Il film: Hokage – Ombra di fuoco, del 2023 Regia: Shinya Tsukamoto. Cast: Shuri, Mirai Moriyama, Ouga Tsukao. Genere: Drammatico, storico. Durata: 95 minuti. Dove l’abbiamo visto: In anteprima al Festival di Venezia.
Trama: Al termine del secondo conflitto mondiale, in un Giappone ancora sconvolto dagli orrori della guerra, una giovane prostituta, un reduce e un bambino orfano si trovano a convivere sotto lo stesso tetto. Il precario equilibrio, però, non è destinato a durare…
Il 2023 è un anno incredibilmente vivace per il cinema giapponese: oltre al grande ritorno del maestro dell’animazione Hayao Miyazaki e all’approdo a Venezia del nuovo film di Ryusuke Hamaguchi, al Lido ha appena debuttato anche la nuova fatica cinematografica di uno dei più importanti cineasti del Sol Levante.
Stiamo ovviamente parlando di Shinya Tsukamoto, che con il suo Hokage – Ombra di fuoco porta definitivamente a compimento la propria personale “trilogia della guerra”, riprendendo le riflessioni che avevano animato i precedenti Nobi (2014) e Zan (2021), anch’essi presentati in anteprima mondiale a Venezia.
Il filo conduttore di quest’antologia cinematografica – come ha spiegato lo stesso regista – è rappresentato dal costo della violenza, e dall’inevitabile alienazione che ne scaturisce.
Se tuttavia nei primi due lungometraggi avevamo assistito agli orrori che hanno caratterizzato la fine della seconda guerra mondiale nelle Filippine (Nobi) e i violenti ultimi giorni dell’età dei samurai, nella tarda epoca Edo (Zan), con Hokage l’obiettivo di Tsukamoto si sposta invece sul drammatico day after, e sulle devastanti cicatrici psicologiche, morali e spirituali che la guerra lascia nell’anima dei superstiti.
“L’ombra di fuoco” a cui allude il titolo è quella lasciata sul Giappone dal secondo conflitto mondiale, un veleno residuo ancor più letale delle radiazioni di Hiroshima e Nagasaki.
Scopriamo di più con la nostra recensione di Hokage – Ombra di fuoco.
La trama: il fuoco, l’ombra e l’orrore
La seconda guerra mondiale ha ridotto il Giappone a una distesa di macerie.
In una piccola taverna fatiscente con le pareti carbonizzate da un incendio, una giovane donna si guadagna da vivere offrendo agli avventori un bicchiere di liquore e poi il proprio corpo.
Un giorno, un soldato e un bambino giungono nella locanda in cerca di un riparo per la notte: il bimbo è un orfano senza nome, che sopravvive rubando il cibo dai banchi del vicino mercato nero, finendo per suscitare la furia dei poveri commercianti locali.
Ben nascosta nella sua borsa c’è una pistola che il bambino ha trovato sul corpo di un soldato, e che utilizza soltanto per autodifesa, nelle circostanze più disperate.
Il soldato, invece, è un reduce di guerra che cerca soltanto un po’ di conforto dalle ombre del suo passato.
Incapace di pagare la tariffa o di trovarsi un lavoro durante un giorno, l’uomo si limita a trascorrere la notte su una stuoia accanto alla donna, in perfetto silenzio, per poi ripartire all’alba.
Di giorno in giorno, tra questo improbabile trio sembra prendere forma un clima familiare: il soldato ha con sé un libro di algebra, e inizia a istruire il bimbo sotto lo sguardo benevolo della donna.
Con il calare delle tenebre, però, torna la paura: il bimbo è agitato da incubi tremendi, mentre il soldato, con la mente a pezzi per gli orrori visti in guerra, diventa sempre più folle e aggressivo.
La quiete non dura, e i sentieri dei tre si separano bruscamente: il bambino intraprende un viaggio in compagnia di un venditore di strada, che promette di pagarlo se porterà con sé la pistola.
L’intento dell’uomo, anch’egli tormentato da un passato oscuro e tremendo, è quello di riscattarsi una volta per tutte con un tremendo atto di giustizia.
Il potere dell’immagine
Ancora una volta, Tsukamoto firma un autentico capolavoro registico, che trascende i pochissimi mezzi a sua disposizione.
Mediante un uso magistrale della dissolvenza, una cura meticolosa della composizione visiva e la scelta di scorci sempre originali, il regista giapponese riesce a dar vita a un racconto potente e drammatico che, per la prima metà del lungometraggio, coinvolge e suggestiona, pur svolgendosi sempre all’interno di quattro mura.
Hokage è l’ennesimo saggio di maestria del regista di Nobi e Zan, che con il suo sguardo cerca di catturare l’anima stessa dei suoi personaggi, o quantomeno quel che ne rimane.
Filtrata dalla sua macchina da presa, l’immagine si fa simbolo, senza neppure bisogno di ricorrere a inutili fiumi di parole: tra suggestive sequenze notturne, luci di candela e dettagli di un muro rossastro consumato dalle fiamme di un incendio, l’occhio della telecamera si concentra sull’hokage, termine bivalente che in giapponese significa sia “ombra” che “fuoco”.
Un binomio, quello di ombra e fuoco, che domina anche la seconda metà del lungometraggio, emergendo anche e soprattutto dagli occhi dei superstiti della guerra, che hanno scrutato nella fiamma distruttiva dell’abisso.
Lirismo e preghiera
A detta dello stesso Tsukamoto, Hokage è un “film preghiera” che ha la missione di levare un grido lirico verso il cielo, e al tempo stesso di immergersi nelle profondità più tenebrose dell’anima umana per esplorarne la capacità di mantenere viva la fiamma della speranza, anche quando si trova attorniata dalle ombre più oscure.
Mentre nell’immaginario cinematografico giapponese l’ombra della guerra ha spesso assunto la forma di mostri giganteschi come i kaiju e l’iconico Godzilla, qui viene invece spogliata di qualsiasi sembianza esteriore e restituita alla sua natura più ineffabile e impersonale.
Il male è un’ombra senza nome che emerge nella notte, appanna lo sguardo di chi ha conosciuto l’orrore, e cerca di soffocare il fuoco interiore che lo rende umano.
È da questo scenario apocalittico che emerge la figura del bambino, vero protagonista del racconto, a cui il venditore di strada e la prostituta rivolgono due “testamenti spirituali” che rappresentano il vero nucleo poetico della storia.
La vita deve andare avanti a ogni costo, deve affrontare ogni schiaffo e ogni ingiustizia, ma soprattutto deve ripristinare la legge morale, senza cercare scorciatoie: non ha il dovere di farlo per una futile esigenza di giustizia, ma per consentire all’umanità stessa di sopravvivere alla catastrofe.
La recensione in breve
Tsukamoto firma uno struggente capolavoro di lirica cinematografica che esplora il significato stesso dell'umanità di fronte all'orrore della guerra.
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