Il film: Perfect Blue, 1997. Regia: Satoshi Kon. Cast: Junko Iwao, Rica Matsumoto, Shinpachi Tsuji, Masaaki Ôkura, Yôsuke Akimoto, Yoku Shioya, Hideyuki Hori, Emi Shinohara, Masashi Ebara, Kiyoyuki Yanada, Tôru Furusawa, Shiho Niiyama, Emiko Furukawa. Genere: Animazione, thriller, horror, drammatico. Durata: 81 minuti. Dove l’abbiamo visto: Al cinema, in lingua originale.
Trama: Mima, una cantante popolare, decide di lasciare la sua band per iniziare una carriera come attrice. L’immagine saccente e zuccherosa di questa icona pop si infrange quando Mima deve recitare in scene di stupro di gruppo e apparire nuda.
A chi è consigliato? A chi non ha paura di esplorare gli aspetti più torbidi, inquietanti e pericolosi che gli strumenti e le minacce del nuovo millennio hanno portato.
Se c’è un film d’animazione che rimarrà sempre sulla bocca degli appassionati di anime e non solo, questo è senza dubbio Perfect Blue. Diretto da Satoshi Kon, il film è stato presentato in anteprima nel luglio 1997 durante il Fantasia International Film Festival (Canada); arrivato poi nelle sale giapponesi nel febbraio dell’anno successivo, ha incassato oltre tre milioni di yen ed è diventato rapidamente un successo di critica e di pubblico. Nel 2024, arriva per la prima volta al cinema in Italia come evento speciale nelle giornate del 22, 23 e 24 aprile (qui l’elenco dei cinema dove vederlo), dimostrando, ancora una volta, quanto mai profetica fosse la visione di Satoshi Kon, che ha dato vita al thriller più buio e sordido a un passo dal nuovo millennio sporcando l’animazione. Tratto dal romanzo di Sadayuki Murai, Perfect Blue è stato un testo audiovisivo seminale, che ha ispirato tantissimi registi: primo fra tutti, Darren Aronofsky, rimasto talmente colpito dal film da acquistarne i diritti e inserire una sequenza omaggio all’anime nel suo Requiem for a Dream (2000).
Come vedremo nella nostra recensione di Perfect Blue, il film di Satoshi Kon ingloba alcune delle idee postmoderne per antonomasia, prime fra tutte l’iperrealtà e i simulacri, per mettere in discussione ciò che si dava per scontato in relazione alla società e al nostro libero arbitrio. Tematiche su cui stiamo riflettendo oggi più che mai, chiedendoci se siamo davvero padroni delle nostre azioni e fino a che punto può spingersi il potere dei mass media, di Internet e della sovrastimolazione a cui siamo esposti nel XXI secolo. Perfect Blue, alla fine, parla di questo, dei limiti della realtà e della volontà: fino a che punto siamo noi e non qualcun altro?
La perfezione si perde nel blu dell’inquietudine
Già dall’efficace apertura di Perfect Blue si può già intravedere quello che sarà il conflitto principale del film: la pressione che Mima Kirigoe, la protagonista, subisce in relazione alla sua decisione di abbandonare la carriera musicale di idol per dedicarsi alla recitazione. Mima viene mostrata come un personaggio allegro, ma sottomesso a molteplici interessi esterni. Subirà le pressioni della sua famiglia, del suo manager Rumi e della casa discografica, tra gli altri: questa decisione è la causa scatenante della particolare evoluzione psicologica dell’ex cantante, che viene esplorata nel corso del film.
Lo sviluppo della trama inizia con l’arrivo a casa della protagonista dopo il suo ultimo concerto, dove rende pubblico il suo ritiro dal gruppo CHAM!. Viene mostrata una Mima più umana, con scene quotidiane che ci fanno entrare in empatia con lei (usa i mezzi pubblici, fa la spesa, dà da mangiare al pesce, chiama la madre…). Nonostante ciò, è proprio qui che appaiono i primi barlumi di follia in Mima, quando riceve un fax e una telefonata sospetta: soprattutto, quando si imbatte in una pagina web, su cui sono scritti i suoi pensieri più intimi, che si verifica il momento decisivo di divergenza tra realtà e fantasticheria. La protagonista entra gradualmente in una spirale di deliri e allucinazioni che alla fine porteranno lo spettatore a dubitare di ciò che è reale e ciò che non lo è: l’intera trama ruota attorno alla paranoia di Mima, causata dalla pressione dell’industria e dalla sua ansia di fare la cosa giusta.
Oltre al conflitto principale, apparirà un alter ego della protagonista, frutto della sua immaginazione. Si tratta di una “Mima” nel costume con cui si esibiva come Cham, che interpreterà il ruolo della voce della sua coscienza, ma più sordida e oscura. Fa le sue apparizioni in proporzione al livello di alienazione dell’attrice, a partire da brevi riflessi nel finestrino dell’auto e raggiungendo il massimo livello nella scena finale, con uno straziante inseguimento da parte dell’illusione. Questa Mima “immaginaria” rappresenta la memoria della cantante: un “ciò che avrebbe potuto essere” che si radica nella psiche di Mima e anche in quella dello stalker che inizia a perseguitarla. Entrambi si aggrappano, in un modo o nell’altro, al passato.
