Il film: Mon Crime – La colpevole sono io, 2023. Regia: François Ozon. Cast: Nadia Tereszkiewicz, Rebecca Marder, Isabelle Huppert, Fabrice Luchini. Genere: Commedia. Durata: 102 minuti. Dove l’abbiamo visto: Anteprima stampa.
Trama: Madeleine e Pauline sono due giovani donne nella Parigi degli anni trenta, desiderose di trovare il loro posto nel mondo. La prima, bionda e leggermente svampita, sogna di diventare un’attrice e sposare il giovane erede di un’industria automobilistica. La seconda, invece, è un avvocato ancora privo di clienti desiderosa di mostrare il proprio talento. Nel frattempo vivono in un appartamento privo di qualsiasi comodità, evitando di pagare l’affitto e cercando di convincere il padrone di casa a rimandare lo sfratto. Una situazione potenzialmente drammatica se non fosse che le due amiche hanno tutta l’esuberanza e l’ironia tipiche della giovinezza. Qualità che, con un pizzico di furbizia e tempismo, le aiuta a cogliere al volo l’occasione giusta per farsi largo all’interno di una società al maschile.
A ventitré anni da 8 donne e un mistero e a dodici da Potiche, François Ozon è tornato a sviluppare una tra le tematiche più amate della sua cinematografia. Ovviamente il riferimento è al mondo femminile che il regista ha rappresentato più volte con un’efficacia particolare. Ozon, infatti, è riuscito a consegnare storie in cui la forma, amplificata dal colore e dallo stile scelto, si mette a disposizione del contenuto. Il tutto arricchito da un’ironia particolare che, pur utilizzando un tono graffiante, non rinuncia ad una sorta d’innocenza di fondo. Una caratteristica che rende la narrazione sottilmente seducente.
Al centro di tutto questo sofisticato ingranaggio narrativo, ispirato dall’opera teatrale di Georges Berr e Louis Verneuil, ci sono due giovani attrici che stanno conquistando l’attenzione della critica. Nadia Tereszkiewicz, ha già ottenuto il Premio César come miglior promessa femminile grazie all’interpretazione in Forever Young – Les Amandiers, diretto da Valeria Bruni Tedeschi. Ad affiancarla, poi, c’è Rebecca Marder, conosciuta per il suo lavoro all’interno della Comédie Française e per il film Tromperie – Inganno, tratto da “L’inganno” di Philip Roth.
Sulle loro spalle, nonostante l’incredibile presenza di Isabelle Huppert e Fabrice Luchini, pesa gran parte del film. Una responsabilità che le due interpreti sostengono alla perfezione. Com’è facile dedurre dalla recensione di Mon Crime – La colpevole sono io, dunque, entrambe sono riuscite ad adattarsi al mondo tratteggiato e definito da Ozon.
Trama: Le difficoltà di essere donna
Come può una donna riuscire a far sentire la propria voce nel rispetto di se stessa e della propria persona in una società a maggioranza maschilista? Madeleine e Pauline si pongono questo interrogativo sedute al tavolo del loro piccolo e spoglio appartamento mentre addentano, affamate, un panino imbottito. Ad essere onesti la loro giornata non è stata delle migliori. Pauline, infatti, ha dovuto convincere con la sua inarrestabile parlantina d’avvocato, un padrone di casa ostinato a riscuotere non pochi mesi d’affitto in arretrato. Madeleine, da parte sua, si è trovata coinvolta in un indesiderato corpo a corpo con un produttore teatrale e cinematografico.
Riuscita a fuggire dalle sue avance indesiderate, si è poi confrontata con un’imprevista delusione d’amore. Il suo fidanzato, erede di un industriale parigino, ha deciso di sposare una ragazza ricca e di buona famiglia per poter finalmente regalare alla dolce Madeleine una vita comoda e confortevole. Una soluzione perfetta. Almeno dal suo punto di vista. La ragazza, però, non è certo dello stesso avviso e, per questo motivo, lo caccia dall’appartamento ponendo fine alla loro storia.
Così, un po’ sconsolate e senza una reale prospettiva per il futuro, le due amiche decidono di consolarsi con una serata al cinema. Mentre si avviano allegramente sottobraccio lungo la strada, però, non sanno che il destino si sta muovendo a loro favore in modo misterioso ed imprevedibile. Il produttore, infatti, è stato trovato ucciso con un colpo di pistola nella sua casa e Madeleine sembra essere una delle maggiori sospettate.
A suo discapito, ovviamente, il fatto di essere donna in una società degli anni trenta maschile e francamente ottusa. Eppure non tutto il male vien per nuocere. Un concetto, questo, che insieme a Pauline acquisisce velocemente provando a trarne vantaggio. Non appena le due comprendono il riscontro pubblico di un processo per omicidio causato dalla difesa personale, non tentennano ad addossare alla dolce Madeleine il delitto, anche se innocente. Da parte sua, poi, Pauline ne approfitta per indossare finalmente la toga e mostrare tutte le sue qualità forensi. Così, in un’aula di tribunale gremita di spettatori, le ragazze danno vita ad un vero e proprio manifesto femminista usando tutte le armi di cui una donna può essere capace.
Furbizia, innocenza, manipolazione ed empatia. Una miscela esplosiva grazie alla quale mettere in una posizione scomoda il punto di vista maschile e, finalmente, portare alla ribalta la difficile condizione femminile. Così, grazie ad una piccola bugia, le due amiche ottengono la vittoria e la visibilità tanto agognata. Ma cosa fare quando la vera assassina si presenta a riscuotere gli effetti positivi del suo delitto, alla luce di quanto ottenuto dalle ragazze? Ancora una volta la soluzione è giocare d’astuzia ed intelligenza manipolando un mondo maschile meno inattaccabile di quanto si possa immaginare.
