Il film: La conversione, 2020. Regia: Giovanni Meola. Cast: Giuesppe De Vincentis, Vincenzo Imperatore. Genere: Documentario. Durata: 90 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al RIFF Rome Indipendent Film Festival 2020.
Trama: Il confronto in parallelo delle vicende umane di Peppe, ex rapinatore di banche, ora drammaturgo e attore teatrale, e Vincenzo, ex-manager bancario che ha denunciato un gravissimo nonché impunito sistema di truffe fraudolente perpetrato dal sistema bancario.
Un uomo dalla faccia scavata prende a pugni la parete nuda di una vecchia cella. No non è Robert De Niro in Toro scatenato ma la frustrazione che sprizza è la stessa. Si tratta di Peppe De Vincentis, ex-rapinatore di banche, nonché venditore di sigarette di contrabbando che, da quando è nato, ha sempre preso la vita a pugni, pagandone le conseguenze in prima persona. Poi abbiamo Vincenzo Imperatore, Enzo per gli amici, ex-manager bancario che ha denunciato un gravissimo sistema fraudolento, avallato e promosso dal sistema bancario.
Stiamo parlando del nuovo film documentario di Giovanni Meola, regista napoletano proveniente dal teatro, autore di numerosi corti e documentari, che con questo lavoro scava nelle vite parallele di due outsider, apparentemente eterogenei tra loro, ma in realtà non tanto dissimili in certi aspetti: vedremo perché in questa nostra recensione de La conversione, vincitore tra gli altri del premio per la miglior regia del HIFF Heart International Film Festival 2021, miglior documentario del RIFF Rome Indipendent Film Festival 2020, da poco disponibile sulle maggiori piattaforme di streaming come Prime Video, Chili, Apple Tv, CGTV e Google Play.
La trama: due vite in parallelo
La conversione racconta in parallelo, in forma documentaristica, le vicende umane di Peppe ed Enzo. Il primo, come accennato, ha un passato da rapinatore di banche e gioiellerie, che ha pagato per i suoi crimini e che si è redento tramite l’arte: infatti adesso è attore e drammaturgo. Enzo invece, provenendo anche lui da un quartiere popolare di Napoli, si è costruito, dopo la laurea in economia e commercio, una notevole carriera come manager bancario in un importante istituto di credito.
Nel 2014 ha lasciato tutto e ha scritto un libro, Io so e ho le prove, in cui ha denunciato nel dettaglio delle vere e proprie truffe finanziarie avallate e promosse proprio dal sistema bancario, divenendo di fatto una sorta di Gola Profonda del sistema bancario italiano. Il documentario segue i due uomini in vari momenti di vita quotidiana, facendoli anche incontrare per un confronto accorato e, soprattutto, ripercorrendo con loro i luoghi legati al loro passato e alla loro formazione umana e morale.
Come Jack Nicholson nel cuculo
Se da un lato La conversione sta addosso ai suoi personaggi, in una sorta di pedinamento zavattiniano, dall’altro Meola non rinuncia a degli espedienti finzionali, di impronta teatrale, che si amalgamano in maniera perfettamente organica all’incandescente materiale trattato. Seguiamo per esempio Peppe nei luoghi della sua adolescenza, tra i resti della ex-baraccopoli di Cavalleggeri d’Aosta, denominata “Campo del male”, in cui la sua banda del ‘Campo’ si prendeva a sassate con la banda di ragazzini rivale, chiamata ‘Caserma’. Mentre Peppe racconta di Provolino, suo acerrimo nemico dell’epoca, qualcuno, da fuori campo, inizia a tirargli effettivamente delle pietre, finché lui risponde, riprendendo il vecchio gioco adolescenziale col fantasma di Provolino.
Nel corso del documentario Peppe ci offre inoltre delle vere e proprie performance artistiche, alcune proprio nei luoghi che raccontano, in modo emotivamente forte, il suo passato turbolento: dall’ex Istituto penitenziario minorile Filangieri in cui il giovane Peppe dovette imparare a difendersi per non essere sopraffatto dai guappi rinchiusi con lui, agli spettrali e abbandonati locali dell’ex OPG, Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Questi luoghi testimoniano dell’ordalia di Peppe in un sistema carcerario che dovrebbe redimere e recuperare, ma che invece radicalizza ancor più i piccoli delinquenti in un sistema criminale stringente e inevitabile. Il racconto dell’OPG in particolare, dalle sofferte parole di Peppe, colpisce la coscienza di chi guarda: per evitare il carcere più duro si finge insano di mente, ma gli psichiatri dell’OPG lo imbottiscono talmente di psico-farmaci da minargli per davvero la salute mentale, provocandogli poi strascichi per tutta la vita. Sembra praticamente la storia di Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo, per fortuna senza la lobotomia finale.
