Il film: La ragazza della palude (Where the Crawdads Sing), 2022. Regia: Olivia Newman. Cast: Daisy Edgar-Jones, Taylor John Smith, Harris Dickinson, Michael Hyatt, Garret Dillahunt, Ahna O’Reilly, David Strathairn.
Genere: drammatico, thriller. Durata: 125 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Locarno Film Festival, in lingua originale.
Trama: Catherine “Kya” Clark vive da sola in mezzo a una palude nel North Carolina, dopo che la casa è stata progressivamente abbandonata da tutta la famiglia. Non interagisce praticamente mai con la comunità locale, fino al giorno in cui viene accusata di omicidio…
In un periodo in cui il box office è generalmente dominato da supereroi, alieni e quant’altro, è un segnale incoraggiante quando un titolo più piccolo, per quanto non propriamente originale (dato che alla base c’è un romanzo di successo), riesce a fare breccia nel cuore del pubblico. È il caso del lungometraggio di cui parliamo in questa recensione de La ragazza della palude, che arriva nelle sale italiane dopo aver già racimolato più di 100 milioni di dollari (quattro volte il suo budget) in vari mercati, oltre che intrattenuto una parte degli spettatori italofoni con la proiezione in Piazza Grande a Locarno.
La trama: le insidie della natura
La vita di una tranquilla comunità rurale del North Carolina è sconvolta quando viene rinvenuto il cadavere di Chase Andrews, il popolare quarterback della regione. Chase aveva una relazione con Catherine “Kya” Clark, nota come “la ragazza della palude” perché vive da sola in mezzo al nulla, nella casa che è stata abbandonata dal resto della famiglia nel corso degli anni. Lei è immediatamente sospettata dell’omicidio del ragazzo, e il suo essere “diversa” la rende automaticamente colpevole agli occhi della popolazione locale. Spetta all’avvocato Tom Milton dimostrare che, al netto del ragionevole dubbio, non ha senso condannarla a priori solo perché è cresciuta in circostanze poco convenzionali.
Il cast: una giovane promessa al centro
Presenza dominante del film è la giovane rivelazione inglese Daisy Edgar-Jones, lanciata dalla serie Normal People e già con un percorso molto promettente, che in occasione della proiezione a Locarno è stato riconosciuto con il prestigioso Leopard Club Award. È circondata da altri giovani talenti, più alcuni veterani di un certo peso. In particolare, il padre di Kya ha il volto di Garret Dillahunt, illustre caratterista soprattutto per il piccolo schermo e attore-feticcio di David Milch (che in Deadwood, pur di non dover rinunciare alla sua presenza sul set, gli assegnò ruoli diversi nelle tre stagioni dello show), mentre Milton ha le fattezze di David Strathairn, la cui calma dignità è l’ideale per il ruolo dell’avvocato dopo essere stato dall’altra parte della barricata quasi trent’anni fa ne Il socio (dal romanzo di John Grisham, anch’egli appassionato di storie giudiziarie in ambiente rurale).
La palude del cliché
Adattando il controverso romanzo di Delia Owens (la quale avrebbe trasposto elementi di un vero caso in Zambia, dove lei ha vissuto ed è attualmente ricercata per rispondere a domande in merito in quanto testimone), la regista Olivia Newman – al secondo lungometraggio dopo First Match, disponibile su Netflix – vuole al contempo abbracciare la dimensione pulp della storia, principalmente tramite l’estetica e alcuni sviluppi narrativi, e infondere all’operazione una certa sincerità emotiva. Così, ottimi attori – Edgar-Jones e Strathairn su tutti – si ritrovano a scontrarsi con un film che non merita le loro prestazioni, dove il luogo comune si oppone a chi vorrebbe elevarlo. Va detto, però, che tale incompatibilità è a suo modo più affascinante dell’uniformità di altri progetti ben più gettonati, ed è per certi versi confortante che la scommessa della Sony, disperatamente alla ricerca di materiale acchiappapubblico che non sia tratto da un fumetto o un videogioco, abbia dato i frutti sperati nell’ambito di un mercato dove operazioni simili sono prossime all’estinzione.
La recensione in breve
Ne La ragazza della palude le ottime prestazioni degli attori non possono compensare l'eccessivo peso dei cliché in questo thriller che adatta in modo schematico il controverso romanzo di Delia Owens.
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