Il film: Fortunata, 2017. Regia: Sergio Castellitto. Cast: Jasmine Trinca, Stefano Accorsi, Alessandro Borghi, Edoardo Pesce, Hanna Schygulla. Genere: Drammatico. Durata: 103 minuti. Dove l’abbiamo visto: Netflix.
Trama: Fortunata è una giovane donna che non ha mai molto tempo da perdere. Tra permanenti, messe in piega e shatush cerca di crescere sua figlia Barbara, di otto anni. Per lei e per se stessa, dunque, rincorre il sogno di aprire un salone da parrucchiera con un’insegna luminosa e visibile da tutti. Perché nel piccolo mondo vissuto da Fortunata ai margini di tutto ciò che può essere bello ed edificante, diventare padrona di se stessa rappresenta un punto d’arrivo significativo.
Un passo importante che l’aiuterebbe anche a liberarsi dalla presenza ingombrante di un ex marito che continua ad essere una minaccia costante. Con una personalità debole ma impositiva nei modi, Franco prova a piegare la natura dirompente e vitale di Fortunata con diversi tipi di abusi. Non ultimo quello sessuale. Nonostante questo e l’incontro con Patrizio, lo psicologo infantile che ha preso in cura la piccola Barbara, però, questa giovane donna si renderà conto della sua forza interiore e di come nessuno possa arrestare il suo diritto a pretendere altro dalla vita.
Presentato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2017, Fortunata nasce dalle parole di Margaret Mazzantini ma prende vita e corpo grazie alla regia di Sergio Castellitto. Il binomio tra i due, che li unisce nella vita personale e in quella privata, non è certo la prima volta che si mette alla prova sul grande schermo. Nonostante questo, però, con Fortunata s’instaura un rapporto diverso in cui il tocco di Castellitto si fa sentire in modo più preponderante portando tutta la narrazione su un livello più umano e toccante.
Altrettanto fondamentale, poi, è la presenza incredibile e felicemente ingombrante di Jasmine Trinca. L’attrice, infatti, veste alla perfezione i panni di una donna in affanno ma non vinta. Un nuovo modello femminile che riassume in se delle forze ancestrali ereditate da generazioni di donne in lotta e scapigliate dalla vita. Solo per ammirare la sua ostinata resistenza, che va oltre ogni ostacolo, vale la pena soffermarsi su questo film inserito nella programmazione Netflix dal 1 gennaio. Per comprendere meglio limiti e pregi di questa storia, però, addentriamoci nella recensione di Fortunata con più profondità.
Trama: Storia di una moderna Antigone
La vita di Fortunata non conosce soste. Da quando si sveglia la mattina fino alla sera è destinata a correre, seguendo i ritmi faticosi della sua quotidianità precaria. Parrucchiera in “nero”, armata di una valigetta dove stipa spazzole e phon, cerca di conquistare un posto nel mondo con un cieco impegno. E non importa se fuori le temperature sono quelle di un’afosa estate romana. La vita non le permette di fermarsi. Così, con i capelli arruffati, gli occhi bistrati di nero e la sua immancabile minigonna, corre tra una cliente e l’altra di un quartiere di periferia.
Accanto a lei c’è la figlia Barbara che, pur lamentando l’assenza dalla madre, non intende distaccarsi da questa vita che le rappresenta entrambe. Il loro rapporto, infatti, è simbiotico, nonostante il tempo trascorso distanti. E il futuro che Fortunata sogna lo immagina per tutte e due. Tutto questo impegno, infatti, ha un fine pratico: aprire un salone da parrucchiera. Un’attività caratterizzata da una grande insegna luminosa con la scritta Lucky, il suo nome in inglese. Ad averla suggerita è Chicano, un ragazzo vinto dalla sua fragilità e dalla presenza di una madre sempre più vittima dell’Alzheimer. Nonostante tutti i suoi limiti, si tratta dell’unica presenza maschile veramente positiva nella vita di Fortunata. Suo padre, infatti, è morto per droga giovanissimo, l’ex marito Franco continua ad essere minaccioso e oscurante.
Nemmeno l’incontro con Patrizio, lo psicologo cui è stata assegnata la figlia ha un ruolo effettivo nella sua vita. Attratto dalla bellezza selvaggia e naturale della donna, infatti, non riesce a confrontarsi con una personalità così sfuggente e indomita. Per questo motivo, impaurito e messo a confronto con la sua stessa inadeguatezza, decide di fuggire. Ma non è importante. Perché Fortunata ha imparato la sua lezione: bastare a se stessa. Un insegnamento che l’ha aiutata a trovare la strada giusta per liberarsi dei gioghi che ancora la stanno frenando.
Jasmine Trinca, il simbolo di una femminilità guerriera
È innegabile che questa vicenda assuma un significato e un impatto così forte grazie alla presenza scenica e all’interpretazione di Jasmine Trinca. L’attrice, infatti, riesce a dare al suo personaggio non solo una fisicità specifica e determinata ma, soprattutto, individua e amplifica la sua forza vitale. In questo senso, dunque, Fortunata si svela a Jasmine nei lati più segreti dell’anima e a lei si affida per far sentire forte la sua voce in modo onesto e credibile.
Così, attraverso quella camminata sempre affrettata, la postura spesso disarmonica e un sorriso aperto ma venato di malinconia, il personaggio diventa donna. Un processo grazie al quale creare l’illusione di una tridimensionalità forte e ben definita attraverso il talento di un attrice ma, soprattutto, la sensibilità di una donna. Perché la Trinca riesce nella non facile impresa di andare oltre le parole scritte di una sceneggiatura, per dare luce all’essenza del personaggio e, alla fine di tutto, vestirlo facendosi attraversare dalla sua forza.
