Il film: Il traditore, 2019. Regia: Marco Bellocchio. Genere: Drammatico, biografico. Cast: Pierfrancesco Favino, Maria Fernanda Candido, Fabrizio Ferracane, Fausto Russo Alesi, Luigi Lo Cascio. Durata: 148 minuti. Dove l’abbiamo visto: Netflix, Rai 1.
Trama: Una storia vera, un processo che ha sconvolto il paese. L’ex mafioso Tommaso Buscetta diventa collaboratore di giustizia ponendosi contro il potente clan di cui fa parte.
Quello di Tommaso Buscetta è stato un tradimento nei confronti della Mafia o un atto di ribellione rivoluzionario? Questa è la domanda che ha spinto Marco Bellocchio a dirigere Il traditore. Biopic sui generis, il film non somiglia ad altre opere del genere, anzi. È come sempre e prima di tutto un distillato purissimo del cinema dell’autore piacentino. Un’occasione per riflettere sui rapporti di forza tra vittime e carnefici, sulla follia di certe scelte criminali. E su quel magma tossico che è Cosa Nostra, una famiglia allargata che uccide senza remore. Lo raccontiamo nostra recensione de Il traditore.
Il criminale dei due mondi
Fuggito in Brasile nel 1980 per sottrarsi alla faida tra famiglie mafiose, Tommaso Buscetta (uno straordinario Pierfrancesco Favino) su cui pende la condanna di Totò Riina, torna in Italia dopo essere stato catturato dalla polizia sudamericana. Decide di diventare collaboratore di giustizia del giudice Giovanni Falcone. Le dichiarazioni di Buscetta e di Totuccio Contorno, che ne segue le orme, permettono al pool antimafia di scardinare la Cupola. E di capirne il funzionamento.
Nel 1986 inizia a Palermo il maxi-processo che si conclude con la condanna degli imputati, alcuni dei quali giurano vendetta nei confronti del traditore. Buscetta viene quindi messo sotto protezione negli USA, mentre molti dei suoi parenti vengono uccisi. Nel ’92, a Capaci, muore anche Giovanni Falcone che di Buscetta fu leale oppositore. Don Masino affronta allora uno dei pochi temi di cui non aveva mai voluto discutere con il giudice: il rapporto tra Stato e Mafia. Un altro tassello fondamentale di una vita piena di contraddizioni. Finisce i suoi giorni negli Stati Uniti dove muore nel 2000.
Marionette e burattini
Come vive un mafioso? Quali sono le dinamiche a cui deve sottoporsi per dirsi tale? Non solo essi danno la morte, ma vengono costantemente a contatto con essa. Vedono perire figli, padri, madri, fratelli, sorelle. Non riescono a concepire un’esistenza al di là di un presente angoscioso e angosciante, a dispetto della ricchezza e delle belle cose che possiedono. Una vita orribile che Bellocchio riesce a raccontare con rigore formale ineccepibile, penetrando in ogni angolo buio del loro animo.
Buscetta incarna alla perfezione la tragedia di un uomo spaesato, che non appartiene più né a un mondo né all’altro. Continua a ripetere di non essere un pentito, di non essere uno spione. Eppure, in quel rapporto schietto con il giudice Falcone stabilisce una profonda differenza con il mondo in cui è cresciuto. Un mondo che non aveva mai messo in discussione, vero. Ma che in un certo modo non gli era mai stato del tutto familiare. «La mafia non esiste, è un’invenzione della stampa. Esiste Cosa Nostra», dice Buscetta nel primo vero faccia a faccia con Giovanni Falcone. Un confronto in cui Buscetta si esprime su Cosa Nostra quasi parlasse davvero di una grande famiglia felice.
Follia e criminalità
C’è una sequenza bellissima, quella del maxi-processo, in cui i criminali alla sbarra ricordano quelli che campeggiavano in un altro film di Bellocchio, Diavolo in corpo. Quelli erano terroristi che si burlavano dei giudici amoreggiando dietro le sbarre. Qui, i mafiosi urlano e si ribellano, mettono in scena uno spettacolo malato che uno dei giudici definisce teatro patologico. È interessante come Bellocchio associ la disumanità dei criminali alla loro lucida razionalità, che li obbliga a considerare le persone come ostacolo da eliminare senza pietà.
Dove si liberano allora gli uomini? Nei sogni. E come sempre nel cinema dell’autore piacentino l’aspetto onirico e irrazionale serpeggia tra le pieghe del racconto con momenti emozionanti. Il funerale che Don Masino sogna per sé stesso, atto di ideale separazione dalla famiglia mafiosa. O il sogno finale, in punto di morte, in cui riesce a “eliminare” l’uomo che avrebbe dovuto uccidere anni prima e che si era sempre protetto dietro al figlio. Un omicidio che sembra davvero un addio a un mondo che (forse) non gli appartiene più.
Il gangster movie secondo Bellocchio
A dispetto di una messa in scena elegante, a tratti maestosa, il gigantismo di certi gangster movie non appartiene a Marco Bellocchio che racconta la storia di un uomo stanco, ambiguo, pieno di ombre, amante delle donne e delle sigarette. Un soldato semplice, insomma, non un generale che trova il suo corpo perfetto in un Pierfrancesco Favino in stato di grazia. Alle prese con una performance resa quasi totalmente in dialetto siciliano.
Il traditore è infatti anche un film ironico, persino leggero in certi momenti. Perché se in Il Divo Paolo Sorrentino ha drammatizzato il presunto bacio tra Totò Riina e Giulio Andreotti come fosse una rom-com, qui Bellocchio immagina l’incontro fortuito tra Buscetta e Andreotti (affatto somigliante al “vero” Andreotti) in una sartoria da uomo. Con i due protagonisti letteralmente in mutande. Ecco la zampata del grande autore nei confronti di un potere politico che spaventa solo se non lo guardi in faccia davvero.
La recensione in breve
Il traditore di Marco Bellocchio è un film potente che non fa sconti. Il protagonista, il Tommaso Buscetta dello straordinario Pierfrancesco Favino, non è un eroe romantico, ma un uomo ambiguo eppure interessante. Bellocchio confeziona quindi l'ennesimo, elegantissimo, atto d'accusa contro il potere. Di Cosa Nostra e dello Stato.
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Voto CinemaSerieTV