Il film: Io, Robot (I, Robot), 2004. Regia: Alex Proyas. Cast: Will Smith, Bridget Moynahan, James Cromwell, Bruce Greenwood, Alan Tudyk, Shia LaBeouf, Chi McBride.
Genere: fantascienza, thriller. Durata: 115 minuti. Dove l’abbiamo visto: su Disney+, in lingua originale.
Trama: Il poliziotto Del Spooner si ritrova a indagare su un suicidio che lui sospetta essere in realtà omicidio. Solo che il principale indiziato è un robot, teoricamente incapace di uccidere…
Nel 1963 fu data alle stampe la prima traduzione italiana delle celebri tre leggi della robotica a firma di Isaac Asimov: “Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno; un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge; un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.” Tre nozioni fondamentali della fantascienza, al centro del film di cui parliamo nella nostra recensione di Io, robot.
La trama: indagine tecnologica
Siamo a Chicago, nel 2035. Le tre leggi hanno fatto sì che i robot siano parte integrante della vita quotidiana, svolgendo varie funzioni senza alcun rischio per i cittadini. L’unico a non fidarsi del tutto delle macchine è il poliziotto Del Spooner, il quale si ritrova a indagare sulla morte di Alfred Lanning, il fondatore della US Robotics e inventore delle leggi. Ufficialmente è un suicidio, ma Spooner sospetta che qualcuno lo abbia ucciso. Inizia così un battibecco tecnologico e filosofico tra il poliziotto e la scienziata Susan Calvin: lei è pienamente convinta che i robot non siano in grado di violare le tre leggi, ma diversi indizi lasciano intendere che uno degli automi, di nome Sonny, non sia del tutto innocente…
Il cast: uomo o macchina?
Spooner è Will Smith, affiancato da Bridget Moynahan nel ruolo di Calvin. Il robot Sonny è Alan Tudyk, che lo interpreta tramite l’uso della motion capture popolarizzata qualche anno prima dalla trilogia de Il signore degli anelli. James Cromwell è il defunto Alfred Lanning, che appare esclusivamente tramite ologrammi postumi, mentre Bruce Greenwood interpreta il suo collega Lawrence Robertson, che contesta l’indagine di Spooner per il danno d’immagine che potrebbe arrecare alla USR. Il caratterista Chi McBride, noto soprattutto per i suoi ruoli televisivi, ha una parte minore nei panni di John Bergin, il superiore di Spooner in seno alla polizia di Chicago. Shia LaBeouf appare brevemente come uno dei (pochi) amici del poliziotto, e la voce di VIKI, l’intelligenza artificiale che controlla l’edificio della USR, appartiene all’attrice teatrale Fiona Hogan.
Suggerimenti letterari
La cosa più curiosa legata al film, già ai tempi dell’uscita originale nell’estate del 2004, riguarda il credit per l’ispirazione della sceneggiatura: il lavoro di Jeff Vintar e Akiva Goldsman – quest’ultimo ingaggiato apposta su richiesta di Will Smith – sarebbe “suggerito” dal libro di Asimov. Una dicitura tutt’altro che casuale: Vintar ha inizialmente scritto un soggetto originale, Hardwired, interamente ambientato all’interno del luogo del delitto, un giallo alla Agatha Christie con il detective alle prese con testimoni e indiziati sintetici. Nel corso delle revisioni per rendere il progetto più appetibile per il grande pubblico, trasformando un’idea contenuta in un vero e proprio blockbuster, sono emerse più chiaramente le somiglianze con l’opera di Asimov e si è deciso di renderlo un adattamento “ufficiale” per evitare dispute legali, inserendo le tre leggi e personaggi nominalmente provenienti dalla raccolta di racconti, per l’esattezza Susan Calvin (protagonista di gran parte degli scritti brevi asimoviani sui robot) e Alfred Lanning. E così la matrice letteraria è diventata un suggerimento, la scusa per inserire nel film un’anima filosofica che però è appena accennata, soffocando l’animo umano a suon di scene d’azione.
Performance “artificiale”
Paradossalmente, in un lungometraggio che diverte ma perde spesso per strada la componente cerebrale e filosofica che è parte del fascino dell’opera di Asimov (è abbastanza impietoso il paragone con Minority Report, adattamento libero ma spiritualmente coerente di un racconto di Philip K. Dick che fa un’operazione simile a livello di trasposizione del testo originale), l’elemento più umano è l’interpretazione di Alan Tudyk, un lavoro ingannevole a base di fisicità ricreata digitalmente e con una voce che, per quanto riconoscibilmente dotata di qualità artificiali, trasuda qualcosa di autenticamente corporeo (non a caso, l’attore è diventato uno dei nomi più richiesti nel campo delle voci per produzioni hollywoodiane di vario genere, in particolare i lungometraggi d’animazione della Disney dal 2012 in poi). Una performance capace di elevare quello che altrimenti sarebbe il solito thriller calato in un contesto genericamente fantascientifico.
La recensione in breve
L'anima filosofica di Asimov si prende una lunga pausa caffè, ma le interazioni fra Will Smith e Alan Tudyk danno il giusto elemento umano a questo thriller tecnologico.
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Voto CinemaSerieTV