Il film: Il Pataffio, 2022. Regia di Francesco Lagi. Cast: Lino Musella, Giorgio Tirabassi, Viviana Cangiano, Alessandro Gassmann, Valerio Mastandrea.
Genere: commedia. Durata: 117 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Locarno Film Festival, in lingua originale.
Trama: il Marconte Berlocchio e la sua sposa Bernarda, accompagnati da soldati e cortigiani, si impossessano di un feudo lontano. Ma la zona, in realtà, è tutt’altro che accogliente: il castello è prossimo al diventare un cumulo di macerie, e gli abitanti del villaggio sottostante non hanno voglia di essere governati dal Marconte. L’equilibrio di potere, sempre più labile, si trasforma in una serie di peripezie a base di fame, avidità e sesso.
“Anche le commedie meritano di stare in concorso ai festival”, ha detto Giona A. Nazzaro, direttore artistico del Locarno Film Festival, parlando dell’inclusione del nuovo film di Francesco Lagi tra i lungometraggi che si contendevano il Pardo d’Oro. Una frase che è già stata pronunciata in altre occasioni, come ad esempio quando What We Do in the Shadows di Taika Waititi fu selezionato nel concorso principale del Torino Film Festival nel 2014 (o il caso, tre anni dopo, di Morto Stalin se ne fa un altro di Armando Iannucci), o quando c’è chi si chiede come mai, per citare l’esempio più noto, Paolo Virzì sia stato quasi sempre escluso dalla sezione competitiva della Mostra di Venezia quando ha portato al Lido dei film più leggeri (l’ultima volta in concorso con una commedia è stato con Ovosodo, nel 1997).
Una frase, quella di Nazzaro, che noi sosteniamo in pieno, come cerchiamo anche di spiegare in questa recensione de Il Pataffio, film che si rifà ai fasti della commedia all’italiana a partire da un testo di non poca importanza quale il romanzo di Luigi Malerba, che per toni e atmosfere richiama un po’ le avventure del Brancaleone di Monicelli (il quale si ispirò in parte a un soggetto inedito dello stesso Malerba, soprattutto per il linguaggio). E guarda caso, nei geniali panni di un frate che spara frasi in latino un po’ buttate lì, c’è Alessandro Gassmann, il figlio del brancaleonesco Vittorio.
In principio fu il Verbo
Al centro di tutto c’è, in primis, una bella lezione di scrittura per quanto riguarda il linguaggio, che mescola dialetti (una delle cifre stilistiche di Malerba), arcaismi fasulli e un bel po’ di latinorum, come direbbe Renzo Tramaglino. Difatti, uno dei grandi piaceri della visione del film in un ambito come quello locarnese, dove il pubblico non è per forza interamente italofono, è stato vedere come la componente verbale fosse resa nell’adattamento per i sottotitoli (in inglese e/o francese, a seconda della proiezione), e il conseguente apprezzamento degli spettatori internazionali dinanzi a trovate non sempre facilmente traducibili (basti pensare alla decisione di dare alla moglie del Marconte il nome Bernarda, che nel contesto di un film votato a un umorismo a tratti molto scurrile è un gran bel doppio senso). E in entrambi i casi – lingua originale e adattamento – l’operazione può dirsi riuscita, e si prospetta, per lo meno in ambito festivaliero, un discreto percorso per un lungometraggio che sa divertire, molto, ma con criterio, in ottica allegramente satirica.
Il popolo contro il potere
Se il modello stilistico, oltre al romanzo del 1978, è un film del 1966, l’argomento che va a toccare è invece molto attuale: nel 2022, con la crisi di governo in Italia che è praticamente diventata un tormentone estivo a cadenza annuale, c’è ben poco di strettamente medievale nel racconto del conflitto tra nobiltà e popolo, di un’innata incapacità di trovare il giusto equilibrio e assicurare che tutto funzioni al meglio. C’è un che del già menzionato Armando Iannucci in tutto questo, ma con una maggiore empatia nei confronti dei personaggi e un turpiloquio meno aggressivo ma non per questo meno creativo. Ma soprattutto viene da pensare all’ultima volta che si tentò di fare della comicità pecoreccia in ambito medievale sul territorio italiano (ma con mezzi internazionali e lingua inglese), nel (poco) boccaccesco Decameron Pie che è passato alla storia per essere l’ultima produzione di Dino De Laurentiis. Ecco, Il Pataffio dimostra che l’idea in sé non era male, ma era necessario ritornare alla fonte, con vero spirito italico, sia nel passato evocato sullo schermo che nel grottesco presente di cui il film si fa (tristemente) esilarante specchio.
La recensione in breve
Francesco Lagi adatta con brio il romanzo di Malerba, parlando dell'Italia di oggi tramite il Medioevo e avvalendosi di un fenomenale gruppo di attori alle prese con uno humour verbale tagliente e creativo.
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