanto fossero ricche e apparentemente potenti, come era Catherine, e tale ricchezza trasparisse proprio da vestiti e gioielli.
La recensione in breve
Il film dedicato alla sesta moglie di Enrico VIII racconta con crudele lucidità la condizione femminile dell'epoca, tratteggiando un sovrano mostruoso e una regina posata ma a suo modo rivoluzionaria.
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Voto CinemaSerieTV