Il film: Il Gatto con gli stivali 2: L’ultimo desiderio (Puss in Boots: The Last Wish), 2022. Regia: Joel Crawford. Cast: Antonio Banderas, Salma Hayek, Harvey Guillén, Florence Pugh, Olivia Colman, John Mulaney, Ray Winstone, Samson Kayo, Wagner Moura.
Genere: Animazione, avventura, fantastico. Durata: 102 minuti. Dove l’abbiamo visto: al cinema, in anteprima stampa, in lingua originale.
Trama: Il Gatto con gli stivali è arrivato all’ultima delle sue nove vite, e deve capire come sopravvivere mentre diversi nemici gli danno la caccia.
Correva l’anno 2011, e dopo aver teoricamente detto addio a Shrek (teoricamente perché da qualche anno si parla di un quinto film) la DreamWorks fece uscire in sala uno spin-off interamente dedicato a un certo felino fuorilegge, un titolo divertente ma anche piuttosto modesto, forse perché inizialmente concepito per il mercato home video e solo in un secondo momento (complice la consulenza creativa di Guillermo del Toro) rimaneggiato per il grande schermo. Un iter che non è stato lo stesso per il sequel, di cui parliamo nella nostra recensione de Il Gatto con gli stivali 2: L’ultimo desiderio.
La trama: buona la nona?
Il Gatto con gli stivali continua a compiere imprese leggendarie, una delle quali lo uccide. Tornato in vita, si rende conto di averne già consumate otto su nove, ed è arrivato il momento della pensione. Ma la vita domestica non fa per lui, e quando irrompono Riccioli d’Oro e i tre orsi viene a sapere dell’esistenza di una stella, nascosta in mezzo a un bosco, che sarebbe in grado di esaudire qualunque desiderio per il primo che la trova. Inizia così un nuovo viaggio avventuroso, in compagnia del cane Perrito, autodichiaratosi migliore amico del Gatto, e di Kitty Zampe di Velluto, che ce l’ha con il nostro a causa di un colpo andato male. A inseguirli, oltre al quartetto di cui sopra, ci sono Big Jack Horner, versione adulta e malvagia del protagonista di una filastrocca inglese, e il lupo cattivo, che non è quello visto nei film di Shrek, bensì un individuo spietato e inarrestabile che non vuole lasciarsi sfuggire la sua preda più ambita.
Il cast: il ritorno della leggenda
Sia in inglese che in italiano la voce del Gatto è di Antonio Banderas, interprete del mitico felino dal 2004 (ma nella versione italiana di Shrek 2 la voce fu affidata a Massimo Rossi), ed è nuovamente affiancato da Salma Hayek/Francesca Guadagno nel ruolo di Kitty. Riccioli d’Oro in originale è Florence Pugh, appoggiata da Olivia Colman e Ray Winstone (quest’ultimo doppiato in italiano da Roberto Pedicini) nei ruoli di Mamma e Papà Orso (il loro figlio è invece doppiato in inglese dal comico britannico Samson Kayo). Il lupo cattivo ha la voce di Wagner Moura, noto al pubblico di Netflix per essere stato Pablo Escobar nella serie Narcos, mentre il perfido Big Jack è il comico statunitense John Mulaney, ormai un nome ricorrente nel campo del doppiaggio grazie a Big Mouth e Spider-Man: Un Nuovo Universo. Il cane Perrito è doppiato da Harvey Guillén, noto soprattutto per la parte di Guillermo nella serie What We Do in the Shadows.
Cambio di rotta (e di rutto)
Il film inizia con la scritta “Questa è una fiaba”, una dichiarazione d’intenti non indifferente considerando le origini del franchise. Nel 2001, infatti, Shrek era qualcosa di rivoluzionario per come si posizionava nel panorama dell’animazione statunitense: un prodotto irriverente, che si rivolgeva a un pubblico più adulto (pur non disdegnando gli spettatori giovani) e metteva alla berlina tutta la tradizione disneyana prendendo in giro le convenzioni fiabesche, fin dalla sequenza d’apertura dove l’orco usa un libro sul tema come carta igienica. Una ventata di freschezza, anche se già all’epoca era evidente un certo cinismo opportunistico da parte del responsabile della DreamWorks Animation, Jeffrey Katzenberg, il quale approvò il progetto per ripicca nei confronti della Disney che lo aveva licenziato qualche anno prima (l’antagonista Lord Farquaad – il cui nome in inglese, se pronunciato in un certo modo, suona come un insulto molto scurrile – era una parodia neanche tanto velata di Michael Eisner, l’ex-superiore di Katzenberg). Una ripicca a base di frecciatine verbali e visive, condite da emissioni d’aria provenienti da ogni orifizio, approccio che aveva un suo perché vent’anni fa ma ora è diventato “vecchio” quanto il filone che prendeva di mira.
Magie visive
Nel mentre, Katzenberg ha lasciato lo studio, e da qualche anno, complice l’acquisizione da parte di Comcast, come consulente c’è Chris Meledandri della Illumination Entertainment, anch’esso di proprietà del colosso mediatico di telecomunicazione. Un aspetto che forse ha influito sul nuovo corso della DreamWorks, disposta a esplorare nuove piste narrative e stilistiche, abbandonando il look computerizzato che l’ha resa un nome di riferimento nel campo dell’animazione mainstream. L’avevamo già visto qualche mese fa con Troppo cattivi, che si rifaceva alle illustrazioni dei libri da cui è tratto, ed è ancora più evidente con questo secondo episodio delle avventure del Gatto, che mescola lo stile riconoscibile con un’estetica più pittorica, simile a quella versatile dello Spider-Man animato della Sony, creando un lungometraggio che parte da materiale noto ai fan dello studio e poi diventa qualcosa di nuovo, una fiaba sincera che punta sul pathos e non sull’ironia postmoderna, nelle scene d’azione – quelle che maggiormente sfruttano la varietà formale del film – e nei dialoghi, con questi ultimi che rielaborano elementi delle storie originali ma con intento umoristico meno caustico rispetto a due decenni fa. E da quel punto di vista stona un po’ la nuova sigla della DreamWorks all’inizio, che ripercorre alcuni dei momenti e personaggi importanti della storia dell’azienda, proprio nel momento in cui si starebbe guardando verso il futuro, senza dover rivangare a tutti i costi il passato. Proprio come fa il Gatto, che ha ancora lo stesso carisma ma non è più esattamente la versione felina di Zorro che abbiamo conosciuto nel 2004. Per lui, e per lo studio, è l’inizio di una nuova vita.
La recensione in breve
Il nuovo sequel della DreamWorks accantona l'irriverenza e il cinismo del franchise di Shrek per concentrarsi su una fiaba più classica, in termini narrativi ed estetici. Un buon ritorno in scena per l'adorabile felino doppiato da Antonio Banderas.
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