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Home » Film » Recensioni film » Love Life, recensione: andare avanti chiudendo col passato

Love Life, recensione: andare avanti chiudendo col passato

La recensione di Love Life, film giapponese drammatico di Kôji Fukada, presentato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2022.
Alessio ZuccariDi Alessio Zuccari10 Settembre 20224 min lettura
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Il film: Love Life, del 2022. Regia di: Kôji Fukada. Cast: Fumino Kimura, Kento Nagayama, Tetta Shimada.
Genere: drammatico. durata: 123 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Venezia 2022.

Trama: Taeko, suo marito Jiro e suo figlio Keita conducono una tranquilla vita di città. Le giornate sono monotone ma serene e Keita è un piccolo campione del gioco da tavolo Othello. Ma improvvisamente questo equlibrio viene sconvolto da un terribile evento traumatico che sfalda la serenità della famiglia.


Un po’ ritratto familiare alla Kore’eda, un po’ elaborazione del dramma alla Drive My Car di Hamaguchi. Come vedremo nella nostra recensione di Love Life, il grande problema del film è che ben presto si dimostra incapace di imboccare nettamente il suo percorso. Il film di Kôji Fukada, presentato in Concorso alla 79esima edizione del Festival di Venezia, tiene i piedi in due staffe e non riesce a decidere cosa vuole essere davvero.

La trama di Love Life

love life

Taeko (Fumino Kimura), suo marito Jiro (Kento Nagayama) e suo figlio Keita (Tetsuto Shimada) conducono una vita abbastanza tranquilla. Vivono assieme nell’appartamento dell’uomo dopo che la coppia ha deciso di sposarsi qualche mese prima nonostante l’avversione dei genitori di lui nei confronti di questa unione.

I dissapori vengono però in qualche maniera superati, un po’ mandati un giù e un po’ nascosti sotto il tappeto. Tutto sembra ruotare attorno al piccolo Keita, giovanissimo campione del gioco da tavolo Othello. Questo vissuto magari ripetitivo ma onesto viene a un certo punto sconvolto da una brusca rottura dell’equilibrio.

Accade qualcosa che sfalda il matrimonio alle fondamenta, che scinde il nucleo di questa famiglia con lo scopo di andare a ritrovare altrove la via di una pace interiore prima individuale che di coppia. Tornano anche dal passato l’ex marito di Taeko, Makoto (Tomorowo Taguchi), e l’ex fidanzata di Jairo, Yamazaki (Hirona Yamazaki), fantasmi di un passato probabilmente mai archiviato del tutto.

Ritratto di dramma familiare

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Dopo i primi venti minuti di spiccata dolcezza, Love Life scarta di netto e pare aver già esaurito la capacità di articolare un discorso solido. Utilizza l’arrivo di un forte trauma come il motore per andare a indagare le crepe rimaste aperte nel mezzo di un rapporto in apparenza solido eppure viziato da ossidazioni di semi verità e disapprovazione familiare.

Sarebbe in potenza anche interessante inoltrarsi in questa selva seguendo la formula dei due toni evocati in apertura di questo articolo, ma il fatto è che il film di Fukada non possiede né la sensibilità di volumizzare i suoi due protagonisti tramite i contrasti come fa Kore’eda, né la capacità di cogliere il siderale di un dolore inesprimibile a parole come fa Hamaguchi nella sua opera premio Oscar.

Se Taeko e Jiro appartengono a quella porzione di film che ci vorrebbe parlare tramite i silenzi e i momenti di incomunicabilità, l’entrata in scena di Makoto in particolare si pone nelle intenzioni come l’altro piatto della bilancia con la sua carica irrazionale e contraddittoria.

Troppe anime sotto lo stesso tetto

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Il punto è che, al centro di tutto questo, quel trauma da elaborare che degli eventi è la scintilla scatenante si sciupa in tante piccole deviazioni che paiono sconnesse dalla motivazione che le ha inizialmente originate. Dietro la parete della riscoperta di questi rapporti in sospeso non c’è niente, la strada intrapresa porta anzi distante con le emozioni e si disallinea totalmente nei toni e nelle forme.

Il riavvicinamento di Taeko al personaggio abbastanza odioso di Makoto la conduce per una serie di ragioni fino in Corea del Sud, ma la linea ironica su cui talvolta si innesta il dialogo pare stare in un film a parte, in una storia raccontata altrove che con la frattura che la donna deve affrontare non ha davvero niente a che vedere.

Per certi versi pure peggio va nel caso di Jiro, un personaggio impalpabile i cui contrasti familiari galleggiano sulla superficie prima di sparire dentro un buco nero. Love Life gli dedica poi sulla carta meno spazio e quindi di conseguenza concede ancora meno ossigeno per chiudere quei conti in sospeso buttati dentro al calderone, affastellati a parole e nulla più.

Il film di Fukada vuole essere più cose insieme ma non trova mai la sintesi dove far convergere anime forse troppo diverse per coesistere sotto lo stesso tetto. Si fa respingente ancora prima che vuoto, colpevolmente anaffettivo e freddo nei confronti dei suoi protagonisti.

La recensione in breve

5.0 Impalpabile

Love Live di Kôji Fukada, presentato in Concorso alla 79esima edizione del Festival di Venezia, è un film impalpabile. Parte da un forte trauma familiare per dare la propulsione a un dramma che nelle intenzioni vuole esplorare l'irrisolto nelle vite dei suoi protagonisti, di fargli attraversare un percorso di elaborazione che in realtà non avviene mai.

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