Il film: La divina cometa, 2022. Regia di: Mimmo Paladino. Cast: Toni Servillo, Francesco De Gregori, Ginestra Paladino, Alessandro Haber, Sergio Rubini, Giovanni Esposito, Nino D’Angelo, Tomas Arana, Giovanni Veronesi. Genere: Drammatico. Durata: 96 minuti. Dove l’abbiamo visto: Alla Festa del Cinema di Roma 2022.
Trama: Alla stazione di un luogo non ben precisato si vedono arrivare vari passeggeri. Tra questi una piccola famiglia composta da padre, madre e un bambino. Sono alla ricerca di un misterioso civico 55 e il loro cammino li porta a introdursi tra le vie di un paese apparentemente disabitato. Con il passare del tempo, però, ci si rende conto che nei cortili dei palazzi, nelle stanze ormai decadenti e in altri luoghi bizzarri è possibile incontrare delle figure che riportano alla mente dei riferimenti ben precisi. Alcune arrivano direttamente dal mondo infernale de La Divina Commedia, altre, invece, da quello più rassicurante e sognante del presepe. Non è un caso, infatti, che tra di loro si nota aggirarsi proprio la figura di Dante che, in silenzio, le lascia raccontare le loro storie, grazie alle quali ricostruire un caleidoscopico susseguirsi di umanità.
Lasciate ogni speranza o voi che ambite a guardare storie dalla narrazione lineare o che non accettate di farvi stupire dall’insolito. Così si potrebbe iniziare a parlare de La divina cometa, l’ultima installazione per immagini realizzata da Mimmo Paladino e presentata alla Festa del Cinema di Roma nella sezione Freestyle. In effetti, dare una definizione precisa a questo film non è assolutamente semplice.
Liberandosi dei tradizionali schemi narrativi, infatti, ci troviamo immersi in un viaggio che, al tempo stesso, è visivo, fortemente sensoriale, ma anche emotivo. Un insieme di input che, seguendo le suggestioni di due capisaldi della nostra tradizione culturale, come La Divina Commedia e il simbolismo del presepe, prova a raccontare qualche cosa sulla caducità umana e sull’inspiegabile bellezza che ci è stata donata sotto forma di arte.
Insomma, un percorso impegnativo quello delineato da Paladino e non ci si poteva attendere nulla di diverso, visto il suo ambito artistico e lo stile con il quale interpreta la realtà. Per chi non lo sapesse, infatti, Paladino è uno dei pittori e scultori contemporanei maggiormente incisivi e riconosciuti anche a livello internazionale. Noto come uno dei fondatori della Transavanguardia, dopo aver rinunciato al figurativo, viene conquistato dal cinema, la tecnica che più di chiunque altra esalta proprio la figura.
Nonostante questo, però, ha trovato un modo personale con il quale realizzarla per piegarla alle proprie esigenze narrative. Un esempio è già il suo Quijote, dedicato alla figura di Don Chisciotte, dove riesce proprio a fondere pittura e cinematografia. Oggi, con La divina cometa, torna a usare l’immagine come fosse un’installazione concettuale il cui scopo non è puramente estetico. Anzi, i luoghi scelti, le ambientazioni a tratti anonime e quasi angoscianti servono per completare e definire ancora di più la sua narrazione. Proviamo a comprendere meglio l’anima di questo film ne La recensione de La divina cometa.
Trama: Tra Dante e il Presepe
In un luogo indefinito più personaggi intrecciano le loro strade. Nessuno di loro sembra essere legato all’altro da una relazione, ma tutti sono destinati a compiere dei viaggi solitari. Ognuno, però, ha un ruolo ben preciso che, in un’alternanza di diverse ambientazioni e atmosfere, ha il compito di raccontare l’essenza della cultura italica divisa tra due capisaldi come la Divina Commedia e il presepe.
In questo modo, dunque, si uniscono l’anima alta e quella più popolare di un paese che vive diviso eternamente tra immeritate bellezze e la semplicità d’animo. A sintetizzare questi due cammini che, solo alla fine troveranno un momento di fusione o, per meglio dire, di sovrapposizione, sono i diversi personaggi che si alternano sulla scena.
