Il film: Il ragazzo e l’airone, 2023. Regia: Hayao Miyazaki. Cast: Yoshino Kimura, Kō Shibasaki, Masaki Suda, Aimyon. Genere: Animazione. Durata: 124 minuti. Dove l’abbiamo visto: Anteprima stampa Festa del Cinema di Roma.
Trama:La quotidianità del giovane Mahito Maki è destinata a cambiare in modo repentino. Durante una notte, infatti, un incendio distrugge l’ospedale dove lavora sua madre. La donna, nonostante i soccorsi immediati, muore tra le fiamme, come altre persone arrivate ad aiutare. Così, due anni dopo, il ragazzo si traferisce fuori Tokyo. Ad attenderli alla stazione c’è la sorella più giovane di sua madre che, in attesa di un bambino, è diventata la seconda moglie del padre. La vera rivoluzione, però, non è tanto un ambiente familiare cui Mahito fa resistenza, quando la scoperta di un universo parallelo fatto di creature misteriose che lo portano a riflettere sul significato della famiglia e del destino. Un viaggio, dunque, di crescita ed evoluzione personale in cui il rapporto madre/ figlio è centrale, assumendo, però, una visione più ampia.
Ad ottantadue anni il maestro Hayao Miyazaki è tornato al suo cinema di poesia e filosofia naturalista dimostrando che il potenziale della fantasia è destinato a non invecchiare mai. Almeno in chi è in grado di vedere e scrutare oltre le forme tradizionali di quello che può essere definito “reale”. Così, dopo aver annunciato il ritiro con il suo Si alza il vento, Miyazaki ha sentito di avere dentro di sé ancora una storia da narrare, se non la più personale.
Al centro del racconto, infatti, c’è proprio un giovane Hayao che, un passo alla volta, cerca di districare il significato complesso della realtà intorno a lui attraverso il linguaggio della fantasia. E lo fa aprendo infinite porte in un gioco di scatole cinesi che, però, hanno sempre la capacità di riportare ad un unico ed essenziale epilogo. Proviamo a ripercorrere le fasi essenziali di questo viaggio di crescita nella recensione de Il ragazzo e l’airone.
Trama: L’avventura del crescere
Gli elementi naturali hanno una forza che è difficile, se non impossibile contenere. In questo senso, dunque, hanno il potere d’intervenire sul destino dell’uomo in modo definitivo, andando a mutare il suo percorso, producendo dolore o ponendo di fronte a delle riflessioni sulla piccolezza stessa dell’essere. Per il giovane Mahito, questo ruolo distruttivo e, al tempo stesso, costruttivo è assunto dal fuoco. Con tutta la sua forza inarrestabile, infatti, in una sola notte ha divorato le fondamenta della sua esistenza rappresentate dall’amore materno.
Svegliato dagli allarmi e dalle urla della gente, infatti, in una notte come tante il ragazzo viene a contatto con il potenziale tragico della vita. Nel rogo dell’ospedale dove lavora, muore la madre, lasciandolo attonito di fronte la propria incapacità di reazione. Un incipit, dunque, dove il dramma s’insinua immediatamente. È pur vero, però, che per costruire un nuovo percorso è quasi sempre necessario andare a distruggere quello vecchio. Una regola che vale anche per la narrazione e che Miyazaki utilizza per creare spazio di espansione all’avventura interiore che deve arrivare.
Da quella notte, infatti, trascorrono due anni. Il paese è travolto ancora dalla guerra ed il padre di Mahito si è rispostato. La nuova moglie non è altro che la sorella minore di sua madre. Una giovane donna dal carattere dolce e comprensivo che cerca di entrare in sintonia con il nipote senza riuscirci. Il ragazzo, infatti, sofferente per la perdita della madre, vive questa nuova opportunità come una sorta di costrizione e di torto fatto nei confronti del suo dolore. Nonostante tutte le sue resistenze, però, alcune forze esterne stanno producendo su di lui un particolare richiamo. Un misterioso airone, ad esempio, sembra seguirlo ed attaccarlo in modo incessante. Allo stesso tempo una costruzione, che si erge nel cuore del bosco, attrae la sua attenzione, incentivata anche dal timore dimostrato nei suoi confronti dalle anziane donne che popolano la villa centrale.
Quando, però, vede sua zia trascinarsi nel bosco nonostante sia incinta, senza più fare ritorno, Mahito decide di cedere a qualsiasi tipo di esitazione e di lanciarsi alla sua ricerca. Così, valicando una linea di demarcazione invisibile agli occhi umani, entra in un mondo altro dove la natura ha preso il sopravvento e dei pappagalli hanno instaurato una sorta di dominio del terrore. Al suo interno, però, scorge anche la forma aerea dei prossimi nascituri, incontra una misteriosa divinità del fuoco con le fattezze familiari di una giovane ragazza e, finalmente, trova sua zia, imprigionata nella freddezza affettiva che le ha imposto fino a quel momento. Un viaggio a più livelli emotivi, dunque, che lo portano alla fine, a comprendere il valore di una seconda possibilità e quanto ampio può essere il concetto stesso di maternità.
