Il film: Gasoline Rainbow, del 2023 Regia: Bill Ross, Turner Ross. Cast: Tony Abuerto, Micah Bunch, Nichole Dukes. Genere: Drammatico, documentario. Durata: 110 minuti. Dove l’abbiamo visto: In anteprima al Festival di Venezia.
Trama: Conclusa la scuola, un gruppo di ragazzi dell’Oregon intraprende un folle viaggio attraverso le desolazioni americane per raggiungere un luogo magico, dove nessuno di loro è mai stato: la costa dell’Oceano Pacifico.
I registi Bill e Turner Ross l’hanno provocatoriamente definito “la risposta a Jack Kerouac della generazione di TikTok“, nonché una sorta di novello Easy Rider.
Un proclama assai ambizioso, che però cattura nel migliore dei modi la premessa narrativa da cui scaturisce questo intenso road movie generazionale.
Come tipico del cinema dei fratelli Ross, si tratta peraltro di una storia “quasi vera”, che ha per protagonisti un gruppo di giovani non-attori che nel corso del film utilizzano sempre i loro nomi reali, e non seguono alcun rigido copione prestabilito.
Dopo aver fatto la loro conoscenza, i registi si sono limitati a immergerli in questo scenario di riferimento per poi lasciarli liberi di vivere la loro avventura con la massima naturalezza possibile.
L’obiettivo – spiegano – era esplorare “cosa significhi essere un ragazzo di 18 anni in questo particolare momento storico, e mettere a fuoco queste nuove frontiere. Quali sono i sogni americani degli adolescenti di oggi?
Da parte nostra sapevamo come mettere in scena un viaggio, ma avevamo bisogno di ragazzi genuini. Le persone che popolano il film vivono in questa dimensione: la premessa narrativa sarà pure artificiale, ma la loro esperienza è autentica“.
Vietato, però, parlare di un semplice documentario: per i due registi si tratta semmai di una forma di narrazione partecipata, una sceneggiatura aperta alle parole degli interpreti. Esploriamo questo curioso ibrido cinematografico nella nostra recensione di Gasoline Rainbow.
La trama: un folle viaggio verso la Festa alla fine del mondo
Terminata la scuola, cinque adolescenti dell’Oregon – Micah Bunch, Nathaly Garcia, Nichole Dukes, Tony Aburto e Makai Garcia – partono di casa con un furgone e intraprendono un rocambolesco viaggio alla volta dell’Oceano Pacifico, lungo un tragitto di oltre 800 km.
L’obiettivo è attraversare deserti, autostrade e città fino a raggiungere Portland, dove ad attenderli c’è la Festa alla fine del mondo: un party “apocalittico”, da non perdere per nessun motivo al mondo.
Lungo il tragitto, i cinque compagni faranno un gran numero di incontri bizzarri e interessanti, ma dovranno anche combattere con tantissimi ostacoli e problemi pratici: dopo la scomparsa delle gomme del loro furgone, si troveranno costretti a ricorrere a una successione di mezzi di trasporto improvvisati per raggiungere la loro destinazione, proseguendo a piedi, su un treno merci, in barca e con vari altri veicoli di fortuna.
Nulla potrà fermarli, perché la forza della loro amicizia e l’intensità del loro entusiasmo li aiuteranno a superare qualsiasi difficoltà, anche grazie al generoso supporto di conoscenti, parenti e passanti.
È su questo canovaccio narrativo che si muove il variopinto arcobaleno narrativo di Gasoline Rainbow, che ha per protagonisti cinque giovani non attori chiamati a interpretare se stessi con la massima naturalezza possibile, utilizzando i propri nomi reali e la propria personalità per tutta la durata del film.
Una storia romantica e avvincente, da cui emerge un nitido ritratto d’autore della Gen-Z contemporanea, tra sogni, paure e ambizioni.
Focalizzazione zero
Quello dei fratelli Ross non è soltanto un vuoto proclama: in qualche misura, Gasoline Rainbow è davvero l’erede di Jack Kerouac e dei grandi road movie americani, e raggiunge il suo obiettivo alternando una fotografia paesaggistica maestosa a un nitido ritratto dei suoi protagonisti.
