Il film: Grazie ragazzi,2022. Regia: Riccardo Milani. Cast: Antonio Albanese. Sonia Bergamasco, Vinicio Marchioni, Giacomo Ferrara, Giorgio Montanini, Andrea Lattanzi, Nicola Rignanese. Genere: Commedia. Durata: 117 minuti. Dove l’abbiamo visto: Anteprima stampa.
Trama: Antonio è un uomo mosso da una grande passione professionale. Nonostante questo, però, non vive la vita che ha sempre desiderato. In un piccolo appartamento vicino l’aeroporto di Ciampino, riflette sulle occasioni che sono mancate e sul quel mestiere di attore che per lui è gioia ma anche fallimento. Da un pò di tempo, infatti, non riesce a trovare un lavoro valido, che lo soddisfi. Anzi, per riuscire a mettere insieme i soldi per vivere, è costretto a doppiare delle pellicole pornografiche. La sfortuna, però, non può durare per sempre. L’occasione giusta, infatti, arriva attraverso una proposta di lavoro che Antonio non si sarebbe mai sognato di accettare: organizzare uno laboratorio teatrale all’interno di un carcere. Il contatto con la vita diretta di questi ragazzi, ognuno rappresentanti di un mondo unico, lo aiuta a comprendere molto di più su se stesso ed il potere benefico dell’arte. Così, mosso dal loro inaspettato talento e, soprattutto, dal desiderio di offrire un’emozione unica, decide di mettere in scena niente meno che Aspettando Godot. Ma , ancora una volta, il palcoscenico è solo il veicolo perfetto per raccontare la vita.
La cultura, il teatro e l’arte rendono liberi. Questa potrebbe sembrare una dichiarazione piuttosto stantia e carica di una retorica un pò stanca. Nonostante questo, però, sottende una realtà che non può e non deve essere negata. Soprattutto in un periodo storico che tende a dare un costo ed una mercificazione a ciò che nutre l’anima e rafforza la mente. In questo senso, dunque, il film diretto da Riccardo Milani ed interpretato da Antonio Albanese, arriva a dare delle risposte precise e a soddisfare la “curiosità” di chi si chiede a cosa possono servire determinati ambiti della cultura.
E mentre molti teatri chiudono, Grazie ragazzi dimostra tutto il potere del palcoscenico. Ma non quello volto a creare il successo professionale o a catalizzare l’attenzione su di una personalità potenzialmente egocentrica. Piuttosto quello che contribuisce ad entrare in contatto con se stessi, che aiuta ad esprimere ciò che tratteniamo e, soprattutto, che è in grado di dare ancora una speranza. Perché è esattamente questo che fanno i sogni quando diventano arte.
Lo sa perfettamente Jan Jonson, l’attore francese che ha vissuto realmente in prima persona questa esperienza. Ed è altrettanto certo il regista Emmanuel Courcol, che per primo l’ha portata al cinema con Un anno con Godot. Ora, invece, tocca a Milani dare una nuova lettura di questa storia. Vediamo quali sono gli aspetti che la caratterizzano nella recensione di Grazie ragazzi.
La trama: la vita degli altri
La vita di un attore non è facile. Sopratutto se non è costellata di successi. Lo sa perfettamente Antonio che, nel suo monolocale sommerso dal disordine, prova di tutto pur di non ascoltare quel senso di fallimento che lo attanaglia ogni mattina. Così, mettendo temporaneamente da parte un numero non ben precisato di speranze deluse e promesse mai mantenute, si accontenta di doppiare film pornografici. La sua vita, però, non può essere certo solo gemiti.
A ricordagli questo particolare è un vecchio compagno di scena diventato ormai famoso. Ed è proprio tramite lui che arriva una possibilità, una luce talmente fioca di cui Antonio nemmeno si rende conto. Almeno non all’inizio. Perché, ad essere onesti, l’impegno di organizzare un laboratorio teatrale in carcere lo accetta più per necessità che per ardore professionale. Il primo giorno di lezione, infatti, il suo atteggiamento non è dei migliori. Abituato ad essere deluso anche da se stesso, certo non si aspetta molto dai ragazzi che incontra. Eppure, un passo alla volta, comincerà a cambiare opinione.
Grazie all’esercizio del teatro, alla liberazione di vivere la vita di altri, i detenuti danno il via ad un dialogo personale, fortemente intimo. Un flusso di coscienza fatto di momenti di rabbia, di rancore, dolore e del miraggio di un futuro. Così, davanti agli occhi di Albanese si aprono le porte di un mondo sconosciuto. L’universo immobile di chi è abituato ad aspettate fino a quando, almeno, non è arrivato il teatro a creare un movimento inaspettato. Un’evoluzione che proietta tutti al di fuori delle prigioni fisiche ed emotive. Il luogo dove riafferrare questa libertà, ovviamente, è rappresentato dal palcoscenico di un teatro importante e da una messa in scena che diventa riscatto ed auto affermazione.
