Il film: Missing – Il casoLucie Blackman, 2023. Regia: Hyoe Yamamoto. Cast: Tim Blackman, Sophie Blackman, Katsuyoshi Abe, Yasuhiko Asano, Jake Adelstein e Clare Campbell. Genere: Documentario, True-Crime. Durata: 82 minuti. Dove l’abbiamo visto: Netflix.
Trama: Ventitré anni fa, la britannica Lucie Blackman è salita alle pagine della cronaca nera a causa della sua improvvisa sparizione, unendo due mondi in apparenza e in sostanza molto diversi tra di loro. La ragazza, infatti, si trovava a Tokyo per vivere un’esperienza fuori dal proprio paese. Il desiderio di viaggiare e scoprire nuove culture, però, l’ha condotta all’interno degli ambienti poco rassicuranti dei club notturni. Qui, infatti, lavorando come hostess, ha incontrato l’inquietante figura di un uomo d’affari di successo che, con il tempo, si è rivelato essere un maniaco sessuale seriale. Così, attraverso l’opera d’indagine della polizia nipponica e il desiderio di ottenere giustizia da parte della famiglia di Lucie, si è riusciti a dare un volto e un nome ad un mostro, sconvolgendo la società nipponica e la sua illusione di sicurezza perenne.
Tra i vari generi contenuti all’interno della piattaforma di Nettflix, il true-crime rappresenta uno di quelli più prolifici e maggiormente apprezzati dal pubblico. Al suo interno, però, oltre ai prodotti di fiction conquistano l’attenzione del pubblico soprattutto i documentari in cui vengono ricostruiti dei crimini realmente accaduti. Si tratta di un genere che, nel corso del tempo, ha riscosso grande successo, andando ad approfondire una tematica entrata già di diritto nella cultura popolare o nell’immaginario delle persone.
Un esempio perfetto sono alcuni titoli come Dahmer – mostro: la storia di Jeffrey Dahmer o Sulla scena del delitto: il caso del Cecil Hotel, teatro della misteriosa morte di Elisa Lam, rimasta ancora irrisolta. A questi si aggiunge ora il documentario girato da Hyoe Yamamoto che, com’è possibile evidenziare nella recensione di Missing – Il caso Lucie Blackman, mette in moto un’importante riflessione sociale, mostrando come lo stesso delitto sia riuscito a sconvolgere e toccare la sensibilità di due culture agli antipodi.
La trama di Missing – Il caso Lucie Blackman: storia di una ragazza scomparsa
Lucie è una creatura vivace e curiosa, ansiosa di conoscere il mondo. Finiti i suoi studi, infatti, decide d’iniziare a lavorare come assistente di volo per la compagnia di bandiera British Airways. In questo modo pensa di poter viaggiare facilmente e soddisfare la sua esigenza di nuove esperienze. Un lavoro che riesce ad appagare le sue curiosità solo parzialmente. Presto, infatti, sviluppa l’idea di lasciare l’impiego e trasferirsi per un anno in un paese straniero per viverne effettivamente la quotidianità. Il luogo scelto è il Giappone, una meta che l’ha sempre attirata per la sua cultura millenaria e complessa. Oltre a questo, poi, tra la fine degli anni novanta e l’inizio del duemila, il concetto di luogo sicuro sembrava essere inoppugnabile, anche per una grande metropoli come Tokyo.
Nonostante questo, però, bastano solo tre settimane dal suo trasferimento per dare inizio ad una tragedia immensa e dalla fine drammatica. In quel lasso di tempo, infatti, Lucie trova alloggio presso una guest house, inizia a lavorare come hostess per un locale all’interno di uno dei quartieri predisposti alla vita notturna e, misteriosamente, scompare. A lanciare il primo allarme è proprio il titolare della stanza dove alloggia. Non vedendola per oltre tre giorni, infatti, inizia ad insospettirsi. Per questo motivo chiede aiuto ad un suo amico giornalista e, successivamente, contatta la polizia locale. Dopo i primi momenti di titubanza le autorità avvisano la famiglia in Gran Bretagna della presunta scomparsa.
Da quel momento inizia un conto progressivo di quasi 200 giorni in cui, prove ed indizi, sollevano un vero e proprio vaso di Pandora destinato a sconvolgere l’opinione pubblica e la sensibilità sociale dei giapponesi. Per Lucie, purtroppo, ogni intervento è ormai vano ma, grazie al suo caso, si è riusciti a far luce su una serie di violenze e delitti di cui, fino a quel momento, anche le vittime erano praticamente ignare. Adescate e poi drogate da un facoltoso uomo d’affari, infatti, venivano abusate sessualmente ed utilizzate, a detta della polizia, come se fossero delle bambole. Le prove sono raccolte in oltre 200 videocassette trovate in una delle abitazioni dell’uomo. Un materiale che i detective hanno visionato e che ha lasciato un segno indelebile sulle loro coscienze.
