Il film: Patagonia, 2023. Regia: Simone Bozzelli. Cast: Andrea Fuorto, Agostino Mario Russi. Genere: Drammatico. Durata: 112 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al cinema.
Trama: Yuri è un ragazzo rimasto bambino. Un giorno incontra Agostino, che lavora come clown alle feste di compleanno ed è deciso, risoluto, libero. Ne rimane affascinato e decide di partire assieme a lui.
Il nome di Simone Bozzelli è uno di quelli che potreste aver già sentito. Fa scuola in regia nel Centro Sperimentale di Cinematografia, realizza diversi cortometraggi tra cui J’ador che viene premiato in occasione della 35. Settimana della critica, dirige il video di I Wanna Be Your Slave dei Måneskin, vincitore del Best Alternative Video agli MTV Music Award. Insomma, è uno di quei giovani talenti italiani emergenti, da attenzionare e sopra una piccola cresta dell’onda. Soprattutto ora che ha debuttato anche con un lungometraggio presentato in anteprima al Festival di Locarno 2023. Una storia di marginalità – come tanto interessa al nuovo cinema italiano che nasce e si sviluppa oggi – e di affetti sghembi, sincopati, morbosi. Ne parliamo in questa recensione di Patagonia.
La trama: lasciarsi l’infanzia alle spalle
Al centro ci sono due giovani. Il primo è Yuri (Andrea Fuorto, lo abbiamo visto ne L’arminuta), che vive in un puntino indefinito e spoglio della costa abruzzese. Ha quasi vent’anni, i genitori non ci sono e se lo rimpallano le zie un mese sì e l’altro pure. Lo trattano come un bambino mai cresciuto: gli fanno fare piccole commissioni durante il giorno, gli fanno il bagno, lo vestono di vestiti più piccoli della sua taglia. La sua vita è questa. Indefinita, incubata in un eterno bozzolo.
Un giorno incappa nell’altro giovane di Patagonia. È Agostino (Agostino Mario Russi, all’esordio), che vive in un camper derelitto e per campare fa il clown-intrattenitore alle feste di compleanno. Ha i capelli tinti di un rosso acceso, la faccia e il corpo coperti di piercing. Dice di voler essere libero, di non voler pagare l’affitto per ficcarsi dentro un loculo di cemento e quindi si sposta di continuo tra un rave e l’altro. Yuri ne rimane affascinato e parte con lui, mollandosi l’infanzia alle spalle.
Una storia senza principe azzurro
Ma quella di Patagonia non è una storia di principi azzurri. È una storia di vite che si arrabattano con quello che trovano. È la storia di un vissuto incrostato di sporco. C’è sporco ai lati di queste strade di una provincia sterminata, sorda, senza prospettiva (l’aveva tratteggiata bene anche Margini poco tempo fa), c’è sporco nel camper di Agostino, c’è sporco sui vestiti, sulla pelle, sotto le unghie.
È un rapporto contaminato quello che Bozzelli descrive tra i due. Contaminato soprattutto dalle dinamiche di potere che legiferano con bontà un secondo prima, con quasi crudeltà l’istante successivo. Una relazione di dipendenza, che si svela e scopre poi reciproca, tratteggiata sopra lo schema della ricompensa e della punizione. Agostino parla, promette, ordina. Vuole. Yuri, che è piccolo perché da piccolo lo hanno sempre trattato, ascolta, crede, obbedisce.
Alcune ridondanze, ma con ottime qualità di fondo
Ed è interessante come questa struttura di controllo e di possesso – cioè di una relazione tossica a tutti gli effetti, nonostante un finale che al netto della complessità è probabilmente un pelo troppo conciliante – si ascrive all’interno di un mondo, quello dei rave, chiamato invece a descrivere il senso di indipendenza.
Qui Patagonia giostra con i volti, con le routine, con le mansioni, costruendo i cerchi concentrici in cui Yuri rimane invischiato e che il film racconta molto anche attraverso l’uso di parecchi riferimenti, metafore ed analogie sulla libertà e sullo stare in gabbia – peccandoci un poco sopra in maniera scolastica. Rimane comunque indubbio che Bozzelli sappia come lavorare sulle prossimità relazionali (il modo molto spontaneo in cui Yuri evolve reagendo alle schizofrenie di Agostino), con gli attori (Fuorto regge l’emotività del film con un’ottima prestazione) e con la macchina da presa (spesso al posto giusto, sopra i giusti dettagli).
Patagonia è un esordio composto e sentito. Si attiene al restare aderente a questi due corpi che sussistono l’uno sull’altro, non fa il passo più lungo della gamba e per il momento è giusto così. Sottolinea un po’ qua e là, si accerta di specificare l’assorbimento totale a una condizione insostenibile. Ma funziona e introduce al palcoscenico un nuovo talento che sarà interessante seguire da qui in poi.
La recensione in breve
Patagonia, esordio alla regia di un lungometraggio di Simone Bozzelli, è un film composto e solido. Al netto di alcune sottolineature di sceneggiatura un poco scolastiche, la prima opera cinematografica del regista già premiato per i suoi corti mostra gli interessanti spunti di un giovane talento da seguire.
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