La libertà concessa agli interpreti è genuina e palpabile, e consente di far emergere con tridimensionalità il loro disagio nei confronti di un mondo troppo stretto.
Dalla loro interpretazione “a ruota libera” emergono con forza la fame di assoluto, il sogno di vivere una grande avventura, la ricerca del proprio posto nel mondo e il valore dell’amicizia, in un un’età della vita in cui questa parola ha ancora un significato profondo.
Non c’è spazio, invece, per la retorica e l’edulcorazione: quello di Gasoline Rainbow, come suggerisce il titolo stesso, è un mondo tanto romantico quanto sporco e disincantato, che accosta la poesia cromatica dell’arcobaleno alla puzza della benzina, dell’asfalto e del gasolio.
Il risultato è una storia vera e autentica, privo di qualsiasi idealizzazione: in più occasioni i protagonisti ammettono di provenire da famiglie socialmente difficili, e hanno alle proprie spalle storie tormentate, litigi domestici e genitori che non si prendono cura di loro.
Nel loro viaggio non c’è alcun freno, ma solo tanta voglia di sperimentare, di conoscere, di fare e di sbagliare.
Un’avventura al tempo stesso prosaica ed epica, arricchita da tanti incontri con sbandati, vagabondi e reietti – i Ross li hanno suggestivamente paragonati agli oracoli dell’epica greca – e arricchito da una sorprendente pluralità di riferimenti musicali e culturali di ogni tempo (nelle conversazioni emergono indistintamente i Beatles e Shakira, i Misfits e Enya, passando anche per Il Signore degli Anelli).
È anche da questo melting pot originale, bizzarro e contradditorio che emerge la vera anima della Gen-Z.
La lunga ombra del Covid
Anche se non se ne fa mai espressa menzione, l’intero lungometraggio è sovrastato dall’ombra lunga della pandemia, il vero evento-chiave che ha definito l’identità sociale e psicologica della Gen-Z.
In maniera quanto mai calzante, in Gasoline Rainbow il coronavirus diviene un autentico tabù: non vediamo mai le mascherine, né sentiamo mai parlare, neppure di sfuggita, del COVID-19 (“sul set – ammettono i Ross – nessuno voleva avere più nulla a che fare con quella roba schifosa“).
Tuttavia, per esplicita ammissione degli stessi registi, il film è un inno al ritrovato desiderio di libertà di chi ha passato mesi costretto nel limitato orizzonte domestico, ormai stanco di comunicare con il mondo attraverso lo specchio alienante di Tik Tok.
La spinta che anima il viaggio dei protagonisti è il desiderio di andare sempre e comunque oltre la collina, fino al romantico punto in cui sorge l’arcobaleno, rappresentato dalla Festa alla fine del mondo.
Una brama di avventura e di esplorazione che ha nell’esperienza del viaggio – e non nella sua effimera meta – la propria vera ragion d’essere.
Focalizzazione zero
Da parte loro, i fratelli Ross riescono a mantenere fede alle proprie promesse narrative: Gasoline Rainbow non è affatto un documentario, bensì un racconto spontaneo a focalizzazione zero, nel quale i registi, i cameraman e lo staff scelgono di sottrarsi del tutto dai riflettori per lasciare spazio alla materia narrata.
Non ci sono interviste, dialoghi diretti e neppure allusioni alla presenza di quest’occhio cinematografico che segue i nostri protagonisti, neppure nelle concitate sequenze in cui i cinque ragazzi salgono in corsa su un treno merci per poi ridiscendere a destinazione.
Un focus coraggioso e sperimentale all’insegna dell’improvvisazione che – anche a costo di lasciar spazio a qualche inevitabile sbavatura formale – elimina il medium, la telecamera, il set e ogni tipo di artificio per immergerci direttamente nella storia e nelle vite dei protagonisti.
La recensione in breve
Con autenticità, vitalismo e uno sguardo sempre attento alle emozioni, Gasoline Rainbow dà voce agli adolescenti della Gen-Z contemporanea aprendo una breccia nella barriera che separa la finzione dalla realtà.
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Voto CinemaSerieTv