Il film: La meravigliosa storia di Henry Sugar, 2023. Regia: Wes Anderson. Cast: Benedict Cumberbatch, Ralph Fiennes, Ben Kingsley, Dev Patel. Genere: Commedia. Durata: 40 minuti. Dove l’abbiamo visto: Alla 80° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, in anteprima stampa.
Trama: La storia del ricco inglese Henry Sugar, che grazie alla conoscenza di un libro che racconta di un uomo capace di vedere anche con gli occhi bendati, decide di trarne beneficio per giocare d’azzardo e accumulare ricchezza.
A pochi mesi dalla uscita nelle sale di Asteroid City, il regista e sceneggiatore statunitense Wes Anderson passa con disinvoltura da Cannes alla Mostra del Cinema di Venezia, stavolta con un curioso mediometraggio di circa 40 minuti ispirato ad un celeberrimo racconto breve dello scrittore per ragazzi Roald Dahl, La meravigliosa storia di Henry Sugar. Un concentrato di tutte le manie, gli stilemi e le ossessioni del cineasta di culto che, nel bene o nel male, ultimamente sta polarizzando le opinioni anche dei suoi fan accanitissimi e intransigenti.
Nella nostra recensione de La meravigliosa storia di Henry Sugar, presentato fuori concorso a Venezia 80 ed in esclusiva su Netflix a partire dal prossimo 27 settembre, vi racconteremo la ultimissima fatica cinematografica di Wes Anderson, con un cast eccezionale che comprende Benedict Cumberbatch, Ben Kingsley, Ralph Fiennes, Dev Patel e Richard Ayoade.
La trama: storia incredibile di un truffatore milionario
Henry Sugar, interpretato da Benedict Cumberbatch, un uomo ricco e indipendente a cui piace il gioco d’azzardo, trova e legge il rapporto di un medico su uno strano paziente che si faceva chiamare “L’uomo che vede senza usare gli occhi”. Il paziente (Ben Kingsley) aveva la capacità di vedere anche dopo che i medici avevano sigillato gli occhi dell’uomo e bendato la sua testa. L’uomo faceva parte di uno spettacolo circense e usava la sua capacità per fare soldi, essendosi interessato in passato alla magia per tutta la vita e aveva studiato con Yogi Hardawar (Richard Ayoade) in India, che gli aveva insegnato a vedere attraverso oggetti sottili come carta da parati o carte da gioco, e a vedere attraverso alcuni oggetti solidi come una porta di legno e, se ne aveva occasione, attraverso un dito o una mano. I medici decisero che l’uomo potesse essere di grande beneficio come insegnante dei ciechi, ma le conseguenze del loro interessamento porteranno a conseguenze inaspettate anche per Henry Sugar, il lettore di questo racconto meraviglioso.
Da uno dei racconti brevi meglio riconoscibili del celeberrimo scrittore americano per ragazzi Roald Dahl, Wes Anderson sbarca fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e su Netflix a partire dal 27 settembre con The Wonderful Story of Henry Sugar, un mediometraggio di circa 40 minuti che racchiude con una curiosa struttura a matriosca molti dei tempi cari al cinema di Anderson, tra cui quello del piacere del racconto, della immaginazione e degli infiniti possibilismi, anche visivi, della narrazione.
Ode all’arte di saper raccontare una storia
Continuando un percorso contenutistico che aveva precedentemente affrontato con il suo lungometraggio Asteroid City, Wes Anderson firma un adattamento da lui stesso curato sin dalla stesura della sceneggiatura del racconto breve omonimo di Roald Dahl, mischiando le carte in tavola ed allestendo un mediometraggio ricco di star del suo cinema che poco si sofferma sugli insegnamenti di vita del racconto ammonitore, ma che invece enfatizza ruolo degli interpreti e struttura del racconto. Il risultato alla fine sembra ricordare la forma visiva di una vera e propria matriosca di narratori, di punti di vista del racconto, dove ogni singolo attore, da Benedict Cumberbatch a Ralph Fiennes, recitano le parole e i dialoghi di Roald Dahl rivolgendosi ostinatamente al pubblico al di la del piccolo e grande schermo che sia, instaurando un dialogo fantasma non solo tra spettatore ed interprete, ma anche tra narratore e lettore, in un certo senso.
Difatti La meravigliosa storia di Henry Sugar, oltre ad avvalersi di scenografie e situazioni roteanti che paiono uscire da un libro di pop up o da un ricchissimo e caleidoscopico palcoscenico teatrale, insiste nel trasmettere alla audience cinematografica e televisiva la sensazione di veder recitate le righe esatte del racconto breve di Roald Dahl da interpreti di razza, una forma di videolibro che seppur inedita per il cinema di Wes Anderson, ne conserva la sua ossessione e il piacere per la meraviglia e le storie raccontate bene.
Prendere o lasciare Wes Anderson?
Ma nonostante tutto, il progetto targato Netflix intrapreso da Wes Anderson non basta a sopire i malanimi dei suoi seguaci intransigenti ed appassionati, forse negli ultimi tempi stanchi di assistere a lungometraggi e progetti cinematografici scritti e diretti dal cineasta statunitense tutti troppo similari a se stessi, caroselli di sceonografie, costumi, soluzioni visive e narrative che di meraviglioso da tempo non possiedono quasi più nulla, se non scelte artistiche prevedibili, calcolabili anche dagli spettatori meno smaliziati. La meravigliosa storia di Henry Sugar non fa purtroppo eccezione, confermando una deriva ostinata di Anderson verso un protezionismo della propria arte registica e di scrittura cinematografica che rischia di isolarlo felicemente.
Ma quindi alla fine, prendere o lasciare il mediometraggio Netflix firmato da Wes Anderson? Il progetto di trasposizione del racconto breve di Roald Dahl, a cui seguiranno i giorni successivi al debutto del 27 settembre in piattaforma altri racconti brevi di Dahl curati dallo stesso quali The Swan, The Ratcatcher e Poison (rispettivamente, il 28, 29 e 30 settembre) rende di sicuro felici e contenti i tanti appassionati del cinema del regista di culto di pellicole dallo stile inconfondibile come I Tenenbaum e Grand Budapest Hotel, scontentando invece una crescente fetta di insofferenti al conservatorismo artistico di Anderson, imbrigliato sempre di più in un gioco di racconto e narrazione per grande, e adesso piccolo, schermo che sembra non interessare quasi più nessuno, se non lui stesso. Sta a voi prendere o lasciarlo, alla fine della fiera.
La recensione in breve
Wes Anderson sbarca su Netflix, e lo fa con un mediometraggio della durata di soli 40 minuti circa ispirato ad un racconto per ragazzi pubblicato da Roald Dahl alla fine degli anni '70. Pochi minuti per concentrare tutte le manie e le ossessioni del regista statunitense nel bene e nel male; piacerà più ai suoi aficionados, annoiando gli altri.
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