Il film: I soliti idioti 3 – Il ritorno, 2024. Regia: Fabrizio Biggio, Francesco Mandelli, Ferruccio Martini. Cast: Fabrizio Biggio, Francesco Mandelli, Sabrina Ferilli. Genere: commedia. Durata: 100 minuti. Dove l’abbiamo visto: al cinema.
Trama: Ruggero De Ceglie esce dal coma dopo dieci anni, pronto a tormentare di nuovo il figlio Gianluca.
Erano quasi dieci anni che non vedevamo più insieme Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli, il cui sodalizio artistico (e anche quello personale, stando ai diretti interessati) si era un po’ incrinato dopo l’uscita de La solita commedia – Inferno nel 2015. Riappacificatisi, hanno ragionato su come riportare sugli schermi la galleria di personaggi con cui hanno dominato prima il piccolo schermo, portando su MTV Italia una struttura a sketch esplicitamente ricalcata sulla formula del programma televisivo Little Britain (principalmente due attori in scena, personaggi ricorrenti, satira intrisa di grottesco), e poi al cinema con due film diretti da Enrico Lando. A questo giro, per il film di cui parliamo nella nostra recensione de I soliti idioti 3 – Il ritorno, Lando manca all’appello, con gli stessi Biggio e Mandelli che firmano la regia insieme a Ferruccio Martini.
La notte del Ruggero vivente
La lunga pausa tra un film e l’altro viene giustificata diegeticamente con l’idea che Ruggero De Ceglie, il patriarca volgare e tutt’altro che al passo coi tempi, sia stato in coma per dieci anni. Una condizione che secondo i medici, e per la gioia del figlio Gianluca, sarebbe stata irreversibile. Ma il “Dai, cazzo!”, così come l’altrettanto immancabile “Ma vaffanculo, Gianluca!”, è sempre dietro l’angolo, e il genitore è pronto a tornare in pista e rovinare la vita all’erede. Ed è addirittura più agguerrito del solito, perché Gianluca ha venduto la casa e acquistato un’abitazione più ecosostenibile, una soluzione che Ruggero trova semplicemente inaccettabile, fatta eccezione per la presenza di piante che lui può eventualmente usare per rollare un classico “fiòdena”.
Gli altri
Altri personaggi del repertorio dei soliti idioti vivono le proprie avventure in giro per Milano: i due tamarri Patrick e Alexio, anche dinanzi a situazioni potenzialmente epocali, reagiscono con il loro solito lessico basilare che si limita essenzialmente a “figa”, “minchia”, “cazzo” e “porco dighel”; Sebastiano ha vinto alla lotteria, ma la vincita deve essere ritirata presso le Poste e lì c’è la temuta Gisella con il suo “Sono subito da lei”; Jackson & Johnson appaiono in TV con gli spot dei loro nuovi prodotti a base di escrementi; gli (Im)moralisti Marialuce e Giampietro cercano di procreare per non essere esclusi dalle attività dei loro amici, tutti genitori; gli omosessuali sono in crisi, con Fabio che va in televisione per ritrovare l’altro Fabio, scappato di casa; e i litigiosi sono destinati, come sempre, a darsele di santa ragione con il minimo pretesto.
Il solito duo
Inevitabilmente, a dominare il tutto sono Biggio e Mandelli con le loro multiple presenze, con la precedenza accordata – ça va sans dire – a Ruggero e Gianluca, sin dal poster che annuncia il ritorno del patriarca come se fosse uno zombie, con la raffinatissima frase di lancio “Non è un film horror, ma sentirai la presenza”. Questo fa sì che, come nei capitoli precedenti, non ci sia molto spazio per comprimari o anche ospiti speciali, con un’eccezione spettacolare: stufo della “personalità” eccessivamente educata dell’assistente virtuale di turno, Ruggero entra in contatto con la versione coatta della stessa, tale Patrixia, doppiata da un’agguerrita Sabrina Ferilli che con la sua vera romanità tiene abilmente testa a quella finta, ma comunque convincente, del comasco Mandelli.
Le solite risate
Concepito per far contenti i fan storici, riproponendo praticamente tutti i tormentoni dei vari sketch (in alcuni casi in modalità quasi fotocopiata, come nel caso della gag del fiòdena), il film replica pregi e difetti dei due predecessori: strutturalmente traballante, poiché a parte Ruggero e Gianluca le altre icone del programma televisivo non hanno la forza per giustificare una drammaturgia che esuli dalla formula catodica, ma popolato da figure che con fare grottesco e al contempo sincero fanno sempre ridere. E la pausa decennale ha evidentemente giovato a quell’universo, poiché c’è un’autentica gioia nelle performance di Biggio e Mandelli che ritrovano dei vecchi amici dopo una pausa protratta, e questi stessi vecchi amici si ricongiungono con un pubblico pienamente consapevole di una duplice verità: non è cambiato assolutamente nulla, ma è anche per questo che gli si vuole bene, a quella strampalata banda di volti mostruosi dell’Italia di oggi.
La recensione in breve
Biggio e Mandelli ripropongono i loro tormentoni con grande gioia, con una simpatica lezione di sintonia umoristica tra i due interpreti.
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