Teatro e vita
Le performance teatrali di Peppe costituiscono momenti che sospendono la narrazione documentaria e permettono di entrare in un altro statuto narrativo, in cui l’improvvisazione teatrale o il canto prendono la ribalta, permettendo a Peppe di esprimere sé stesso in una sorta di tempo sospeso. Tutto il documentario in realtà sembra costruito come una pièce teatrale, con intermezzi recitati, entrate strategiche, flashback e colpi di scena: in tutto questo crediamo che abbiano giocato non poco e, aggiungiamo favorevolmente, le origini teatrali di Meola. Soprattutto, nel racconto della scoperta da parte di Peppe della possibilità di esprimersi tramite la scrittura e le parole recitate, esce fuori con vividezza il grande potere di riscatto e liberazione che l’arte riesce a donare a chi ha vissuto in modo estremo.
Chi sono i veri criminali
Anche con Enzo entriamo in punta di piedi nel suo passato, per esempio nel cortile dell’Istituto Salesiano Don Bosco dove, lui racconta, ha imparato quella estrema competitività che lo ha portato da un lato ad eccellere negli studi, dall’altro a non farsi scrupoli nell’assecondare le politiche truffaldine del sistema bancario. Tutto ciò a dispetto dei valori di solidarietà cristiana propugnati dalla scuola intitolata al grande formatore religioso Don Bosco, in cui ha passato infanzia e parte dell’adolescenza.
Sconvolge poi il racconto di Enzo riguardo le tecniche di manipolazione psicologica, promosse dai dirigenti, per truffare i clienti e indurli a investire i loro soldi in prodotti fallimentari con penali di uscita terribilmente onerose, sulle quali si taceva al momento della firma. Viene dunque naturale alla fine paragonare i crimini di Peppe, ovviamente esecrabili, con quelli perpetrati dall’Istituto di bancario in cui ha lavorato Enzo, e trarre delle amare conclusioni.
Stare sul pezzo
La costruzione narrativa alternata de La conversione, nonché il parallelismo tra le vicende dei due protagonisti, si fa via via più serrata e avvincente, mantenendo comunque la giusta distanza e permettendo così allo spettatore di costruirsi una propria opinione in merito. Come accennato, le due storie vengono tenute insieme da una cornice narrativa in cui Enzo e Peppe pranzano a casa di quest’ultimo e confrontano con sincerità e ironia i loro percorsi di vita. Qui non mancano momenti di sospensione che però dicono molto: Enzo si deve lavare le mani ma nel bagno della modesta casa di Peppe non c’è un poggia-asciugamani e così l’ospite è costretto ad appendere il panno bagnato su un tubo che sporge dal soffitto. Enzo, la cui arguzia è evidente nel corso del film, potrebbe uscirsene con una battuta su questo banale inconveniente ma, delicatamente, evita. Un dettaglio apparentemente trascurabile che in realtà dice tanto dei due protagonisti e che nasce da una consapevolezza molto forte di Meola riguardo il suo approccio al documentario e sul quando staccare la telecamera. In altre parole il regista sa stare sul pezzo.
La conversione svolge un accurato e approfondito lavoro di analisi sulle cause sociali e psicologiche che hanno spinto due individui diversi, ma a fare scelte di cui poi pentirsi col senno di poi. Siamo sicuri che non sarebbe dispiaciuto affatto a Francesco Rosi, il grande regista napoletano autore di capolavori come Le mani sulla città che, pur apprezzando certo cinema di denuncia attuale, ne stigmatizzava in alcune interviste la mancanza di analisi. Qui ne abbiamo eccome, non disgiunta però da una partecipata e legittima empatia nei confronti delle due persone di cui si raccontano le incredibili vicende.
La recensione in breve
La conversione è un documentario emotivamente forte, che chiama in gioco la coscienza dello spettatore su temi urgenti e importanti. Lo fa costruendo un racconto in parallelo dei due protagonisti avvincente e sorprendente, mantenendo la giusta distanza senza rinunciare ad una legittima empatia nei loro confronti. Autoironia e commozione sono ben dosate in questo vivido ritratto sociale che si fa specchio dei tempi che viviamo.
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Voto CinemaSerieTV.it