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Home » Film » Recensioni film » L’uomo più felice del mondo, la recensione

L’uomo più felice del mondo, la recensione

La recensione de L'uomo più felice del mondo, ultimo lavoro della regista macedone Teona Strugar Mitevska, presentato nella sezione di Orizzonti del Festival di Venezia 2022.
Alessio ZuccariDi Alessio Zuccari5 Settembre 20225 min lettura
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l'uomo più felice del mondo cover
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Il film: L’uomo più felice del mondo del 2022. Regia di Teona Strugar Mitevska. Cast: Jelena Kordić Kuret, Adnan Omerović, Labina Mitevska.
Genere: drammatico. Durata: 95 minuti. Dove lo abbiamo visto: al Festival di Venezia 2022.

Trama: Asja è una donna single che vive nella città di Sarajevo, la capitale della Bosnia. Per fare nuove conoscenze frequenta esilaranti eventi di speed dating. Un giorno incrocia la sua strada con quella di Zoran, che al posto dell’amore sta cercando invece la possibilità del perdono.

All’interno della filmografia di Teona Strugar Mitevska il suo penultimo film Dio è donna e si chiama Petrunya faceva un po’ da mosca bianca. Era il ritratto feroce e satirico dell’arretratezza culturale di una Macedonia incapace di stare al passo con i tempi, persa dietro a una tradizione maschilista pronta a stringersi la croce in petto quando a muovere un passo in avanti era una donna. Altrimenti Mitevska si è sempre prevalentemente interessata a una discussione attorno all’elaborazione delle conseguenza del conflitto serbo-bosniaco, tema al quale torna anche adesso, come vediamo nella recensione de L’uomo più felice del mondo. Presentato nella sezione di Orizzonti in occasione della 79esima edizione del Festival di Venezia, è un film piccolo ma in grado di rievocare un orrore sommerso e che torna spesso a galla.

La trama

l'uomo più felice del mondo

Asja (Jelena Kordić Kuret) è una donna single che vive in una città che porta sopra i muri dei palazzi i segni evidenti delle ferite di una guerra ancora vivida nel ricordo. Siamo a Sarajevo, la capitale della Bosnia. Per conoscere nuove persone e magari trovare un partner da frequentare, partecipa a eventi di speed dating dalle lunghe e talvolta esilaranti sessioni.

Qui incrocia la sua strada con Zoran (Adnan Omerović), un banchiere di poco più grande di lei che però non è in cerca della propria anima gemella, bensì di un’opportunità per confessarsi e chiedere perdono per essere stato parte di quell’orrore ancora impresso sul corpo della città. E non solo di questa.

L’uomo più felice del mondo è ambientato quasi per tutta la sua interezza all’interno dello spazio di questo edificio, dove sullo sfondo si avvicendano i volti e le storie degli altri partecipanti all’evento. Al centro però ci sono Asja e Zoran, uno di fronte all’altro, in uno scambio serrato di colpi su colpi in quello che è un mettere sopra al tavolino un rimosso estremamente doloroso.

L’orrore della guerra che scorre sommerso

l'uomo più felice del mondo

Monta un poco alla volta il racconto dell’orrore, prima compresso nello sguardo cerchiato dalle occhiaie di Zoran, poi dell’incredulità che cede il posto all’ira sulla bocca di Asja. Kuret è una pentola a pressione che si fa carico dello strazio che non è solo della donna di cui veste i panni, ma di una sofferenza collettiva pronta a riemergere appena si gratta un poco la superficie della normalità a cui questo gruppo di persone prova a partecipare.

Perché se in un primo momento L’uomo più felice del mondo innesta qui e là questi semi del dolore nascondendoli sotto una chiave quasi ironica, poco a poco li si vede germogliare e spaccare in due la finta quiete di questo spazio che ha le sembianze di un purgatorio. Il film cambia faccia, si incupisce, si radicalizza nel trauma fino a farlo irrompere, letteralmente, nel mezzo della stanza, con tanto di mitra spianati.

Ci si ritrova davanti a una realtà che è lì, non va via, ammorba la vita di persone che nel più sanguinoso conflitto nel cuore dell’Europa recente hanno perso qualcuno o qualcosa. E la mente non può che correre anche alle immagini, così familiari, della guerra in corso tra Russia e Ucraina, a come la brutalità possa essere così tremendamente vicina ai confini di quello che è il “mondo civilizzato”.

La necessità della catarsi

l'uomo più felice del mondo

La questione serbo-bosniaca sembra insomma tutt’altro che superata, anzi è radicata a fondo nella coscienza collettiva anche del cinema che prova a elaborarla, esorcizzarla. Basti pensare al magnifico Quo Vadis, Aida? di Jasmila Zbanic, transitato sempre al Festival di Venezia, incentrato sui terribili momenti che hanno preceduto il massacro di Srebrenica, città il cui nome esce inevitabilmente fuori anche ne L’uomo più felice del mondo.

Il filo che lega la vicenda di Asja e Zoran si fa quindi conduttore di una faccenda ben più ampia, si fa voce amplificata di un passato stretto ancora tra i denti e da cui molti non riescono a smarcarsi. Non si deve dimenticarlo, certo, ma nemmeno rimanere vittime appese al senso cieco dell’odio. E Mitevska affida infine il testimone del cambiamento alle nuove generazioni, in mezzo alle quali Asja vive un breve ma intenso momento liberatorio, un ballo che ha il sapore della catarsi e della speranza.

Un film che è elegia del “perché non possa ripetersi”, così tristemente beffato da una realtà che, ancora una volta, è sorda alla necessità di apprendere da ciò che è stato.

La recensione in breve

7.5 Catartico

Presentato nella selezione di Orizzonti del Festival di Venezia 2022, l'uomo più felice del mondo della regista macedone Teona Strugar Mitevska è un'opera catartica che si fa tappeto per l'elaborazione del trauma della guerra serbo-bosniaca, dove il filo che lega la protagonista Asja a Zoran è la linea del dolore sommerso di un intero popolo.

  • Voto CinemaSerieTV 7.5
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