Il film: Io sono tuo padre, 2022. Regia: Mathieu Vadepied. Cast: Omar Sy, Jonas Bloquet, Alassane Diong, Alassane Sy, Bamar Kane, Aminata Wone, François Chattot, Clément Sambou, Oumar Sey. Genere: Drammatico. Durata: 110 minuti. Dove l’abbiamo visto: Anteprima stampa.
Trama: È il 1917 e il mondo si trova nel pieno di quella che verrà ricordata come la Grande Guerra. Un conflitto che ha cambiato completamente i lineamenti del mondo conosciuto e che, soprattutto, ha coinvolto vite ignare all’interno di una guerra sostanzialmente estranea. Una di queste è l’esistenza del senegalese Bakary Diallo che decide di arruolarsi nell’esercito francese non per convinzione ma per non abbandonare il figlio Thierno ad un potenziale destino di sofferenze.
Il ragazzo, infatti, fa parte di quelle giovani leve che la Francia letteralmente rapisce per andare a fortificare i suoi avamposti. Perché all’interno di un conflitto, a quanto pare, esistono sempre delle vite facilmente sacrificabili. Per questo motivo, dunque, i francesi decidono di mandare l’esercito africano in prima linea ad affrontare il pericolo maggiore. Ed in questa visione della guerra e dell’umanità, per un padre diventa sempre più difficile il compito di tenere il proprio ragazzo lontano dal pericolo.
Tra tutti i generi che compongono l’universo cinematografico uno tra i più prolifici è, senza alcun dubbio, quello a tematica bellica. Un successo che dipende essenzialmente da due fattori: i molti eventi cui trarre ispirazione ed i ritratti umani da scovare o tratteggiare. Questo vuol dire, in sostanza, che i film di guerra producono un fascino innegabile sugli spettatori non solo perché si legano ad una concretezza storica appurata e dimostrata ma, soprattutto, perché evidenziano l’umanità e il tormento al loro interno.
In un certo senso, dunque, è possibile affermare che, attraverso il cinema, la Storia si concede il lusso di andare oltre le date, le cause e gli effetti per raccontare l’uomo che quel momento ha percorso e forgiato. Ed in questo flusso si pone anche la seconda regia di Mathieu Vadepied, com’è possibile vedere dalla recensione di Io sono tuo padre.
Trama: L’umanità invisibile tra le pagine della Storia
La Storia, soprattutto se considerata a livello scolastico ed accademico, è composta da una serie di eventi e dal cadenzare di date fondamentali. Momenti che dovrebbero rappresentare i passi fondamentali per raccontare l’evoluzione politica, sociale e culturale del genere umano. Troppo spesso, però, aggirandosi tra nomi importanti di generali ed i riferimenti in codice relativi a delle grandi missioni, ci si dimentica che la Storia non è soggetto ma, bensì, oggetto. Perché al centro della sua stessa creazione non c’è altro che l’uomo. E, il più delle volte, si tratta di una moltitudine senza nome e volto, che non trova nessuna celebrazione globale ma che, di fatto, è la protagonista assoluta.
In questo senso, dunque, si muove la vicenda narrata dal film Io sono tuo padre. Il suo scopo, infatti, è di riportare un evento deflagrante e drammatico come la Grande Guerra ad una proporzione personale ed intima. Un effetto che si ottiene puntando la macchina da presa sull’uomo qualunque e sulla sua piccola ma fondamentale vicenda. Nello specifico gli eventi che coinvolgono Bakary Diallo hanno un potere universale molto forte. Da un racconto personale, infatti, si arriva a tratteggiare una condizione condivisa da una specifica comunità e che, nel suo insieme, compone uno degli infiniti sottocapitoli all’interno di qualsiasi manuale di Storia.
Alla fine della Prima Guerra Mondiale, infatti, la Francia decide di usare, attraverso delle modalità poco ortodosse, giovani leve provenienti dalle colonie africane. Non si tratta però, di arruolamenti volontari o spinti dall’ideale. Bensì di “rapimenti” dai diversi villaggi. Per questo motivo, dunque, Bakary Diallo decide di seguire suo figlio all’interno dell’esercito. Un tentativo, questo, di proteggerlo dalla bruttura della guerra, rispettando anche la promessa fatta alla moglie di riportarlo a casa vivo.
