Il film: Hellhole, 2022. Regia: Bartosz M. Kowalski. Cast: Piotr Żurawski,Olaf Lubaszenko,Sebastian Stankiewicz. Genere: Horror. Durata: 90 minuti. Dove l’abbiamo visto: Su Netflix.
Trama: Un poliziotto sotto copertura si introduce in un sinistro convento per indagare sulla scomparsa di alcune giovani donne, sospettate di essere possedute dal demonio e portate dai monaci per essere esorcizzate. Nell’oscurità del luogo sacro si nascondono orrori che il protagonista non avrebbe mai potuto nemmeno immaginare.
Durante la cosiddetta spooky season, ossia il periodo che precede il giorno di Halloween, le piattaforme streaming si arricchiscono di titoli horror, genere che in questo periodo dell’anno attrae anche quelle fasce di pubblico che tendenzialmente non vi si approcciano. Netflix, in particolare, approfitta del rinnovato apprezzamento per l’orrore su schermo, distribuendo pellicole da tutto il mondo che altrimenti si perderebbero nella vastità di un catalogo in continua espansione.
Come vedremo in questa recensione di Hellhole, il film diretto dal polacco Bartosz M. Kowalski arrivato da poco sulla piattaforma ha scalato le posizioni dei titoli più visti in Italia, riuscendo ad accontentare un pubblico senza particolari pretese, alla ricerca di brividi e atmosfere dark. Hellhole si inscrive in quel sottogenere horror che sfrutta esoterismo e possessioni per cercare di sconvolgere il proprio spettatore, toccando una tematica delicata come il rapporto con la fede. Non si tratta di nulla di unico e originale (l’incipit è la copia carbone degli ultimi minuti di un cult del genere, Il presagio), ma la regia piuttosto solida (almeno inizialmente) e i diversi colpi di scena che precedono il finale sono capaci di mantenere chi guarda quantomeno intrigato dalla vicenda. Una storia che – in certi punti in particolare – non è adatta ai più deboli di stomaco: la crudezza di certe scene, la concretezza del lordume e del sangue che insudiciano personaggi e location, e il realismo della violenza perpetrata, conferiscono all’orrore sullo schermo una tangibilità particolare, veicolata anche dall’uso di effetti speciali pratici e da un limitato uso di CGI. Un film “vecchio stile” che, pur non prendendo il via da spunti così particolari e innovativi è capace di intrattenere. Peccato per alcuni repentini cambi di stile e di ritmo che, prima di un atto finale visivamente piuttosto sorprendente, fanno abbassare la tensione, “rovinando” l’atmosfera che si era riusciti a costruire.
La trama: un misterioso convento
Il film si apre nella Polonia degli anni Cinquanta, un prete si introduce trafelato in una chiesa: con sé ha un neonato segnato da una strana voglia sul petto. Le intenzioni dell’uomo sono subito chiare: vuole uccidere il bambino sull’altare di quel luogo sacro, chiedendo perdono per i suoi peccati ma invocando un bene superiore. Verrà fermato pochi secondi prima di compiere l’atto, colpito a morte dalla polizia che fa irruzione.
La storia fa poi un passo in avanti, trasportandoci a trent’anni da quanto accaduto nell’incipit: Marek (Piotr Zurawski) è un nuovo prete che entra tra le fila di un grande e sinistro convento, che funge anche da sanatorio per i malati mentali della zona. Lì i monaci, oltre a cercare di curare i propri pazienti, compiono esorcismi su quelli che a loro parere sono posseduti dal demonio. Pratiche e rituali a cui il nuovo arrivato è costretto ad assistere fin da subito. Presto, però, scopriamo che Marek non è un uomo di fede: si tratta infatti di un poliziotto sotto copertura che deve indagare sulla scomparsa di alcune giovani locali, ragazze che erano state portate al convento perché sospettate di possessione. Di loro non si è saputo più nulla e Marek deve scoprire che cosa gli è accaduto.
L’uomo non ci metterà molto ad accorgersi che nel monastero c’è qualcosa di molto strano, e inizierà ad essere perseguitato da inquietanti visioni. I momenti dei pasti sono quelli che per Marek risultano più sconvolgenti e disgustosi: la sbobba che gli viene servita è nauseabonda e maleodorante, ma lui si costringe a mangiarla per non destare sospetti.
Che cosa si nasconde nei bui corridoi di questo luogo che dovrebbe essere sacro? Uno dei monaci, Piotr, è disposto a rivelargli qualcosa, ma sembra molto spaventato di quello che gli altri potrebbero fargli…
Le giuste atmosfere per un horror
Come vi anticipavamo in apertura e come avrete potuto dedurre da queste poche righe sulla trama, il punto di forza di Hellhole non è l’originalità del suo intreccio. Di horror a sfondo religioso che partono da premesse simili ne conosciamo diversi, e la narrazione si sviluppa su binari piuttosto prevedibili. A rendere quella del film una visione a suo modo intrigante è l’atmosfera che è in grado di veicolare, trascinando lo spettatore in un ambientazione sudicia e maleodorante, in cui l’orrore è realistico e palpabile.
Se non fosse per il cambio repentino di tono in determinati momenti della pellicola (in sequenze che sfociano quasi nel ridicolo, inficiando sulla tensione che si era riusciti a costruire), Hellhole sarebbe un horror a suo modo piuttosto solido, capace di infondere la giusta dose di brividi (e sopratutto di disgusto) anche senza una sceneggiatura particolarmente brillante alle spalle.
Un finale che sorprende
Non possiamo però non soffermarci tanto sull’interpretazione del protagonista, Piotr Zurawski, che risulta convincente nella sua rovinosa discesa nella follia, quanto sulla sequenza finale del film, che dal punto di vista della messa in scena risulta a suo modo piuttosto affascinante. Come vi anticipavamo lo scarso uso della CGI e, al contrario, l’ampio utilizzo di effetti speciali pratici, rende l’orrore di Hellhole concreto e tangibile, dando anche vita a una creatura demoniaca dal design interessante, che irrompe sullo schermo per scatenare (letteralmente) l’inferno.
La recensione in breve
Hellhole è un horror che, pur non partendo da premesse particolarmente originali, coinvolge lo spettatore alla ricerca di brividi (e disgusto), senza troppe pretese per quanto riguarda sceneggiatura e sviluppo narrativo. Buona l'interpretazione del protagonista e la messa in scena in cui l'orrore si fa tangibile e reale.
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