Il film: Il capofamiglia (Feathers), 2021. Regia: Omar El Zohairy. Cast: Demyana Nassar, Samy Bassiouny.
Genere: drammatico, commedia, fantastico. Durata: 112 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Torino Film Festival, in lingua originale.
Trama: Un padre di famiglia si ritrova improvvisamente trasformato in un pollo, situazione che costringe sua moglie ad assumersi nuove responsabilità in casa.
Tra le più curiose sorprese dell’edizione 2021 del Festival di Cannes c’era un’opera prima egiziana (con finanziamenti in parte francesi, tedeschi e greci), selezionata nel concorso della Semaine de la Critique, la sezione dedicata ai cineasti al primo o secondo lungometraggio. Un contesto fortunato per il regista debuttante Omar El Zohairy, la cui satira con elementi magici ha vinto non solo il premio principale della Semaine, ma anche il riconoscimento della FIPRESCI (la federazione internazionale dei critici cinematografici), la cui giuria ha particolarmente apprezzato l’approccio poco convenzionale del progetto. Da lì è partito un percorso di tutto rispetto in giro per il mondo, dal festival di Karlovy Vary a quello di Torino, dove il film ha debuttato in ambito italiano all’interno della competizione principale. Ed è di quel film che si parla nella nostra recensione de Il capofamiglia.
La trama: pollo padrone
La storia è quella di una modesta famiglia egiziana, il cui patriarca lavora in fabbrica ed è molto autoritario. Fa di tutto per accontentare i due figli maggiori, incluso ingaggiare un mago per la festa di compleanno di uno di loro, ma qualcosa va storto in tale occasione: offertosi volontario per un gioco di prestigio, il padre svanisce nel nulla, e al suo posto c’è il pollo in cui è stato apparentemente trasformato. Spetta quindi alla moglie assumersi le responsabilità principali in famiglia, ma la situazione è a dir poco complicata: lei non può prendere il posto del marito in fabbrica perché è un luogo di lavoro dove le donne non sono ammesse, e non è neanche possibile ricevere i contributi economici che spetterebbero a lui sotto forma di pensione perché per averli occorre un certificato che attesti il decesso del coniuge.
Il cast: emozioni autentiche
Omar El Zohairy ha lavorato esclusivamente con interpreti non professionisti, provenienti da vari villaggi dell’Alto Egitto dove è stato girato il film (senza mai identificare il luogo esatto dove si svolge la storia), e che si esprimono con gli accenti rurali della zona anziché con l’arabo standard. Tra questi spicca Demyana Nassar, la madre, una vera casalinga che dà al personaggio l’autentico pathos di una vita quotidiana sagacemente ibridata con la premessa fantastico-satirica del lungometraggio, con una performance misurata e potente che è stata premiata in diversi ambiti e considerata l’elemento più forte del film anche da parte dei detrattori (non sono mancate le polemiche locali sulla presunta rappresentazione negativa di un Egitto meno affluente di ciò che solitamente appare nei media).
Le piume dell’ingiustizia
Per il mercato italiano è stato scelto un titolo diverso da quello internazionale, Feathers, piume. Un appellativo, quello usato in altri paesi, che racchiude in sé tutto il senso di un’opera dove l’elemento di presunta stabilità della famiglia, secondo i precetti di un patriarcato ancora molto attivo e presente, è diventato uno strumento di puro caos, che lascia in giro parti di sé – sì, anche gli escrementi – e non è più in grado di contribuire a un sistema che sostiene di aver bisogno di lui per andare avanti. E se l’equilibrio fra realismo magico, satira e ritratto quasi in presa diretta del quotidiano di una famiglia egiziana non è sempre particolarmente saldo, è comunque notevole l’ambizione di un cineasta che, al primo lungometraggio, punta in alto e, come il mago all’inizio, intrattiene con una miscela di carisma e caos.
La recensione in breve
Pur peccando di ambizione, il regista Omar El Zohairy firma un ritratto interessante dell'Egitto di oggi, fra realismo, satira e magia.
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