Il film: La Bête, del 2023 Regia: Bertrand Bonello. Cast: Léa Seydoux, George MacKay, Guslagie Malanga. Genere: Fantascienza. Durata: 146 minuti. Dove l’abbiamo visto: In anteprima al Festival di Venezia.
Trama: In un futuro prossimo dominato dall’intelligenza artificiale, le emozioni umane sono ormai considerate un ostacolo. Per liberarsene, Gabrielle deve purificare il suo DNA: si immerge quindi nelle sue vite precedenti, dove rincontra Louis, la fonte inconscia da cui ogni cosa ha avuto inizio…
Dal thriller Nocturama (2016) all’allegoria politica a tinte horror di Zombi Child (2019), passando anche per il geniale e onirico Coma del 2022, l’autore francese Bertrand Bonello non cessa di stupire per la sua versatilità e per la sua capacità di accostare e padroneggiare generi e linguaggi molto differenti.
Questa volta, con La Bête – liberamente ispirato al racconto The Beast in the Jungle di Henry James – il talentuoso regista d’oltralpe sceglie con coraggio di varcare la soglia della fantascienza.
Una fantascienza, però, decisamente sui generis, che finisce per incontrare le atmosfere del melodramma e del thriller-horror, spaziando anche e soprattutto nel campo del surreale.
Il risultato è un denso e multiforme romanzo audiovisivo dedicato alla paura, all’emotività e alla paura dell’emotività, che si snoda su tre linee temporali differenti: il 1910, il 2014 e il 2044.
Al centro dell’intreccio, tra futuro, presente e passato, c’è il personaggio di Léa Seydoux, che aveva già lavorato con Bonello nel biopic Saint Laurent, affiancata da George MacKay, chiamato a sostituire Gaspard Ulliel dopo la sua recente e improvvisa scomparsa.
Ecco la nostra recensione di La Bête.
La trama: un viaggio purificatorio per liberarsi dell’emotività
L’anno è il 2044: l’intelligenza artificiale ha del tutto rimpiazzato la mente umana, e il tasso di disoccupazione è al 67%.
Per conquistare un lavoro dignitoso occorre mettere da parte qualsiasi forma di emotività, imparando a pensare e interagire come una macchina.
Una scorciatoia è rappresentata dalla procedura di “purificazione”, con cui l’individuo può viaggiare a ritroso nel tempo e risalire il flusso delle generazioni passate, fino a liberare il proprio DNA da quegli elementi da cui scaturisce l’emotività inconscia.
Gabrielle Monnier, stanca di svolgere mansioni non all’altezza, decide con riluttanza di intraprendere questa via.
Dapprima il suo “viaggio genetico” la porta nel 1910, dove finisce a condurre un’esistenza scialba e noiosa a causa del suo matrimonio con un ricco produttore di bambole, e in seguito nel 2014, dove invece si ritrova nei panni di un’attrice pubblicitaria single, del tutto priva di relazioni affettive.
In entrambi i casi nella sua vita irrompe Louis, un uomo con cui Gabrielle sente di avere un legame profondo che travalica le circostanze contingenti, come se i due si conoscessero da sempre.
Nel 1910, Louis ha il volto di un dolce spasimante che le promette di cambiare la sua vita e di proteggerla da un’esistenza triste e infelice, se solo ne avrà la possibilità.
Nel 2014, invece, l’uomo è un sociopatico, ossessionato dalla convinzione di non poter avere una relazione normale.
Quando Louis le appare anche nel presente, in un suggestivo locale notturno, la donna inizia a mettere in discussione le proprie scelte.
Non si tratta, però, di una romantica storia d’amore a lieto fine: in entrambe le linee temporali iniziano anche a fare la loro comparsa oscure profezie del futuro e sinistri presagi di morte.
Una bestia mostruosa e spietata si aggira nell’ombra, e incombe senza pietà sulla vita di Gabrielle…
Un pastiche suggestivo e volutamente asimmetrico
Anche stavolta, Bonello conferma il proprio amore per la contaminazione tra più generi: nelle quasi 2 ore e mezza del lungometraggio si alternano e si intrecciano almeno tre film differenti non soltanto per contenuti e tematiche, ma anche per regia, fotografia, montaggio e colonna sonora.
Un accostamento spavaldo, che alterna un racconto sci-fi minimalista chiaramente debitore degli incubi di Philip K. Dick, un lento e intenso melodramma in costume e un thriller-horror al cardiopalma, a loro volta attraversati trasversalmente da una marcata vena onirico-simbolica che a più riprese sembra voler strizzare l’occhio a Inland Empire, a Mulholland Drive e all’immaginario visivo di David Lynch.
Il risultato è un film molto lungo, volutamente disomogeneo e a tratti un po’ pretenzioso, che però ha il grande merito di proporre una narrazione ambiziosa e proteiforme. Con il suo folle viaggio psicologico, cronologico e genetico, il racconto di La Bête va molto al di là della mera sperimentazione formale, e scava a fondo nei sentimenti dello spettatore con una ricerca stilistica mai fine a se stessa.
Missione compiuta, quindi? A nostro avviso, assolutamente sì.
Bertrand Bonello, tuttavia, deve condividere il plauso con la memorabile Léa Seydoux e il convincente George MacKay: la sceneggiatura non è sempre così compatta, e senza il contributo di due interpreti così versatili e capaci di adattarsi a qualsiasi linguaggio cinematografico non sarebbe stato affatto semplice raggiungere il medesimo risultato.
L’amore (e la morte) ai tempi dell’IA
Da oltre tremila anni, l’umanità continua a interrogarsi su due grandi temi universali, due archetipi che innervano l’intera storia dell’arte e della letteratura: l’amore e la morte.
Senza anticiparvi i contenuti e le svolte impreviste che emergono nella seconda metà del film, sconvolgendo le aspettative iniziali dello spettatore, possiamo soltanto assicurarvi che La Bête non fa soltanto i conti con entrambe le tematiche, ma le affronta in maniera esplicita e approfondita, cercando di esplorarne anche le connessioni più profonde e irrazionali.
L’obiettivo di Bertrand Bonello è proprio quello di far emergere il sotterraneo legame che intercorre tra questi due poli solo apparentemente contrapposti: secondo il regista nizzardo, solo l’amore e la morte – tenuti insieme dalla paura e dall’emotività inconscia – contribuiscono a definire l’essenza stessa del genere umano.
Il binomio Amore e Morte finisce quindi per incarnare il test di Turing definitivo, la cartina di tornasole che permette di tracciare con assoluta certezza un’indelebile linea di confine tra l’uomo e l’intelligenza artificiale.
Senza queste due pulsioni primordiali, l’uomo finisce per “alienarsi”, ossia per divenire qualcosa d’altro, privo della propria essenza più profonda.
In un sistema socio-lavorativo come quello contemporaneo, che sembra privilegiare quasi esclusivamente la fredda logica e le capacità computazionali (“Ritengo di essere qualificata perché sono intelligente”, afferma ingenuamente la protagonista durante un colloquio di lavoro a inizio film), il monito del film di Bonello riecheggia vivido, potente e mai così attuale.
La recensione in breve
Ambizioso e spregiudicato, La Bête gioca arditamente con forme e generi cinematografici molto diversi tra loro per raccontare i due grandi temi universali da cui ha origine l'essenza stessa del genere umano: l'amore e la morte.
- Voto CinemaSerieTv