Il film: Il Cristo in gola, del 2022 Regia: Antonio Rezza. Cast: Antonio Rezza, Stefania Saltarelli, Maurizio Catania, Maria Bretagna. Genere: Grottesco. Durata: 78 minuti. Dove l’abbiamo visto: In anteprima, al Torino Film Festival.
Trama: Nella bizzarra rivisitazione proposta da Antonio Rezza, Gesù Cristo non pronuncia mai una parola, e si esprime soltanto con urla strazianti, capaci di curare l’uomo e compiere ogni genere di miracoli. Sulla sua strada si ergono però nemici pronti a mettere in crisi il Figlio di Dio, come Pilato, Satana e… Maria di Nazareth!
Correva l’anno 2004 quanto Antonio Rezza, geniale regista e attore proveniente dal mondo del teatro, decideva di lanciarsi in una nuova, folle impresa cinematografica: portare sul grande schermo la vita di Gesù, con il consueto taglio grottesco, corrosivo e paradossale che contraddistingue la sua intera produzione.
Com’è più che evidente, l’operazione presentava almeno due rischi colossali: da un lato c’era quello di scadere nella blasfemia e nella facile volgarità, e dall’altro confezionare un prodotto banale e privo di originalità, dal momento che sulla figura di Cristo è già stato detto, scritto e proiettato davvero di tutto.
Diciotto anni dopo, al termine di un lunghissimo iter produttivo, è finalmente giunto il tempo di fare i conti con l’opera finita, che si presenta ai nostri occhi con un bianco e nero minimale: ecco quindi Il Cristo in Gola, un film grottesco e surreale, in cui il Nazareno (interpretato dallo stesso Rezza) si esprime soltanto con grida assurde e disperate, e si aggira angosciato per i vicoli della mistica Matera senza mai dialogare con gli esseri umani.
Inutile cercare un barlume di convenzionalità, o azzardare un confronto con le precedenti rappresentazioni della figura del Nazareno, da Pasolini a Zeffirelli: il Gesù di Rezza sfugge a qualsiasi paragone, e ci pone di fronte a un film tanto provocatorio quanto enigmatico.
Pur trattandosi di un’operazione molto delicata, e ancor più soggettiva del solito, proviamo a esplorare un po’ più da vicino il lungometraggio con la nostra recensione de Il Cristo in Gola.
Quando è la performance a dirigere la trama
Dall’annunciazione alla crocifissione, tutti conosciamo la storia di Gesù: una storia che Antonio Rezza ripercorre con sorprendente fedeltà, riuscendo a narrare l’intera vicenda in poco più di un’ora e un quarto, con un piccolo capolavoro di sintesi comunicativa.
Non è certo questa, però, la vera trama de Il Cristo in gola: l’essenza narrativa del “vangelo secondo Rezza” sta semmai negli ultimi tre minuti del lungometraggio, dove il significato dell’intera vicenda viene capovolto e riscritto con una svolta tanto incredibile quanto geniale.
Non volendo rovinarvi la sorpresa, ci limitiamo qui a osservare come, nel corso del film, l’autore rappresenti un Figlio di Dio folle e tormentato, che vaga urlando per le vie della Palestina, fa conoscenza con alcune figure-chiave come Satana e Pilato, e trascorre il resto del suo tempo a lavorare in bottega alla costruzione della propria croce, consapevole del fatto che, in ultima istanza, sarà lui stesso a procurarsi la morte.
A guidare il succedersi delle varie scene, tuttavia, non c’è una sceneggiatura lineare, fatta di dialoghi, spiegazioni e parole, bensì un mero accostamento di performance dell’attore-regista e degli altri membri del cast, come in una pièce teatrale all’insegna del surreale, costantemente in bilico tra risate e mistero.
Nel film, ci spiega lo stesso regista, “faccio un Cristo che non dice una parola, si tappa la bocca e la tappa al suo autore pezzente. Qui il problema non è il comunicare: qui la virtù sta nel fatto che quello che volevo dire non l’ho detto. L’azione si è ribellata alle suggestioni della mente incravattata”.
Il gesto soppianta la parola, la narrazione cede il passo all’azione, e la grottesca irrazionalità prevale su ogni logica espositiva.
“E lasciami gridare…”
Eppure, se non si vuol dare eccessivo peso alle ambientazioni minimaliste e alla comparsa di alcuni bizzarri “oggetti di scena” che spezzano ogni tentativo di immersione narrativa, il racconto debutta in maniera alquanto lineare, con l’Annunciazione, la Natività e il battesimo nel Giordano.
La situazione “sfugge di mano” (e il film decolla per davvero!) soltanto quando in scena compare il Gesù adulto interpretato dallo stesso Antonio Rezza.
“Il film – spiega il regista, con la sua consueta ironia – è filologico fin quando lo dirigo: Maria partorisce, Giuseppe sonnecchia, l’Arcangelo proclama, Erode manomette, Battista sciacquetta. Ma quando dirigo me stesso, il film mi scappa dalle mani perché io, oltre a quella di Dio, non riconosco neppure la parola mia”.