Le parole contenute nel sito annebbiano la mente della protagonista fino a livelli insospettabili, e lei inizia a sentirsi continuamente osservata, guardata con una lente d’ingrandimento. Inizia a dedicarsi al suo nuovo lavoro seguendo l’infame ossessione di liberarsi dello stigma di “brava ragazza”: in questo mondo, tutto è permesso. Con il disprezzo dei registi e degli sceneggiatori per la bellezza unica e naturale di Mima, unito alla sua smania di cambiare immagine, le scene indecenti e i servizi fotografici sconci cominciano a susseguirsi. Ora che è diventata un prodotto per il divertimento di un altro gruppo, non è cambiato nulla. È ancora schiava delle opinioni delle masse e ancora sottomessa agli ordini e alle intenzioni dei suoi superiori, con l’aggravante di essersi guadagnata l’odio di tutto il suo ex gruppo di seguaci. Utilizzando magistralmente le riprese della serie come filo conduttore, Kon ci fa vedere attraverso gli occhi di Mima. La realtà inizia a confondersi, non sapendo esattamente quando si è sul set e quando si è nel “mondo esterno”. Lo smarrimento è una sensazione comune durante la visione, che fa sì che lo spettatore soffra dello stesso disagio della protagonista e i salti temporali diventano sempre più frequenti.
Scambiare una fantasia con un’altra: il vortice dell’ossessione
Il film è una rappresentazione crudele – e in certi punti molto realistica – di cosa sia lo show business, di cosa significhi essere una idol e di quanto sia difficile liberarsi di quella maschera affascinante con cui il pubblico ti vede. Nel corso del film, assistiamo alla caduta di Mima in un abisso in cui nulla è ciò che sembra e dove i problemi psicologici sono ricreati in modo tale da farci entrare nella mente della protagonista e sentire sulla nostra pelle il suo smarrimento, la sua stanchezza e la sua ansia. Oltre a cercare di affrontare questi problemi personali, Mima si occupa di mostrarci cosa succede dietro le quinte, il lavoro dei rappresentanti (più o meno discutibili), l’ossessione dei fan che non esitano a percorrere la strada più pericolosa pur di farti apparire come vorrebbero… Un percorso che potrebbe far disperare chiunque e in cui le decisioni non vanno prese alla leggera.
La presentazione iniziale di Mima come idol ricorda molto le cantanti k-pop di oggi: sia il personaggio che i cantanti reali sono “fabbricati” per costruire un’immagine che assomigli alla “perfezione”. Mima è così, una sorta di ragazza perfetta vivente che, nonostante il suo status di persona normale, si esibisce sempre come personaggio fittizio per i suoi fan. Quando Mima decide di diventare attrice, anche se alcuni fan contestano la sua decisione, ciò che fa è scambiare una fantasia con un’altra: se prima Mima viveva la fantasia di essere perfetta, ora deve produrre fantasie dal suo corpo, con la recitazione. In effetti, vivere dentro la fantasia, essere un’attrice, potrebbe persino sembrare più “reale” della vita precedente di Mima.
Nel 1997, il potenziale di Internet e delle reti sociali era all’ordine del giorno, quindi non sorprende che si speculasse sull’imminente iperglobalizzazione. Celebrità e top model occupavano le copertine delle riviste e in Giappone stava nascendo una nuova industria musicale, brillante e torbida in egual misura. Tutto questo contesto è compresso in Perfect Blue, dove Satoshi Kon esplora una pop star fagocitata dall’industria attraverso un approccio psicologico e un’atmosfera inquietante.
L’idol di ieri profetizza l’oggi
L’intero film ricrea l’archetipo dell'”idolo giapponese”: il prototipo della ragazza (in alcuni casi adolescente) che raggiunge la fama con un grande team alle spalle, incaricato di studiare attentamente ogni aspetto della sua personalità e del suo fisico. A lei, viene richiesto di essere competente nel canto, nella recitazione e, naturalmente, nel posare e sfilare come modella. La sua musica è puramente commerciale e le è concessa poca libertà creativa; l’Idol si limita a essere il volto pubblico di una sovrastruttura, spesso controllata dalle case discografiche. Per questo motivo, nonostante la loro fama, sono considerate artiste di secondo piano e alcune persone preferiscono non essere associate a loro. Inoltre, la loro vita privata è spesso oggetto di dibattito pubblico. L’ipersessualizzazione, l’età precoce in cui raggiungono la fama, il peso della gestione di un’industria milionaria e la pressione estetica a cui sono sottoposte sono, tra gli altri fattori, le ragioni del loro ritiro prematuro dalla vita pubblica… se l’industria non se ne è già occupata.