Aspettando Godot: il tema dell’attesa
Nel 1952 Samuel Beckett scrive una delle opere più importanti con al centro il senso di vuoto, la mancanza di centralità e, soprattutto, l’attesa infinita di qualche cosa che non accenna ad arrivare e mai lo farà. Situazioni in cui la condizione umana si trova con più facilità di quanto non possa sembrare. In questo senso, dunque, Aspettando Godot è l’opera che unisce e collega sia l’esistenza di Antonio che quella dei ragazzi del penitenziario. In entrambi i casi, infatti, ci si trova di fronte a dei personaggi schiacciati dall’attesa e da una dilatazione temporale estenuante.
Per l’attore deluso dalla sua carriera, l’immobilità è rappresentata da una carriera mancata, mentre l’attesa rispecchia il suo atteggiamento nei confronti di un futuro che continua a deludere. Essenzialmente si trova fermo, impantanato nella ripetizione costante di modulo sempre uguale a se stesso. La stessa condizione, anche se con modalità diverse, che vivono i ragazzi in prigione.
Qui, infatti, il tempo e l’attesa si sovrappongono, diventano praticamente la stessa cosa. La vita all’interno di una cella, infatti, è scandita proprio dall’attendere. Aspettare il pranzo, l’ora d’aria, il colloquio e la cena. In un susseguirsi sempre uguale, giorno dopo giorno in una sorta di sterile immobilità. Perché è chiaro che in prigione non si va da nessuna parte, fisicamente o mentalmente.
Da questo punto di vista, dunque, Antonio ed i ragazzi del laboratorio sembrano destinati ad incontrarsi per specchiarsi uno nella difficoltà degli altri. Perché, a dispetto di quanto possa sembrare ad un primo sguardo superficiale, l’attore non arriva a salvare questi uomini fermi all’interno della loro detenzione. Ne loro rappresentano una forma di sodisfatta rivalsa per Antonio. A offrire una seconda possibilità a tutti, invece, è proprio il teatro e quel Godot che, non arrivando mai, offre a questa umanità un pò persa l’occasione di riavviare il proprio tempo.
Dramma o commedia?
La tematica carceraria non è certo una novità per il cinema. Diversamente, invece, è il tono con cui Milani modula il suo racconto. Nonostante preferisca percorrere la strada della leggerezza, infatti, non rinuncia a far sentire delle note più gravi. Un risultato che ottiene, in modo particolare, grazie all’interpretazione di Antonio Albanese. Perfetto nella sua rappresentazione dell’uomo normale, riesce a trovare la giusta armonia tra la vena smaccatamente comica e quella più dolce e malinconica. La stessa, ad esempio, che definisce l’ingenuità di Epifanio.
Intorno a lui, poi, Milani compone un gruppo umano eterogeneo il cui scopo è rappresentare uomini uniti da una sorte simile eppure diversamente fragili ed insicuri. Perché dietro la parola carcerato, che tutto tende ad inglobare creando una categoria, esistono delle peculiarità, delle unicità che, al di fuori di quella situazione, siamo abituati a chiamare persone.
Ed è proprio su questo punto, sulla spersonalizzazione e l’invisibilità creata dalla detenzione, che Milani vuole porre l’attenzione. E lo fa con un uso alternato delle atmosfere e degli stati d’animo. Così, orchestrando un andamento che si muove dall’alto al basso, dalla commedia al dramma emozionale, riesce nella piccola ma fondamentale impresa di costruire un film semplice. Il che non vuol dire vuoto o scontato. Tutt’altro. In questo caso, infatti, il concetto di semplicità, applicato soprattutto alla struttura narrativa, ha un’accezione esclusivamente positiva. Ciao ragazzi, infatti, riesce a definire ed offrire al pubblico un racconto esistenziale chiaro, diretto e privo di qualsiasi iperbole pseudo intellettuale. E proprio per questo rimane fisso nello sguardo e nella mente.
La recensione in breve
Utilizzando un tono lieve, anche se venato spesso di malinconia, ed una struttura narrativa semplice, Milani riesce a consegnare una storia capace di muoversi in modo trasversale attraverso il dramma e la commedia, il basso e l'alto. In una continua variazione ritmica che somiglia chiaramente a quella della vita. In questo modo, dunque, non si va definendo un film di denuncia ma, piuttosto, una riflessione sulla condizione umana di cui, spesso, fa parte anche l'attesa.
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Voto CinemaSerieTV