Ma quanto può l’amore di un genitore di fronte a degli eventi imponderabili e, soprattutto, come può schermare il proprio figlio dalla violenza? Il regista Mathieu Vadepied non si propone certo l’intento di fornire risposte a dei quesiti così universali ed empirici. Piuttosto il suo fine è quello di andare ad evidenziare il lato emotivo della guerra, ponendo un chiaro confronto tra il lato umano dei conflitti del passato e quello del presente.
Dal 1917 ad oggi, l’immobilità dell’integrazione
Andando oltre l’aspetto documentaristico della vicenda che trova dei presupposti validi e certi proprio all’interno degli eventi storici della Grande Guerra, questo film mette in evidenza come il passato ed il presente non siano poi così diversi. Almeno per quanto riguarda la “natura” della guerra e, soprattutto, l’applicazione del colonialismo con i suoi effetti negativi. Osservando, infatti, la decisione della Francia di avvalersi di giovani forze africane con la promessa, al termine delle operazioni, della cittadinanza francese, non si può che creare un collegamento con le recenti proteste nelle periferie parigine. Sommosse che, con molta probabilità, sono pronipoti di quel lontano atteggiamento colonialista. Un’attitudine culturale e sociale che non ha mai smesso di esistere e che, anche se in forme diverse, fonda le sue basi ancora sullo sfruttamento e l’emarginazione attraverso l’illusione di un’accettazione definitiva.
Allo stesso tempo, poi, il film ha anche il merito di riportare l’attenzione sull’universalità della guerra. Almeno quando questa fa sentire i suoi effetti sulle vite delle persone, andandola a modificare in modo irreversibile. Da un punto di vista strettamente analitico la Grande Guerra è il conflitto che ha cambiato per sempre la struttura del concetto stesso di guerra. Da quel momento in poi, infatti, terminano gli scontri in trincea e la distruzione viene portata essenzialmente nelle città e tra i civili. Una realtà che si concretizza con il secondo conflitto mondiale e che riporta alle immagini attuali degli scontri tra Russia ed Ucraina. Ma andando oltre la gestione bellica, anche in questo confronto a prevalere è l’aspetto umano. Un particolare che fa riflettere sull’immobilità e la fissità dell’orrore. Almeno per quanto riguarda i suoi effetti secondari.
Alla ricerca di un’identità
La seconda regia di Mathieu Vadepied, dunque, è carica di significati che vengono sviscerati attraverso una forma volutamente “nuda”, priva di orpelli. Lo sguardo, infatti, non si sofferma troppo sull’insieme ma si concentra essenzialmente sul particolare. Un ambito che, in questo senso, è rappresentato dalla sfera intima ed affettiva del rapporto padre/figlio. Un confronto che si gioca attraverso sguardi, silenzi e l’utilizzo di due linguaggi ed idiomi diversi. Bakary, interpretato da Omar Sy, infatti, concretizza il legame alle origini senegalesi attraverso l’utilizzo della lingua Fula.
Da parte sua, invece, il giovane Thierno incarna il futuro, o le aspettative di questo, con l’uso del francese. Due idiomi, dunque, che si pongono alla base di diverse visioni di vita e della ricerca di un’indipendenza e di un’identità che prova a distaccarsi da quella dei padri. In questo modo, ancora una volta, Vadepied, attraverso il passato storico e personale, riesce a raccontare una condizione contemporanea che agita dall’interno qualsiasi famiglia d’immigrati divisi tra il bisogno di ricordare da dove si proviene e la spinta ad andare verso il nuovo.
La recensione in breve
Mathieu Vadepied si appropria di una vicenda storicamente lontana andando ad evidenziare, però, il suo potenziale più umano ed emotivo. Così, attraverso la storia di un padre e di un figlio, sconvolti dagli eventi della Prima Guerra Mondiale, riesce a consegnare un racconto che va ben oltre la mera ricostruzione storica con la capacità di unire passato e presente, Storia ed attualità, umanità ed eventi in un lungo flusso emotivo, sociale e politico.
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Voto CinemaSerieTV