Il film: Kiss the Future, 2023. Regia: Nenad Čičin-Šain. Genere: Documentario. Cast: Bono, The Edge, Adam Clayton, Howie B., Bill Carter. Durata: 103 minuti. Dove l’abbiamo visto: Festa del Cinema di Roma.
Trama: Gli U2 si esibiscono il 23 settembre 1997 a Sarajevo liberata davanti a 45.000 persone, come avevano promesso nel 1993 quando, durante il tour televisivo Zooropa, si erano collegati con la città assediata dall’esercito serbo e avevano dato la parola agli abitanti. La musica, il rock in particolare, come dichiarazione di vita, indipendenza, libertà, ribellione, il tutto orchestrato da Bill S. Carter.
“La guerra è finita quando Bono è salito sul palco“. È tutto in questa frase il cuore di Kiss the Future, documentario, prodotto Matt Damon e Ben Affleck, diretto da Nenad Čičin-Šain a partire dal memoir dell’attivista Bill Carter. E vi stupirà sapere che gli U2 sono quasi marginali in questo bellissimo lavoro (distributori italiani, fatevi sotto). Non fraintendeteci, ci sono eccome, ma sorprendentemente non ne sono i protagonisti. Gli eroi di Kiss the future sono i sopravvissuti alla guerra in Bosnia, i resistenti, donne e uomini che non hanno rinunciato alla vita nemmeno sotto le granate. Come vedremo nella recensione di Kiss the Future, presentato all’ultima Berlinale e mostrato alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Best of 2023, le emozioni che questo film ci dà sono legate sì alla musica del quartetto irlandese, ma soprattutto alla forza di tutte quelle persone.
Music stops War
Il documentario di Čičin-Šain racconta la storia di un’impresa folle, quella che nel 1997 culminò con un concerto storico che gli U2 tennero in una Sarajevo in lenta ripresa dalla dalla guerra. E prima ancora, dell’ancora più folle idea, lanciata dall’attivista americano Bill Carter, di portare tutta Sarajevo sul palco dello Zooropa tour, nel 1993. Erano i giorni terribili dell’assedio e Carter, impegnato in prima linea con l’organizzazione non governativa Serious Road Trip, riuscì a creare un ponte tra la città bosniaca e il mondo. Aiutato dalla sua incredibile faccia tosta, perseguì con coraggio la sua missione e non l’avrebbe mollata per niente al mondo. Così, dopo la morte della sua fidanzata, Carter decise di mettersi in gioco come poteva, ripartendo da Saraievo. Prima distribuendo sostentamenti alla popolazione, poi provando a rompere quel silenzio che si era levato attorno a essa.
La chiave che trovò fu la musica. Sarajevo, infatti, era un luogo ancora vitale, la cui forza si propagava soprattutto attraverso i gruppi punk locali. Stipati in una discoteca sotterranea, decine di ragazze e ragazzi rispondevano ai bombardamenti preservando la loro scintilla. In maniera rocambolesca, Carter riuscì a contattare Bono e gli U2 che furono più che felici di associare ancora una volta il loro nome a una battaglia politica a difesa della pace. Grazie ai collegamenti satellitari, allora, l’attivista americano si adoperò per realizzare delle dirette speciali dalla Bosnia. Per diverse date dello Zooropa Tour nel 1993, negli stadi dove gli U2 si esibivano, donne e uomini che vivevano a Sarajevo facevano sentire la loro voce. Si esprimevano in un inglese semplice ma autentico. E ciò che raccontavano andava oltre le parole. Molti uomini approfittarono di quel palcoscenico per comunicare con le loro fidanzate. E, sbucando sul maxischermo di uno stadio, comunicavano loro di essere ancora vivi e di amarle. In quel momento, a 26 anni di distanza, capiamo un po’ di più cosa sia la guerra. Un mostro che distrugge, dove invece si vorrebbe solo costruire.