Si dice che l’iperrealtà sia uno stato fondamentale della società postmoderna: è il regno in cui si entra quando la coscienza non è più in grado di distinguere la realtà dalla fantasia, e tutto diventa un simulacro, completamente identificabile con la condizione sviluppata dalla protagonista nel corso della trama, che, vittima della società e, nello specifico, dell’industria, viene disumanizzata e trasformata in un mero prodotto di consumo, giustificando così la sua dissociazione dalla realtà. Mima è stata derubata della sua unicità e quindi si trova disorientata, cercando di capire chi è attraverso la follia in cui è precipitata. La sua immagine pubblica, quella che mostra al pubblico (il suo avatar elaborato e studiato da terzi, il suo “simulacro”) e la sua immagine più intima si sono intrecciate.
Incubo plurimo per malformazioni infinite di una realtà – illusione
La perdita del senso di realtà. La graduale rottura della capacità di discernere il confine tra il “mondo reale” e le allucinazioni. Il suddetto senso di colpa genera in Mima il bisogno di creare un alter ego, una versione di sé che non sia stata “sporcata” dalla società corrotta in cui ha deciso di entrare. Una vera Mima. Una Mima perfetta. La follia offusca la visione della protagonista, e allora capiamo che è possibile che nulla di ciò che abbiamo visto sia reale. Satoshi Kon gioca con i doppi sensi: le somiglianze tra la sceneggiatura della serie e gli eventi della “vita reale” sono troppo simili. Autentici momenti di lucidità si mescolano, si dissolvono e si confondono con scene apparentemente senza senso. La maestria narrativa del regista è sorprendente.
Utilizzando un’estetica con una chiara tendenza al macabro e all’espressamente sgradevole, una deliberata rappresentazione di un antagonista ripugnante, insieme a una tavolozza di colori in cui spiccano il rosa e il rosso, utilizzando i toni verdastri e grigi come simbolo di insicurezza e disagio, fino a raggiungere il terrore più puro, il regista vuole trasmettere un’incertezza senza pari, utilizzando il visivo come un altro elemento della narrazione. Tratta dell’oggettivazione delle donne, del machismo, dell’infantilizzazione delle masse, delle pratiche usa e getta dei produttori nei confronti delle star mediatiche, persino di un inizio di sindrome di Stoccolma da parte di questi stessi giovani artisti o, se non altro, di una cervellotica accettazione del fatto che la strada da seguire è quella socialmente imposta. Inoltre, affronta molto bene le molestie che i fan e il pubblico in generale compiono su Internet, portate all’estremo dell’ossessione patologica da parte di alcuni fan mentalmente instabili.
Un’escalation di terrore e pura, umanissima, follia
Perfect Blue è delirio su delirio, colpo di scena su colpo di scena e il medium animato mantiene lo spettatore in un’atmosfera da thriller, senza mai lasciare che il linguaggio onirico prevalga sull’orrore dell’inseguimento. La deformità della realtà offre domande, ma non toglie mai lo spettatore dall’atmosfera di tensione e pericolo. L’ambiente (inizialmente) colorato di Mima viene assorbito dall’animazione complessiva, cupa e noir, e la regia gioca un ruolo da vecchia scuola in questo contesto, ricordando gli slasher e aggiungendo persino un tocco hitchcockiano nelle scene di omicidio, nell’idea di sottigliezza di una linea di orrore crescente fino al culmine.
Satoshi Kon utilizza la portata artistica virtualmente illimitata dell’animazione per offrire il surreale nell’estetica cupamente realistica di un horror psicologico sull’ossessione, la persecuzione e la follia. Perfect Blue è la lenta escalation di un incubo, in cui la protagonista inizia a confrontarsi con la fama, l’industria dell’arte e il suo senso di scopo, finendo in conflitto con un antagonista ossessionato e, infine, con la crescita di tutti questi terrori nella sua distorsione della realtà. Che cosa è reale? Chi è lo stalker? Chi è Mima? Sono molte le domande che vengono sollevate durante questo viaggio ai confini dell’ossessione e, dopo i titoli di coda, ciò che rimane allo spettatore – tanto del 1997 come del 2024 – è l’esperienza sensazionale, disorientante e ossessiva della splendida immaginazione di Satoshi Kon.
La recensione in breve
Con un lirismo sottile ma palpabile, Perfect Blue parla della bellezza, della debolezza nel prendere la via più facile, dell'incessante ricerca della perfezione, della tendenza a compiacere le masse ad ogni costo e del crollo mentale di persone sottoposte a un dispotismo che le costringe a superarsi. Alla fine, la nebbia che offusca i sensi può essere dissipata solo da se stessi.
Pro
- La maestria con cui il mezzo animato diventa soggetto dell'orrore
- Forma e contenuto collidono per concedere accesso allo spettatore a una psiche instabile
- Rimane una delle riflessioni più terrificanti - e attuali - sullo svuotamento di personalità
Contro
- Non è un film facile da digerire: è difficile prendere le distanze dal terrore, dall'incertezza e dall'angoscia che attanagliano Mima.
- Voto CinemaSerieTv