Dal Conte Ugolino, passando a Paolo e Francesca, fino ad arrivare a una nuova versione dei Re Magi portatori di doni particolari come il teatro, la poesia e la pittura. A loro si aggiunge un quarto viaggiatore, rappresentate del vuoto. La condizione essenziale per far in modo che l’arte, in tutti i suoi diversi aspetti, possa realizzarsi. Perché, senza uno spazio da riempire, non è possibile mettere in atto il processo del creare. Al termine di questo percorso tra anime dannate, ignari, guide e poeti, gli innocenti riusciranno a trovare il loro personale Eden sotto gli occhi attenti di un sommo poeta essenzialmente silente.
L’astrazione della realtà
Quando Dante ha iniziato il suo cammino tra i luoghi più misteriosi e terribili dell’Inferno, non l’ha fatto da solo. Accanto a sé aveva Virgilio, dietro le cui vesti si è nascosto impaurito più di una volta. Paladino, invece, lascia che lo spettatore si confronti con il suo film in perfetta solitudine, facendo leva solamente sulle proprie qualità sensoriali e, soprattutto, sulla capacità di non dover razionalizzare sempre tutto. Una scelta che, pur rappresentando alla perfezione l’artista e il regista, potrebbe essere anche rischiosa.
Affrontare in perfetta solitudine, con pochi e velati appigli lanciati durante il racconto, non è un’esperienza semplice e non è escluso che molti potrebbero rimaner delusi. Il film, infatti, potrebbe essere interpretato come un semplice esercizio di stile, il cui scopo è di accarezzare l’ego di Paladino e non venire incontro al pubblico in nessun modo. In realtà, però, andando oltre l’assenza di una linearità narrativa, questa sorta di quadri viventi, hanno lo scopo di seguire ed evolvere un pensiero creativo ben preciso: riassumere l’essenza della nostra cultura che, in qualche modo, definisce anche l’evoluzione dell’uomo.
In questo senso, dunque, la Divina Commedia e il presepe trovano un punto d’incontro nella loro natura astratta. Entrambi, infatti, non sono altro che una sorta di allegoria, una produzione immaginifica della realtà che gioca sull’astrazione per raccontare una visione quotidiana. Come l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso esistono grazie alla mente di Dante che, in qualche modo, compie un viaggio nell’immaginazione, allo stesso modo accade per il presepe.
Non dimentichiamo, infatti, che questo esiste grazie a Benino, pastore dormiente il cui sogno da vita a questa notte incantata. Un personaggio cui lo stesso Paladino non rinuncia, facendolo incontrare proprio all’inizio del film e inserendolo in altre scene. In entrambi i casi, comunque, ci troviamo di fronte a una sorta di non luogo, che appartiene a tutti e a nessuno. Quel famoso vuoto portato dal pastore di una sola pecora da riempire con l’umana essenza.
La forza espressiva dell’arte
Alle anime in viaggio, in pena o inattesa Paladino offre una sola e grande consolazione: l’arte in ogni sua singola espressione. Così mentre un De Gregori disperso in un paese disabitato impersona la musica e a gran voce cerca i suoi compagni d’avventura, questi hanno iniziato il loro viaggio verso il paese del pane. Un luogo dove tutto è possibile e dove non c’è differenza tra ricco e povero.
Un posto ideale da riempire con gli echi della poesia e del teatro. Per non parlare dei colori accesi della pittura. Nonostante tutto, però, l’arte è destinata a dare consolazione soprattutto quando la vita non ne offre. Per questo motivo, dunque, è importante che la produzione e la sperimentazione di bellezza non si blocchi. La stessa che Paladino mostra e utilizza per mettere in scena una sorta di opera vivente in continua evoluzione.
Perché al di là di ogni significato nascosto o motivazione empirica, La divina cometa è soprattutto un’esperienza visiva. In questo senso, dunque, l’occhio e lo sguardo diventano i protagonisti di un viaggio che ha il fine di colpirli creando, successivamente, delle riflessioni. Il consiglio, dunque, è di avvicinarsi a questo film in modo del tutto consapevole rispetto la sua natura e, soprattutto, di lasciarsi trasportare senza apporre barriere dettate dalla razionalità. In questo modo, e solamente cosi, potrete vivere un’esperienza da ricordare.
La recensione in breve
Ne La divina cometa è evidente il tratto artistico del regista che decide di utilizzare la macchina da presa e il set come elementi per allestire una serie di installazioni. In questo modo è possibile trovare una chiave interpretativa a una serie di quadri umani che, non seguendo alcuna struttura narrativa ma un concetto artistico, lasciano lo spettatore interdetto e disorientato.
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