Il film: Godard seul le cinéma, 2022. Regia: Cyril Leuthy. Cast: Macha Meril, Thierry Jousse, Alain Bergala, Marina Vlady, Romain Goupil, David Faroult, Julie Delpy, Daniel Cohn Bendit, Gerard Martin, Nathalie Baye, Hanna Schygulla, Dominique Paini.
Genere: documentario. Durata: 100 minuti. Dove l’abbiamo visto: alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, in lingua originale.
Trama: Ritratto di Jean-Luc Godard e del suo cinema, tramite materiale d’archivio e interviste a persone che lo hanno conosciuto, per restituire la dimensione umana di un cineasta che ha rivoluzionato la settima arte.
Il caso vuole che Jean-Luc Godard sia scomparso pochi giorni dopo la presentazione di questo film alla Mostra di Venezia, dove passava in anteprima mondiale all’interno del programma di Venezia Classici (per poi visitare altri eventi, come il Festival Lumière a Lione, e successivamente approdare in sala, con Wanted Cinema nel caso dell’Italia). Così, quello che doveva essere il ritratto di una carriera è diventato anche una sorta di ultimo saluto, di cui parliamo in questa recensione di Godard seul le cinéma.
La trama: tutto il cinema, solo il cinema, nient’altro che il cinema
Come suggerisce il titolo, Godard seul le cinéma vuole essere un omaggio all’opera godardiana che tiene conto solo della componente artistica della vita del regista franco-svizzero. Strategia pertinente non solo per evitare che il progetto si addentri in territori scomodi (come sottolineato da più di un articolo dopo la sua morte, Godard era notoriamente antisemita e sostenitore di Marine Le Pen), ma anche perché la sola carriera è sufficientemente ricca da poter generare un ritratto in più parti, perché pur parlando “solo” del cinema può affrontare la questione da più punti di vista, dal momento che lo sguardo del cineasta si è evoluto nel corso dei decenni. E al netto del titolo, il film si pone comunque l’obiettivo, tramite alcune interviste a persone che hanno conosciuto Godard, di restituire la dimensione umana di uno dei grandi pensatori del grande schermo.
Addio a un cineasta
Qualche mese prima della proiezione del documentario di Cyril Leuthy a Venezia, Godard è stato oggetto di un altro ritratto, A vendredi, Robinson di Mitra Farahani. Presentato nel concorso Encounters della Berlinale, dove ha vinto il Premio speciale della giuria, quel film è un dialogo a distanza tra il solitario regista della Nouvelle Vague, che raramente lasciava la sua casa nel paesino di Rolle, e il collega iraniano Ebrahim Golestan. Una conversazione illuminante, che metteva a nudo l’umanità, la cultura e lo humour di un cineasta con una sincerità che nessun’altra operazione di omaggio, anche non puramente agiografica, ha mai veramente saputo esibire (basti pensare al biopic postmodernista di Michel Hazanavicius, che Godard ovviamente non ha apprezzato). Per certi versi, la parola finale su un uomo che, tra una conferenza stampa a Cannes fatta da remoto e una lunga intervista in diretta su Instagram, aveva già detto tutto quello che aveva da dire sul linguaggio e sul (suo) cinema.
Postilla schematica
Da quel punto di vista, il ritratto a cura di Leuthy, che cerca di riassumere decenni di attività artistica e più di un centinaio di film in appena cento minuti, segmentando il tutto in una maniera che possa essere appetibile per il grande pubblico, non può che essere un’appendice, dove non mancano i momenti interessanti, ma sempre espressi in maniera schematica, quasi scolastica, offrendo stralci di umanità che però non afferrano mai veramente la complessità del soggetto.
E in tutto questo, con quell’approccio elementare a base di interviste inedite alternate a materiale d’archivio, viene un po’ a mancare quel cinema evocato nel titolo, che parla di settima arte – e in teoria vorrebbe parlare solo di quello – ma finisce per fare tutt’altro. Un paradosso che, forse, sarebbe piaciuto al diretto interessato, ma difficilmente lascerà molto a chi, giustamente, sarebbe alla ricerca di qualcosa che vada oltre il simpatico esercizio di ritrattistica presumibilmente destinato a una fruizione tramite il canale ARTE in patria.
La recensione in breve
Al netto di alcuni spunti interessanti, e l'uso intelligent del materiale d'archivio per riportare il pensiero di Jean-Luc Godard, c'è troppa carne al fuoco per poter rendere omaggio al cineasta in modo efficace nel giro di un'ora e mezza.
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