Il film: Il prodigio (The Wonder), 2022. Regia: Sebastián Lelio. Cast Florence Pugh, Tom Burke, Kíla Lord Cassidy, Ciarán Hinds e Niamh Algar. Genere: Drammatico. Durata: 103 minuti. Dove l’abbiamo visto: in anteprima stampa su Netflix, in lingua originale.
Trama: Lib Wright è un’infermiera inglese che viene assunta per un lavoro in una remota regione irlandese. Insieme a una suora dovrà osservare una bambina, Anna, che miracolosamente è in piena salute senza mangiare da mesi. Quale mistero si nasconde dietro questo “prodigio”?
Il prodigio si apre con un particolare escamotage narrativo: ci troviamo in una sorta di magazzino di oggetti di scena, dove intuiamo stia per essere girata l’opera che stiamo per vedere. La voce fuori campo di Niamh Algar ci spiega che quello a cui assisteremo è un racconto di finzione, ma che le storie in generale hanno un grande potere, che deriva dalla forza con cui crediamo in esse. Noi spettatori veniamo trasportati in una vicenda che pur essendo inventata ci sembrerà estremamente reale; al tempo stesso i personaggi che incontreremo credono profondamente in determinate “storie”, che sono convinti essere tangibili, fondate, concrete. E che danno forma alla loro intera esperienza del mondo, della vita. Sebastian Lelio decide di aprire così il suo film tratto dal romanzo omonimo di Emma Donoghue, fornendo allo spettatore una chiave di lettura per tutto quello che vedrà accadere sullo schermo: quest’opera prende infatti il via dal potere delle storie, delle credenze, della fede. Cosa possiamo fare a noi stessi – e agli altri – se guidati dalla convinzione di essere nel giusto, di conoscere la verità?
Come vedremo in questa recensione de Il prodigio, l’incipit scelto da Lelio risulta forse un po’ ridondante, non necessario, perché il senso più intimo del film si fa sempre più chiaro, più la narrazione procede e lentamente ci cattura. E a fare da tramite tra un racconto brutalmente affascinante e intrigante e noi spettatori c’è la splendida interpretazione di Florence Pugh, attrice che dimostra ancora una volta di essere tra le più dotate della sua generazione.
La trama: la bambina che non mangia
Ci troviamo nel 1862, Lib Wright (Florence Pugh) è un’infermiera formata dalla pioniera Florence Nightingale, con alle spalle la dura esperienza dei campi di battaglia della guerra in Crimea. La donna, che sta ancora lottando con il dolore per un lutto che gli ha segnato l’esistenza, viene assunta per un lavoro molto particolare: dovrà recarsi in una Irlanda segnata dalle carestie per osservare quello che tutti definiscono come un “prodigio”. Una bambina di undici anni, Anna (Kíla Lord Cassidy), non mangia da quattro mesi: la piccola, che dice di nutrirsi solo dell’amore divino, è perfettamente in salute, e nessuno si spiega come sia possibile. Un comitato, composto dal prete e dal medico locale e dagli altri rappresentanti della piccola comunità, ha deciso che un’infermiera e una suora dovranno osservare la bambina, dandosi il cambio nelle ore del giorno e della notte, cercando di scoprire il mistero dietro il suo miracoloso digiuno. In molti sono convinti che Anne sia stata toccata dal potere divino, e che potrebbe essere la prima santa che quella remota regione irlandese vede da secoli.
Lib si troverà a osservare la bambina per molti giorni, sconvolta dalla sua apparente capacità di sopravvivere senza nutrirsi. Con il tempo, però, conoscendo meglio tanto lei come la sua famiglia, si renderà conto che dietro questo apparente miracolo si nascondono degli oscuri segreti.
Lo scontro tra scienza e fede
Il personaggio di Lib, che arriva dalla più “civilizzata” Inghilterra in un’Irlanda brulla, affamata e profondamente legata a credenze popolari e religiose, rappresenta il potere salvifico della scienza e della ragione. Attenzione, perché l’intento della storia di Lelio (e prima di lui di Emma Donoghue) non è anti-religioso, ma si schiera apertamente contro ogni tipo di estremismo. A parte la giovane infermiera, infatti, gli altri personaggi del film sono guidati da credenze che gli impediscono di vedere con oggettività quello che gli si presenta davanti agli occhi, che per questo fanno del male pur credendo di essere dalla parte del bene. C’è chi ha trovato una conferma della propria fede in Dio e nel suo benefico intervento; chi, come il medico locale, è sicuro di aver scoperto il segreto dell’eterna giovinezza; poi ci sono i familiari, che caricano sulle spalle della piccola la responsabilità di espiare colpe assolutamente non sue. Solo Lib vede Anna per quello che è: una bambina che potrebbe presto morire di fame.
Le atmosfere del thriller
La storia si dipana mescolando sapientemente dramma e thriller, guidandoci alla scoperta del mistero che si cela dietro il “prodigio” che fa da titolo al film costruendo atmosfere sempre più tese. Lelio si affida a una serie di location particolarmente suggestive e a una fotografia che usa le luci naturali a proprio vantaggio, veicolando ancor di più il senso di tragedia imminente che permea il racconto.
Lo spettatore non potrà quindi che lasciarsi trascinare in una storia tanto intrigante quanto profondamente angosciante, immedesimandosi completamente nella protagonista, che rappresenta appunto uno sguardo esterno, ragionevole, in una realtà in cui fede e fanatismo convivono pericolosamente.
L’interpretazione di Florence Pugh
Una tale partecipazione dello spettatore nella storia non sarebbe possibile senza la solidissima interpretazione di Florence Pugh, che risulta estremamente credibile in un ruolo difficile e complesso. La sua Lib è una donna devastata dal lutto (e in questo ci ha ricordato molto il suo personaggio in Midsommar, un’altra delle sue interpretazioni più significative), che viene costretta a una corsa contro il tempo per salvare una bambina da un mondo che la vorrebbe trasformare in qualcosa di diverso: in una santa, in un miracolo, in un simbolo di abnegazione e sacrificio. Il legame che Lib costruisce con Anna, che la porterà anche a dubitare delle sue stesse convinzioni, sarà la chiave di volta per svelare i segreti della bambina. Florence Pugh dà così vita a un personaggio profondamente umano ed empatico, fondamentale in un film che altrimenti risulterebbe a tratti fin troppo respingente.
Un finale troppo lungo
Questo anche a causa – come vi anticipavamo in apertura – di un incipt che, forse al contrario di quel che il regista avrebbe voluto, porta lo spettatore a distanziarsi dalla storia. Lo stesso escamotage narrativo, che risulta a nostro parere decisamente innecessario, viene ripreso anche negli attimi conclusivi del film, esacerbando così il distacco di chi guarda da quanto appena accaduto sullo schermo. Non che – a parte i pochi secondi in cui torna il personaggio di Niamh Algar a “chiudere” l’opera – il finale del film in generale funzioni particolarmente bene: tutta la sequenza conclusiva non aggiunge nulla a quello già precedentemente detto. Sarebbe stato forse più convincente chiudere il film qualche minuto prima, lasciando allo spettatore la possibilità di immaginare liberamente il destino dei personaggi.
La recensione in breve
Il film di Sebastián Lelio racconta una storia intrigante ed emozionante, giocando con le atmosfere del thriller e catturando lo spettatore in un mistero che si fa man mano più affascinante. Splendida Florence Pugh nel ruolo della protagonista.
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