Dialogo fra culture
Il documentario realizzato da Hyoe Yamamoto segue una struttura molto classica all’interno della quale la graduale reperibilità delle prove porta alla costruzione della narrazione. In questa architettura narrativa così prevedibile, dunque, ciò che fa la differenza è soprattutto l’elemento umano che, in particolare, si evidenzia in un confronto costante tra culture. Soprattutto nelle fasi iniziali del procedimento d’indagine intorno alla scomparsa della giovane Lucie, infatti, gioca un ruolo essenziale il dialogo tra le autorità nipponiche e Tim Blackman, il padre della ragazza. Un confronto che ha sempre viaggiato su dei toni collaborativi ma che, all’inizio di questo lungo percorso, ha messo in evidenza delle difficoltà comunicative frutto di due culture agli antipodi.
In questo senso la preoccupazione dell’uomo e la sua esigenza di arrivare quanto prima ad una soluzione viene avvertita dalla polizia come una sorta d’irrispettosa forzatura. Le laconiche e sintetiche risposte ottenute, invece, agli occhi dell’uomo rappresentano una sorta di disinteresse o, comunque, la decisione di sottovalutare il caso. In realtà entrambe le percezioni sono errate e sono frutto solo di un diverso modo di comunicare e concepire la collaborazione.
Per questo motivo è stato fondamentale la presenza di un elemento mediatore. Nello specifico si tratta di un giornalista britannico che, inviato da molto tempo in Giappone, è riuscito a traghettare Tim Blackman attraverso la comprensione del luogo e delle persone. Una decriptazione necessaria per arrivare al risultato finale e che, com’è facilmente deducibile dalle ultime emozionanti e drammatiche immagini del documentario, ha rappresentato un elemento d’unione. Una terra d’incontro dove poter, ognuno a modo proprio, vivere le contrastanti emozioni causate da un’esperienza così drammatica.
La caduta delle illusioni
Ordinata, sicura, dedita al lavoro. Così veniva descritta la società giapponese nonostante la caotica umanità che riempiva le strade di Tokyo. Una sicurezza di cui ogni singolo abitante era certo durante i primi mesi del 2000 ma che, di li a poco, sarebbe svanita nel modo peggiore. Il caso di Lucie Blackman, infatti, ha rappresentato un duro risveglio per la società e la cultura nipponica. Un confronto con una realtà inaspettata e con la consapevolezza, forse, di non aver fatto abbastanza o non aver voluto sollevare nessun tipo di velo. Dopo la sua scomparsa, però, girare lo sguardo altrove non è stato più possibile e l’attenzione generale, aiutata anche dai media e dalla costante stimolazione della famiglia della ragazza, ha guardato dritta negli occhi della mostruosità perdendo le illusioni che li avevano cullati fino a quel momento.
Attraverso un costante conto dei giorni trascorsi che, dal punto di vista narrativo ha lo scopo di far crescere la tensione, il documentario mostra un aspetto inaspettato. Si tratta dello sguardo spesso perso, disorientato ed impaurito dei detective locali che hanno partecipato alle indagini e di chi si è trovato a dover esaminare i reperti video dei diversi abusi sessuali subiti dalle molte vittime. In ognuno di loro, dopo anni, si rintraccia ancora una sorta di sofferenza e sconfitta personale di fronte ad una realtà inaspettata che viene rivelata nella sua crudezza più feroce. Dopo oltre 200 giorni d’indagini, infatti, è chiaro che nessuno dei protagonisti sia più rimasto lo stesso ed abbia guardato alla propria società nello stesso modo. Lo dimostrano le immagini che, con un pudore tutto orientale, si soffermano su delle mani che ancora si torturano durante il racconto o su delle pause e dei silenzi carichi di parole. Gli stessi che da oltre vent’anni accompagnano i detective sul luogo del ritrovamento del corpo di Lucie per renderle ancora omaggio.
La recensione in breve
Seguendo un'architettura classica del racconto secondo cui il racconto si dipana attraverso il reperimento delle prove, il regista riesce a consegnare una ricostruzione dal forte senso drammatico. Contribuisce alla realizzazione di questo effetto il confronto con una cultura, come quella nipponica, abituata al pudore delle proprie emozioni che, in questo caso specifico trovano una via espressiva inequivocabile. Perché il caso di Lucie Blackman ha rappresentato una sorta di perdita dell'innocenza per una società che si cullava nell'illusione di modello perfetto.
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