Le immagini cui fa riferimento sono quelle classiche del cinema del passato che, in Anna Magnani e nei suoi ritratti di donne imperfette e scarmigliate, ha raccontato l’indomita passione di una femminilità ribelle e concreta. Partendo da tutto questo, poi, riesce a reinterpretare ed adattare la realtà di Fortunata ai tempi moderni che, a conti fatti, non sono poi così diversi da quelli passati. Ed ecco che si ottiene una donna vera, reale che, lottando spesso con se stessa, non sempre si accorge di quanto sia potenzialmente guerriera.
La Mazzantini e i limiti di un racconto d’osservazione
Attraverso l’interpretazione di Jasmine Trinca, dunque, si ha un ritratto fortemente pulsante che sfugge dalle intenzioni originali della Mazzantini. Lo stile della scrittrice e sceneggiatrice, infatti, ha un impulso sicuramente meno carnale e veritiero. Nonostante ami mettere al centro delle sue storie quella che potrebbe essere definita superficialmente come “la povera gente”, non riesce a immergersi in quel mondo fino in fondo. Il suo stile narrativo parte sempre da un punto di vista altro. Nello specifico il mondo e la posizione cultural/sociale cui appartiene.
In questo modo, dunque, è come se il suo sguardo si limitasse a sfiorare la superficie senza riuscire mai a comprendere nel profondo il senso di quanto viene narrato. A questo, poi, si aggiunge l’esigenza di voler concettualizzare il melodramma, dando a questo delle motivazioni alte anche quando non ce ne sono. Un esempio, in questo caso, è la tragedia greca Antigone, che viene reiterata più volte durante il film.
In questo modo, però, si ottiene un effetto dalla duplice facciata. E nessuna delle due giova particolarmente alla narrazione. Da una parte, infatti, si persegue una sorta di facilitazione secondo cui dietro un determinato comportamento c’è sempre un motivo traumatico. Un concetto che, oltre a non essere vero a prescindere, risulta anche piuttosto scontato. Come se non bastasse, poi, si cede alla tentazione di non approfondire le motivazioni del personaggio, lasciando le sue potenzialità inespresse.
Dall’altra parte si tende a voler filosofeggiare anche e soprattutto sugli aspetti più concreti e fisici della vita. Una scelta che la Mazzantini porta avanti inserendo sempre un personaggio fuori contento. Solitamente si tratta di una figura maschile che, grazie alla sua forza culturale, dovrebbe rappresentare una nuova forma di cavaliere dalla lucente armatura. In questo caso ci troviamo di fronte al personaggio di Patrizio, lo psicologo, che non offre ad Accorsi degli ampi margini interpretativi. La sua personalità, infatti, è statica e cristallizzata in un cliché narrativo in cui la superiorità culturale è al tempo stesso stimolo e limite. E in tutta questa affannosa contrapposizione di linguaggio, ambienti e comportamenti si va delineando solamente una riproduzione del reale poco tangibile e credibile.
Castellitto regista, il secondo punto di forza
A un approccio così intellettuale e pragmatico risponde una regia intensa, vitale, emotiva e fortemente carnale di Castellitto. Un approccio che, insieme all’interpretazione della Trinca, riportano tutto su di un livello più concreto e realistico. Certo, la cosa in se non stupisce di certo, considerando il passato dietro la macchina da presa dell’attore e regista. Castellitto, infatti, ha già dimostrato di avere una sensibilità volta al femminile e, per questo motivo, adatta alle narrazioni che vedono donne in conflitto con se stesse e il mondo circostante al centro dell’azione. Basta far riferimento a Non ti muovere per comprendere quanto sia ampia la sua capacità di empatizzare con le effettive difficoltà del femmineo. A differenza di Italia, però, Fortunata vive attraverso dei contrasti minori. Nonostante tutti gli ostacoli e l’ambientazione “coatta” in cui è immersa, il suo mondo è sicuramente meno “sporco” e anche lei trova con maggior facilità una via da percorrere.
In un certo, senso, dunque, attraverso questa donna così vitale nonostante tutto, Castellitto si offre il piacere di dirigere una favola moderna con un lieto fine che non arriva su di un cavallo bianco ma nasce dalle proprie azioni e dalla consapevolezza di poterle compiere. In questo senso, ci si trova di fronte a una storia sicuramente meno complessa rispetto a quelle del passato ma che si muove verso una modernità evidente. Certo, in alcuni momenti alcuni aspetti sembrano sfuggire troppo di mano al regista, mentre la responsabilità maggiore grava sulle spalle della Trinca. Nonostante tutto, però, questa sorta di alterna confusione sembra non entrare in conflitto con le intenzioni finali o la qualità del film, adeguandosi alla perfezione a quella interiore di Fortunata.
La recensione in breve
Nonostante una sceneggiatura troppo pragmatica e intellettuale, il film acquista forza e vitalità grazie alla regia di Castellitto e, soprattutto, all'interpretazione meravigliosamente ingombrante di Jasmine Trinca. Insieme, infatti, riescono ad andare oltre le parole per dare a questo personaggio femminile una tridimensionalità fisica ed emotiva ben precisa. Prendendo come punto di partenza quel femminile scarmigliato e sanguigno tante volte vestito dalla Magnani, Fortunata riesce ad attraversare gli affanni comuni a molte, troppe donne. E, in questo modo, esce dalla finzione cinematografica e diventa un riflesso con cui confrontarsi.
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