Il film: Nanny, 2022. Regia: Nikyatu Jusu. Cast: Anna Diop, Michelle Monaghan, Sinqua Walls, Morgan Spector. Genere: Horror. Durata: 97 minuti. Dove l’abbiamo visto: Su Prime Video.
Trama: Aisha è un’immigrata senegalese che inizia a lavorare per una famiglia benestante. Con il nuovo lavoro arrivano però terrificanti visioni e incubi che la riportano nel suo paese d’origine e dal figlio che è stata costretta a lasciare indietro.
Arriva su Prime Video Nanny l’horror psicologico presentato al Sundance Film Festival. Il film diretto da Nikyatu Jusu (al debutto come regista) è capace di affascinare il pubblico dando vita sullo schermo a un immaginario unico nel suo genere, radicato nel folklore africano e nelle credenze della sua protagonista, ma non riesce a catturare quanto dovrebbe per una narrazione dal ritmo troppo rilassato e senza il giusto mordente.
Come vedremo in questa recensione di Nanny, al centro di questa storia c’è Aisha, una babysitter di origini senegalesi che vorrebbe realizzare il sogno di portare suo figlio negli Stati Uniti. Il racconto che la vede protagonista ruota attorno a diverse tematiche, ma principalmente è legato alla maternità che le viene negata e alle conseguenze del distacco dal suo bambino sul suo equilibrio psico-emotivo. Jusu, che è figlia di un’immigrata della Sierra Leone che lavorava come collaboratrice domestica, riesce a dipingere con pennellate decisamente chiare e incisive la realtà vissuta da Aisha e da tutte le donne come lei, costrette a crescere i figli degli altri mentre i propri le aspettano a casa. Peccato, però, che se da una parte il film colpisce per il ritratto che fa del mondo interiore di questa categoria di persone, dall’altra fallisce in quello che dovrebbe forse essere il suo scopo principale: costruire e mantenere alta la tensione, ingrediente fondamentale per un horror psicologico di questo tipo.
La trama: Aisha spera in una vita diversa
Aisha (Anna Diop) è una giovane immigrata senegalese che, dopo aver abbandonato la vecchia vita nel suo paese d’origine, sta cercando di costruirsi un futuro negli Stati Uniti. Insieme al nuovo lavoro come babysitter per una famiglia borghese – la madre Amy (Michelle Monaghan) è una donna in carriera, suo marito Adam, interpretato da Morgan Spector, è un fotografo di guerra distratto e poco presente – viene anche la possibilità di realizzare un sogno: portare suo figlio Lamine a vivere con sé.
Inizialmente insieme alla piccola Rose tutto sembra andare per il meglio, con il tempo però la donna comincerà ad essere perseguitata da incubi e strane visioni; qualcosa di sovrannaturale – che solo lei riesce a vedere – sembra averla presa di mira. Dal Senegal sembrerebbero averla seguita terrificanti entità e magiche creature: che vogliano punirla per aver lasciato indietro Lamine? O è il senso di colpa che la donna prova a manifestarsi in questo modo?
Il folklore africano
Oltre alla sua capacità di rappresentare in maniera efficace la vita degli immigrati di oggi in un paese straniero, l’altro pregio del film è quello di mescolare alla storia il folklore africano, portando sullo schermo un immaginario unico e a suo modo estremamente affascinante. Le figure di Anansi e Mami Wata – entrami simboli di resistenza e sopravvivenza per le persone oppresse – forniscono una chiave di lettura interessante a quanto accade alla protagonista, stimolando la curiosità dello spettatore. Portarle nel contesto quasi asettico, grigio e freddo della casa dei suoi nuovi datori di lavoro è capace di creare un contrasto originale e che colpisce.
Il sogno americano di Aisha mano a mano va ridimensionandosi, mettendo in luce la vera natura della famiglia per cui lavora: da una parte la distaccata Amy, che pur dimostrandosi cortese la tratta con sufficienza, non pagandola mai quanto dovrebbe, dall’altra il padre Adam, che si comporta in maniera fin troppo amichevole, ma che è completamente disinteressato nei confronti della famiglia e dei problemi che l’affliggono. Una rappresentazione realistica della situazione vissuta da tante donne come Aisha, in balia di una società bianca che le sfrutta per i propri comodi.
È qui che entrano in gioco Anansi e Mami Wata, entità moralmente grigie ma che incarnano perfettamente la rabbia di chi viene ingiustamente sottomesso.
Un horror che non spaventa
Una narrazione in parte estremamente intrigante ma che, come vi anticipavamo inizialmente, fallisce in quello che dovrebbe essere lo scopo primario di un film di questo tipo: costruire la tensione, coinvolgendo così lo spettatore. La parte più meramente horror di Nanny risulta piatta e poco incisiva, lasciando chi è alla ricerca di brividi ed emozioni decisamente deluso. Anche la conclusione, che dovrebbe essere il momento di climax in una storia di questo tipo, non ha alcun tipo di mordente, risulta un po’ affrettata e meno interessante di quanto gli spunti disseminati nel corso del film avrebbero fatto presagire. Un vero peccato, perché se il film di Nikyatu Jusu non avesse trascurato il suo lato più spaventoso per concentrarsi esclusivamente sulla critica sociale sarebbe potuto essere davvero memorabile. Tra gli horror che parlano della società in cui viviamo, trasformandola in un incubo capace di scuotere e – soprattutto – spaventare e mettendone così in luce le criticità, ci sono alcuni degli esempi in assoluto più riusciti di questo genere: per questo, purtroppo, Nanny ci lascia addosso la sensazione di una grande occasione sprecata.
La recensione in breve
Nanny riesce a portare su schermo un immaginario affascinante, ma fallisce nel coinvolgere lo spettatore e - soprattuto - nel costruire la tensione. Peccato irreparabile per un horror.
- Voto CinemaSerieTV