Il film: Green Book, 2018. Regia: Peter Farrelly. Cast: Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini. Genere: Drammatico, commedia, biografico. Durata: 130 minuti. Dove l’abbiamo visto: al cinema.
Trama: l’improbabile coppia formata dall’ex buttafuori italoamericano Tony Lip e il rinomato pianista classico afroamericano Don Shirley si ritrova gomito a gomito durante un viaggio on the road in occasione di un tour del musicista nei razzisti Stati Uniti del sud.
Arrivato nelle sale cinematografiche di tutto il mondo a cavallo tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, Green Book è divenuto in poco tempo un piccolo fenomeno di richiamo popolare. Tratto da una storia realmente accaduta, una coppia di protagonisti in formissima, una morale rassicurante e un tentativo di esorcismo di un Paese come gli Stati Uniti dal proprio irrisolto e turbolento passato. Come vedremo nella nostra recensione di Green Book, gli ingredienti di un successo da oltre 300 milioni di dollari di incasso c’erano tutti.
La trama di Green Book
1962. Siamo solo all’inizio di un decennio che cambierà per sempre gli equilibri di un mondo calato nell’angoscia di una Guerra fredda nel pieno del suo corso. I movimenti studenteschi e il fermento politico del ’68 sono lontani, la guerra del Vietnam imperversa in maniera aspra e le lotte paritarie di Martin Luther King hanno ancora molta strada da battere.
Gli Stati Uniti sono un Paese molto ampio e ricco di contraddizioni. Negli stati del sud la segregazione razziale è una realtà all’ordine del giorno. I neri non frequentano le stesse scuole dei bianchi, non entrano negli stessi locali, non si siedono negli stessi posti sull’autobus. Il Ku Klux Klan raccoglie consensi e membri, il razzismo è sostanzialmente un affare legalizzato. Per questa ragione, in tale realtà illogica e pericolosa, un manuale come quello del Negro Motorist Green Book è un oggetto essenziale. Una sorta di compendio di tutti i luoghi sicuri dove riposare e sostare utile agli afroamericani desiderosi di avventurarsi nelle perigliose terre del sud.
Il Green Book è il manuale che viene affidato all’ex buttafuori italoamericano Tony Lip (Viggo Mortensen) quando si ritrova nei panni dell’aiutante tuttofare del musicista nero Don Shirley (Mahershala Ali). I due devono viaggiare nel sud degli USA per un tour organizzato dalla casa discografica di Don. Come è facile da presupporre, non sarà un viaggio semplice. Tra la prepotenza dei locali e della polizia, i caratteri discordanti di Tony e Don, le peripezie sono all’ordine del giorno e le cose vanno storte più di una volta. Ma come ogni buon film on the road che si rispetti, il viaggio è la chiave per la scoperta dell’altro, dell’accettazione delle differenze e dell’elaborazione delle ingiustizie del mondo.
Un duo di protagonisti d’eccezione
Se Green Book ha riscosso grande riconoscimento tra il pubblico, buona parte di questo successo è affidata nelle mani dei suoi due protagonisti. Passiamo nella loro esclusiva compagnia la maggior parte delle oltre due ore di film, viviamo assieme a loro i soprusi di città e paesi ostili e siamo stretti nell’abitacolo della loro automobile anche quando i due battibeccano, si pungolano, si respingono. Sono a tutti gli effetti agli antipodi.
Viggo Mortensen per il ruolo è ingrassato di oltre venti chili, raggiungendo la giusta massa da distribuire nel corpo di questo individuo un po’ rozzo ma dalla parlantina svelta e furba, pronto a menare le mani quando la situazione inizia a scaldarsi. Mahershala Ali si rifugia invece nell’altezzosa figura di un musicista amante del lusso, della raffinatezza e delle buone maniere, un guscio di indifferenza e di atteggiamenti scostanti che ben presto si comprenderà essere lo schermo attraverso il quale filtrare il razzismo dei bianchi e il rigetto del suo stesso popolo nei confronti del tipo di musica che ha scelto di suonare.
Ma nella strada c’è la risposta e lungo la strada i due troveranno il loro punto di equilibrio. Il primo superando un gradino alla volta l’ottusa barriera del pregiudizio, il secondo sporgendosi un poco al di fuori delle pesanti tende che frappone tra la sua torre d’avorio e il mondo semplice. Con al centro, magari, un cesto di pollo fritto che in realtà racconta molto dell’etichetta del razzismo e di un retaggio da superare.
Una storia vera da Oscar
Quella di Green Book è insomma la perfetta formula da Oscar. E il film diretto da Peter Farrelly, in una delle rarissime incursioni fuori dalla commedia demenziale e in assenza del fratello Bobby, di Oscar alla fine ha fatto incetta. Miglior sceneggiatura originale, firmata dallo stesso Farrelly assieme a Brian Hayes Currie e Nick Vallelonga (il figlio di uno dei protagonisti della storia, Tony Lip al secolo Frank Anthony Vallelonga); Miglior attore non protagonista a Mahershala Ali, alla seconda statuetta nella stessa categoria in poco più di due anni dopo averla già conquistata per Moonlight; infine il prestigiosissimo Miglior film, un po’ a sorpresa ma con una chiara indicazione di quella che sarebbe stata, e probabilmente ancora sarà, la politica in fatto di premiazioni della Academy. Un pizzico di storia vera, il superamento di una soglia, un happy ending anche nelle avversità.