In origine il protagonista avrebbe dovuto rivolgersi ai suoi interlocutori utilizzando i monologhi del poeta Stanisaw Jerzy Lec, anziché comunicare soltanto con urla e scatti repentini: il tema era il medesimo, ossia l’impossibilità di stabilire un ponte tra divino e umano, trascendente e immanente.
Con la scelta di togliere di mezzo ogni parola, tuttavia, il regista porta questo dilemma alle più estreme conseguenze, e fa esplodere la sua natura più grottesca sotto i nostri occhi, strappandoci inevitabilmente un mare di risate.
Per Rezza, tuttavia, il “Cristo che cura urlando” non è soltanto un gioco, ma incarna una precisa riflessione filosofica: “Nel film – spiega – il Figlio di Dio non dice una parola, non si rapporta all’uomo che gli è inferiore, e comunica solamente attraverso urla devastanti, perdizione dell’orecchio umano, che conducono le orecchie dell’uomo alla dannazione eterna”.
L’unico messaggio verbale riecheggia in lontananza: non sono le parole di Gesù, bensì i discorsi di Duarte, Peròn e Videla. Il rimando è agli orrori della dittatura argentina e all’eterno abuso del potere da parte dell’uomo, dall’impero romano a Sudamerica.
Una galleria di personaggi formidabili
A sancire il clamoroso successo del film, tuttavia, non è solo il suo folle ed enigmatico protagonista, ma anche una galleria di personaggi secondari davvero indimenticabili.
“Se è vero che sei il Figlio di Dio… perché non fai piovere?”. “Perché non vai all’estero? Tu sei sprecato”. “Perché non ti iscrivi alla SIAE? Stai sottovalutando il diritto d’autore”.
Sono solo alcune delle esilaranti tentazioni che Satana rivolge a Gesù assumendo le sembianze di un’anziana signora meridionale, scoperta per caso dal regista in un bed and breakfast a due passi dal set. Una donna vecchia che, come tutti gli anziani, sembra circondata da un alone di ancestrale saggezza, ma in realtà finisce per incarnare il male e l’errore supremo.
Altra figura memorabile è quella di Ponzio Pilato, che continua a invocare l’aiuto di Gesù per la sua cefalea, per poi punzecchiarlo senza pietà con sofismi, provocazioni e ragionamenti filosofici che, per quanto grotteschi, riescono sempre a disarmare sia lui che noi, colpendo sistematicamente nel segno.
Il governatore della Giudea è geniale e imprevedibile: dapprima cita a piene mai una grande opera letteraria come L’unico e le sue proprietà di Max Stirner e, un attimo dopo, come se nulla fosse – con riferimento ai roboanti proclami di Duarte, Peròn e Videla che si odono sullo sfondo – confessa di non lavarsi mai le mani dopo il bidet, perché il potere politico deve avere per definizione le mani sporche!
La figura più importante, per motivi che qui non anticiperemo, è però indubbiamente Maria di Nazareth, che nella versione di Rezza finisce per assumere l’identità dell’antagonista: dicendo il proprio sì al piano di Dio, la Madonna è divenuta a tutti gli effetti una complice attiva della persecuzione e della morte di suo figlio…
In principio era il Paradosso
È difficile tirare le somme di un’opera come Il Cristo in Gola, ma si può senz’altro constatare il fatto che si tratti di un film magistrale, che utilizza tutta la potenza del linguaggio teatrale per consegnarci un racconto comico, originale e al contempo incredibilmente ermetico.
Al cuore del lungometraggio di Rezza c’è il rapporto tra la divinità e il paradosso, che l’autore cerca di esaminare con un piglio provocatorio e dissacrante, ma mai volgare.
Come può il Gesù umano aver vissuto serenamente, sapendo di essere condannato a morire? Non ha mai pensato di ribellarsi? Come fa ad essere per davvero “uno e trino”? E, soprattutto, se è davvero onnipotente, perché non si occupa per davvero di far piovere, o quantomeno di fermare il male e le grandi dittature come quella argentina?
Con l’ausilio di battute corrosive e inquadrature (sistematicamente) sghembe, l’assurdo e il grottesco finiscono per prendere il sopravvento su ogni altra cosa.
Ciò avviene, nelle intenzioni dell’autore, proprio perché è il divino stesso ad essere intrinsecamente irrazionale, e a sfuggire a ogni tentativo di ricostruzione logica.
C’è chi, per spiegare questo film, ha scomodato persino Pasolini e Carmelo Bene: a nostro avviso, più semplicemente, il regista non fa che tirare le leve giuste, e porre alcune domande scomode al momento più calzante.
L’effetto è assicurato: la nostra ilarità esplode, per lasciarci un attimo dopo con l’amaro in bocca, e un forte senso di mistero e perplessità.
In principio – per Rezza – era il Paradosso. Il Paradosso era presso Dio e, anzi, forse il Paradosso era proprio Dio…
La recensione in breve
Il Cristo in Gola di Antonio Rezza è un’opera cinematografica magistrale, che provoca e stupisce per la sua natura surreale. Il film riesce a mettere a nudo la componente paradossale del racconto evangelico senza mai scadere nella volgarità.
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Voto CinemaSerieTv