Il film: May December del 2023. Regia di: Todd Haynes. Cast: Julianne Moore, Charles Melton, Natalie Portman. Genere: drammatico. Durata 113 minuti. Dove lo abbiamo visto: anteprima stampa al Festival di Cannes, in lingua originale.
Trama: Una famosa attrice si reca a Savannah per passare del tempo con Gracie, una donna la cui storia interpreterà nel suo prossimo film. Gracie è stata famosa, anni prima, per aver instaurato una torbida relazione con un ragazzo pre-adolescente, che poi una volta diventato maggiorenne ha sposato.
May December è un oggetto strano da decifrare, così come lo è una larga parte della carriera di Todd Haynes. Un regista innamorato dei propri interpreti, della loro immagine e del concetto stesso di immedesimazione. Proprio su questi temi sembra volersi concentrare in May December, un’opera che gioca sull’anima soap degli Stati Uniti d’America ma che nel suo volersi divertire sembra perdere il filo del racconto e soprattutto la sua messa a fuoco empatica. O almeno questa è la nostra opinione da europeo e, ancor più nello specifico, da italiani. Perché, come vedremo nella nostra recensione di May December, il film di Todd Haynes sta ricevendo pareri contrastanti, all’insegna di una spaccatura tra la critica americana e quella europea. E questo forse è anche il suo merito (non sappiamo quanto volontario) più grande.
La trama: la spettacolarizzazione di un fatto di cronaca
In May December Haynes ci porta in una sorta di grande melò con qualche tinta di noir. Ventitré anni fa Gracie Atherton-Yoo (Julianne Moore) ha instaurato una relazione con Joe (Charles Melton), un pre-adolescente di origini coreane. Il ragazzino all’epoca aveva tredici anni, stessa età del figlio della donna con il quale frequentava la stessa scuola. La vicenda diverrà un enorme fatto di cronaca, la donna finirà in galera dove avrà anche una figlia frutto della relazione con Joe. Ovviamente una vicenda del genere ha raccolto le grandi attenzioni della stampa, divenendo a tutti gli effetti un caso mediatico pronto a essere trasformato in un film.
E qui entra in scena l’Elizabeth Berry di Natalie Portman, chiamata a vestire i panni Gracie. L’attrice entra nella vita della donna, ora sposata con Joe, interessata a carpire ogni sfumatura e indizio che possa aiutarla a garantire un’interpretazione migliore. Da qua parte una vera e propria indagine, tortuosa e non priva di colpi di scena, che avrebbe potuto portare May December a diventare un thriller se non fosse che Haynes ha preferito la parte più legata all’immagine e ai toni di un melò dalle sfumature da soap opera.
La forma che prevale la sensibilità
May December sarebbe potuto essere tante cose. La vicenda portata in scena poteva prestarsi a molteplici chiavi di lettura, di analisi e di rappresentazione. Todd Haynes però ha scelto un’unica via, ovvero una riflessione sull’immagine e sulla rappresentazione. Non è un caso che la regia dell’autore si soffermi e giochi con costanza con gli specchi e quindi con le immagini riflesse. Tra queste anche una delle scene migliori del lungometraggio, quella in cui durante una prova vestito della figlia della coppia, Gracie e Elizabeth sono sedute pronte a dare il loro parere. Inquadrate da una camera fissa abbiamo Natalie Portman seduta tra Julianne Moore e il riflesso nello specchio di quest’ultima. Il gioco che si crea è molto interessante, con Elizabeth che replica ogni gesto di Gracie, divenendo a sua volta un riflesso in carne ed ossa di quest’ultima. Questo sguardo di Haynes è senza dubbio interessante.
Il problema sorge dal momento in cui oltre a questo non si trova o percepisce altro. Tutto May December è attraversato da questo gusto camp che prevalica ogni possibile emozione o sfumatura. Fin dalla primissima scena fa il suo ingresso nel film la colonna sonora, direttamente uscita dalle soap opera americane anni ’80, utilizzata per accentuare fino all’eccesso la gravitas di un qualsiasi momento, anche quelli meno significativi. Lo stesso si può dire per le interpretazioni, volutamente fino alle righe fino all’eccesso. In questo senso non abbiamo dubbi che l’operazione messa in campo da Haynes sia estremamente consapevole. Un’opera volta a sviscerare l’ossessione per lo sguardo, la forma e l’imitazione. Il problema subentra nel momento in cui null’altro traspare. Una vicenda traumatica e ricca di spunti come quella raccontata avrebbe meritato, oltre alla forma, una sensibilità differente. Uno sguardo meno consapevolmente finto e più interessato a quello che si stava mettendo in scena.
La questione culturale e la ricezione differente
La opinioni discordanti che stanno contornando May December sono molto interessanti. La critica americana (o meglio anglosassone) sta abbracciando con calore il film di Haynes, tanto che al momento in cui scriviamo il film è tra i più apprezzati (secondo la griglia di Screendaily) tra quelli presenti al Festival di Cannes. Tutt’altro è invece il parere ricevuto dalla stampa europea e italiana. Sembra che l’operazione di Haynes abbia trovato più consenso là dove la cultura della soap opera, del melò e in generale di un certo tipo di immagine a tinte camp sono più radicate. Un linguaggio fin troppo artefatto di cui siamo curiosi di vedere gli effetti sul pubblico una volta che il film sarà approdato in sala. Per quanto ci riguarda, nonostante questo interessante cortocircuito, nato dalle differenze culturali spontanee e naturali tra i membri della critica internazionale, May December porta con sé fin troppe lacune empatiche e narrative per farci apprezzare un’operazione del genere.
La recensione in breve
May December è il nuovo film di Todd Haynes in concorso al Festival di Cannes 2023. Un'opera in cui il regista americano porta un melò incentrato su una riflessione sull'immagine, volta a cercare fino allo sfinimento il gusto camp tipico della soap opera. Per quanto l'operazione possa essere interessante, la forma prevalica con spregiudicatezza il contenuto e come risultato si ha un film squilibrato dove a mancare è la sensibilità giusta.
- Voto CinemaSerieTv