Riscrivere il teatro
Per François Ozon il teatro è da sempre un punto di partenza essenziale per la sua cinematografia. Esattamente come la letteratura e lo stile vintage anni cinquanta che lo ha sempre affascinato. Per questo motivo, dunque, non sorprende che, ancora una volta, abbia fatto riferimento ad una piece storica della tradizione francese per dare forma a quest’ultimo capitolo sulla condizione femminile.
Diversamente da quanto compiuto in passato, però, in questo caso fa sentire in modo più evidente il suo tocco. Basta sfogliare il testo originale, infatti, per comprendere come il regista lo abbia rieditato, piegandolo alle proprie esigenze narrative e, soprattutto, al desiderio di leggerezza. L’opera originale di Georges Berr e Louis Verneuil ha, innanzitutto, un cuore narrativo mono femminista di quello espresso nel film.
Questo vuol dire che Ozon ha “manipolato” i concetti di fondo attribuendo una maggior forza rivoluzionaria all’insieme. Il tutto, però, utilizzando delle forme e delle atmosfere capaci di vertere essenzialmente su toni leggeri e lievi. Perché, nonostante l’importanza di quanto viene mostrato sulla condizione femminile, il messaggio riesce ad arrivare con ancora più efficacia proprio perché rifugge da qualsiasi tipi di teorizzazione o facile moralismo.
Immagine e moda
Per riuscire nel suo intento Ozon si affida ad un elemento essenziale della narrazione: l’immagine. Questo, infatti, definisce il ritmo della narrazione e, soprattutto, la sua ambientazione. il regista, dunque, mette in scena una ricostruzione particolareggiata utilizzando la moda e la cinematografia del passato come la maggior forma d’ispirazione. Il suo scopo, infatti, è rifarsi ad un modello estetico femminile dei primi decenni del novecento.
Lo stesso che, per intenderci, è stato enfatizzato e portato sul grande schermo da registi come Lubitsch o di Billy Wilder. Dal punto di vista estetico, dunque, ci troviamo di fronte a due protagoniste il cui compito è riassumere diversi modelli. Madeleine, infatti, è la bionda svampita alla Marylin, mentre Pauline è la donna volitiva ed indipendente alla Katharine Hepburn. Due peculiarità caratteriali che Ozon riveste con gli abiti scivolati dell’epoca e dello stile art deco inconfondibile.
A portare la nota dissonante necessaria per rendere efficace l’insieme e più interessante la vicenda, poi, è l’immagine attribuita al personaggio di Odette Chaumette. Attrice del passato praticamente dimenticata interpretata da Isabelle Huppert, la sua entrata in “scena” produce una cacofonia estetica essenziale. Leggermente scarmigliata e vestita con abiti di fine ottocento, sembra essere una creatura in arrivo da un passato lontano che, però, è ancora ansiosa di un futuro mai arrivato. In questo senso, dunque, l’abito diventa elemento narrativo essenziale per andare a definire l’ambiente esterno in cui si muovono le protagoniste ma, soprattutto, per raccontare i passi compiuti dalle protagonsite nella propria affermazione personale.
Il ritmo della parola
Pochi registi riescono a realizzare film tanto densi di parole e dialoghi come François Ozon. Nelle sue storie ogni vocabolo è ponderato e definito con attenzione. Per questo nulla sembra essere accessorio o risuonare come un orpello di cui è possibile fare a meno. Un esercizio di valutazione complesso, dunque, che Ozon ha messo in pratica anche e soprattutto per Mon Crime. Pur rifacendosi alle atmosfere tipiche del genere giallo d’epoca e riproducendo il ritmo serrato di una screwball comedy d’annata, il linguaggio utilizzato risuona di modernità e attualità.
E non solamente per il messaggio femminista che veicola. Piuttosto proprio per la scelta linguistica che, nella ritmica serrata di dialoghi svolti a velocità intensa, trova uno stile con cui esprimersi alla perfezione. Fatta eccezione per le prime immagini d’apertura, dunque, la parola diventa protagonista assoluta di questa storia mettendo a dura prova il talento delle due protagoniste.
Nadia Tereszkiewicz e Rebecca Marder, infatti, si sono sottoposte a dei lunghi giorni di prova e di lettura del copione per arrivare ad una piena padronanza delle battute e, soprattutto, della velocità con cui queste vanno a definire le diverse scene. Un’impresa certo non semplice se ci si confronta con due professionisti della parola come la Huppert e Luchini. Nonostante questo, però, il dialogo risuona in ogni sua sfumatura, lasciando spazio a quella sottile ironia leggermente caustica che, se prodotta da una voce femminile, mostra note d’intelligente malizia.
La recensione in breve
François Ozon torna ai ritmi della commedia con l'ultimo definitivo capitolo della trilogia sulle donne. Partendo da una piece teatrale degli anni trenta, riesce ad arricchire il testo con un linguaggio ed una tematica contemporanea. Il tutto traendo ispirazione dai ritmi serrati della screwball comedy. In questo caso, però, la classica "battaglia dei sessi" raggiunge dei livelli più alti, facendosi portavoce della condizione femminile e di un nuovo manifesto per l'autoaffermazione. Il tutto, però, arricchito da un tono lieve e sottilmente malizioso.
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Voto CinemaSerieTV.it