La natura, protagonista ed antagonista
Pochi autori hanno una cifra stilistica più definita e riconoscibile di quella di Hayao Miyazaki. E questo non vale esclusivamente per il tocco poetico ed intimo con cui vengono narrate le sue vicende. Piuttosto la riconoscibilità proviene da alcune forme narrative che ricorrono in tutta la sua filmografia e che il maestro dell’animazione nipponica riesce ad utilizzare ogni volta in modo diverso a sostegno della tematica sviluppata.
Fondamento della sua narrativa, ad esempio, è il rapporto costante con la natura. Nel corso degli anni, infatti, il regista ha instaurato con questa con lungo e proficuo dialogo utilizzando diversi aspetti. Selvaggia, vendicativa, fragile ed esposta. In ogni percorso narrativo è essenziale il dialogo che instaura con l’elemento umano, spesso considerato come un intruso predatorio. Non stupisce, dunque, che nel Il ragazzo e l’airone, questa rappresenti uno degli elementi portanti della costruzione narrativa. Fin dalle prime immagini, infatti, questo particolare ruolo è evidente. Il fuoco rappresenta l’incipit di ogni cosa. L’evento che da inizio all’avventura, l’elemento senza il quale nulla sarebbe stato possibile.
Una presenza che è legata alla figura della madre e che ritornerà più volte nel corso della vicenda. A questo, poi, si affianca l’airone che diventa messaggero di un mondo altro. Stimolo, non sempre piacevole e rassicurante, ad esplorare l’ignoto dentro di sé. Figura antropomorfa, rappresenta la fase embrionale di un’evoluzione. Il momento in cui la trasformazione completa ancora non è avvenuta. E, proprio per questo motivo, ci si trova a combattere con i limiti dell’una e dell’altra forma.
Per finire, poi, ad attenderlo oltre il bosco un mondo naturale dalla forza predatoria che, imponendo il suo dominio, lo trasforma spesso in una sorta di vittima sacrificale sull’altare di un mero appetito. Una sorta di contrappasso che si abbatte su di lui come simbolo, rappresentante di un’umanità spietata. Alla fine, però, viene sempre risparmiato nel nome della sua innocenza, di quello sguardo infantile che ancora non è stato contaminato dalla violenza.
Alla ricerca della madre
Chi conosce la filmografia di Miyazaki non rimane certo sorpreso dalle sfide emotive ed intellettuali poste dai suoi racconti. In questo caso, però, l’emozione e la riflessione stessa si fa più profonda, dando la sensazione di un livello superiore imposto alla vicenda. Durante tutta la visione, infatti, si ha netta la sensazione che il maestro abbia costruito un racconto dalla struttura a scatola cinese per consegnarci una tematica non tanto universale, quanto profondamente personale. Così, addentrandoci nei misteri del bosco e nelle insidie della torre, attraversando il portale con un mondo altro non facciamo altro che ripercorrere i passi del giovane Miyazaki. Senza avere la pretesa di riportare una vicenda puramente biografica, il regista ci apre una porta segreta sulle sue insicurezze di ragazzo, sul modo in cui la fantasia, probabilmente, lo ha aiutato a superare le ferite di un paese profondamente colpito dalla guerra. Ed ancora di quel mondo circostante che ha portato i segni dell’assalto umano troppo a lungo.
Ma quali sicurezze può trovare un ragazzo in una realtà del genere? Tra le insidie esterne e quelle interne del proprio animo, l’unica certezza è rappresentata ancora dalla famiglia e, in modo particolare, dall’abbraccio materno. Un elemento, questo, che il suo protagonista praticamente rincorre per tutta la durata della sua avventura. Anzi, è la ragione stessa per cui questa ha inizio. E nel ritrovamento della madre, anche se in una forma diversa, Mahito rintraccia la strada di casa, il modo e il momento giusto per tornare indietro nel suo mondo con la consapevolezza di poter essere ancora amato. E, soprattutto di poter amare a sua volta.
La recensione in breve
Hayao Miyazaki è tornato alla sua narrazione poetica ed immaginifica senza mostrare nemmeno un attimo di stanchezza. Anzi, utilizzando gli elementi narrativi tipici della sua filmografia come il rapporto con gli elementi naturali ed il magico, ha costruito una vicenda di evoluzione e crescita all'interno della quale si sente un forte coinvolgimento personale. In questo senso, dunque, il maestro dell'animazione giapponese consegna un film in cui parla di sé, delle difficoltà della propria generazione ma, soprattutto, di quel momento unico ed irripetibile della vita in cui l'inimmaginabile è possibile.
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