Un mondo in rovina
La cosa fu abbastanza rivoluzionaria all’epoca, come tutto lo Zooropa Tour del resto, il primo show a riflettere sulla società dello spettacolo, costruita da immagini svuotate di significato, ripetute in loop. E fu sconvolgente per una serie di motivi. Primo fra tutti perché si parlava di qualcosa che i media lasciavano sistematicamente fuori dai riflettori. Poi perché quell’iniezione di verità era uno shock sostanziale, anche straniante per certi versi. Ascoltare quelle persone raccontare la loro verità davanti a un menestrello “vestito da preservativo” (parole dello stesso Bono) era davvero folle.
Ma per assurdo quella commistione tra morte e vita originò un’energia sconosciuta fino ad allora. A tal punto sconvolgente da diventare quasi controproducente. Perché se il dolore diventava così normale, ripetitivo, allora ci si sarebbe abituati anche a quello. Come nei peggiori reality. Gli U2 scelsero quindi a un certo punto di sospendere le dirette da Sarajevo, ma non interruppero la loro partecipazione al dolore del popolo bosniaco. Quello fu solo un arrivederci fino al grande concerto del 1997, tappa chiave del Pop Mart Tour.
Un luogo simbolo
Sarajevo era un faro, un luogo multietnico in cui convivevano pacificamente tante anime e tante religioni. L’invasione serba, voluta da Slobodan Milosevic, spazzò via tutto, ma non la voglia di vivere delle giovani generazioni, che nella musica punk rock trovarono una ragione per vivere. Sotto i bombardamenti fiorirono amori, vivi ancora oggi. Tutti piansero, ma non dimenticarono di sorridere anche davanti alla tragedia più grande. E questo messaggio che può apparire semplice, diventa fortissimo ascoltando le voci dei diretti testimoni dell’epoca. Giornalisti, musicisti, artisti, che camminavano sotto il fuoco dei cecchini, incerti sul loro futuro. Miro, Alma, Senad, Gino erano giovani, belli, tosti. Le immagini d’archivio, una più potente dell’altra (si fatica a trattenere le lacrime in un più di un momento), si mescolano a quelle di oggi e il risultato è sempre emozionante.
Una memoria da preservare
Gli U2 sono stati forse il primo grande gruppo rock dell’epoca moderna a mettere la sua immagine a disposizione di importanti cause politiche e sociali . Questo non gli ha fatto guadagnare troppa simpatia nel tempo, a causa di un’eccessiva sovraesposizione. Eppure Bono e soci sono sempre apparsi molto genuini in questo loro attivismo. E se è vero, come disse una volta Mick Jagger, che aveva visto Bono camminare sulle acque, è perché questo sfrontato ragazzaccio di Dublino ha scelto con cura le battaglie da combattere.
Come dicevamo all’inizio, gli U2 sono quasi marginali in questo documentario. Il loro è un contrappunto sommesso. Che esplode solo nel meraviglioso epilogo, quasi del tutto occupato dal concerto di Sarajevo. Quando Bono rimase senza voce per l’emozione e affidò lo spettacolo al pubblico. Kiss the Future, allora, è importante non perché dica che la guerra possa essere sconfitta dall’arte, dalla musica. Ma perché afferma con forza, semmai, che nessuna guerra potrà mai disintegrare quella parte di noi che sogna, che ama, che spera. E allora oggi, proprio oggi, con le immagini di Gaza e dell’Ucraina davanti ai nostri occhi, questo documentario ci serve per non perdere di vista la nostra umanità.
La recensione in breve
Sì piange dall'inizio alla fine, in Kiss the Future. Di gioia e di dolore. Ci si commuove ripensando alla prima grande guerra europea, combattuta dopo la Seconda Guerra Mondiale. E alla bellezza di tutti quegli esseri umani che non hanno rinunciato a vivere e amare, nonostante attorno a loro ci fosse solo morte.
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Voto CinemaSerieTV