Il film: Le grand chariot, 2023. Regia: Philippe Garrel. Cast: Louis Garrel, Damien Mongin, Esther Garrel, Lena Garrel, Francine Bergé, Aurélien Recoing, Mathilde Weil, Asma Messaoudene.
Genere: Drammatico. Durata: 95 minuti. Dove l’abbiamo visto: alla Berlinale, in lingua originale.
Trama: Tre fratelli portano avanti l’attività famigliare degli spettacoli con marionette, nonostante le difficoltà finanziarie del settore.
Veterano di tutti i grandi festival internazionali, Philippe Garrel è uno dei nomi di punta del cinema francese, in parte per il suo essere al centro di una delle dinastie cinematografiche transalpine in quanto figlio del caratterista Maurice Garrel, fratello del produttore Thierry Garrel e padre di Louis Garrel, attore di successo e da una decina d’anni anche regista dallo sguardo non indifferente. Forse non a caso, la famiglia ha spesso avuto un ruolo importante nell’opera di Garrel padre, e lo si vede ancora una volta in quello che per certi versi è il film più autobiografico e personale di quelli recenti, presentato in concorso alla Berlinale 2023. È il film di cui parliamo nella nostra recensione di Le grand chariot.
La trama: pupazzi senza gloria
Louis, Martha e Lena sono i figli di un noto marionettista, e da tempo lo aiutano a portare avanti gli spettacoli, un vero e proprio affare di famiglia dal momento che anche la nonna contribuisce al lato artistico di questa attività. Un percorso appagante sul lato umano, un po’ meno su quello economico.
Sapendo di non poter andare avanti in eterno, il genitore recluta Pieter, amico di Louis, per dare una mano e forse risollevare le sorti di questa scelta di vita. Varie circostanze, lavorative e private, portano la nuova generazione a interrogarsi su quello che stanno facendo, tra frustrazioni artistiche e confusioni sentimentali, con Pieter e Louis che si allontanano gradualmente dal microcosmo delle marionette mentre Martha e Lena cercano di capire come adattarsi a un mondo che forse vuole qualcosa di diverso dalle solite storie che loro portano in scena da anni…
Il cast: la famiglia d’arte
Con fare squisitamente metacinematografico, Garrel padre ha dato tre dei quattro ruoli principali ai propri figli, due dei quali con gli stessi nomi di battesimo che hanno nella vita reale (Louis e Lena), mentre Esther interpreta Martha, creando un terzetto il cui affiatamento reale si traduce in un bel rapporto umano sullo schermo. E l’effetto della riunione è presente anche nella scelta degli altri due membri della famiglia, dato che Aurélien Recoing (il padre) e Francine Bergé (la nonna) sono volti che abbiamo visto negli altri film del regista, e per il ruolo di Pieter, affidato con simpatia a Damien Mongin che ritrova il cineasta per la prima volta dal 2011, quando ha recitato al fianco di Louis e Monica Bellucci in Un été brûlant (e nel 2005 era stato proprio Philippe Garrel a farlo esordire sul grande schermo con Les amants réguliers). Per la prima volta alla corte del cineasta sono invece le due presenze femminili “esterne” Mathilde Weil e Asma Messaoudene, rispettivamente compagna e amante di Pieter.
Vecchi e nuovi collaboratori
C’è un velo di malinconia che attraversa tutto il film, seppure molte delle peripezie abbiano un certo fascino umoristico, e un importante indizio in merito si cela nei titoli di coda: tra i quattro sceneggiatori del lungometraggio, oltre allo stesso Philippe Garrel e le collaboratrici abituali Caroline Deruas (madre di Lena) e Arlette Langmann, c’è Jean-Claude Carrière, il grande scrittore francese che ha avuto un lungo sodalizio con l’intera famiglia (ha partecipato alla scrittura di due dei primi tre film da regista di Louis) prima di spegnersi nel 2021.
Se questo abbia influito o meno sul tono del risultato finale è difficile dirlo, anche se è indubbio che rispetto alle ultime regie che vantavano un bianco e nero sublime ci sia un tocco di calore umano in più tramite la scelta di uscire a colori (sempre con il grande Renato Berta alla fotografia, il cui contributo è all’origine della co-produzione svizzera per un film che altrimenti è molto francese). Un calore che si traduce anche nell’amore per l’arte in tutte le sue forme – marionettistica, teatro, pittura – con un approccio molto tattile, artigianale, personale. Un piccolo esercizio di grande empatia, che riesce a tramutare il microcosmo molto specifico di Garrel padre – davanti e dietro la macchina da presa – in struggente racconto dalla potenza universale.
La recensione in breve
Philippe Garrel parla ancora una volta di arte e famiglia (la sua, con i figli davanti alla macchina da presa), con un calore umano che conferisce a un racconto personale una valenza molto universale.
- Voto CinemaSerieTV