Il film: Poisoned – Il pericolo nel piatto, 2023. Regia: Stephanie Soechtig. Genere: Documentario, investigativo. Cast: Darin Detwiler, Bill Marler. Durata: 82 minuti. Dove l’abbiamo visto: Netflix
Trama: Condizioni antigieniche, rapporti di sicurezza contraffatti, accuse di corruzione. Un documentario esplora le controversie dell’industria alimentare statunitense.
Il luogo del crimine di cui si parla nel documentario di Stephanie Soechtig, Poisoned – Il pericolo nel piatto, non è una stanza misteriosa. Né il vicolo oscuro di una qualsiasi capitale del mondo: è il supermercato. Ed è proprio tra gli scaffali di un negozio come tanti che inizia la storia narrata in questa produzione, disponibile da oggi su Netflix. Con l’aiuto di Bill Marler, avvocato specializzato nella tutela dei consumatori, la regista racconta una delle più grandi (e taciute) piaghe della società americana: la diffusione di malattie mortali legate al cibo.
O meglio, delle pessime condizioni che portano alla commercializzazione di prodotti alimentari scadenti di vario genere. Un documentario che si inserisce nel solco di altri lavori simili come What the Health e The Game Changers (il cui sequel verrà diretto proprio dalla Soechtig). E che non può non lasciare l’amaro in bocca, letteralmente. Ecco, allora, la recensione di Poisoned – Il pericolo nel piatto.
Da un piccolo pericolo…
Sul finire degli anni ’80, lo Stato di Washington fu colpito da una strana epidemia di Escherichia coli 0157. Si tratta della variante molto tossica di un batterio che è già presente nel nostro intestino, senza però avere alcuna conseguenza letale. Nel caso specifico, invece, il batterio provocò la morte di diversi bambini. Ma come e perché si diffuse quella patologia rara? La risposta arrivò dopo poco.
Fu tutta colpa degli hamburger poco cotti della catena Jack in the box. La mancata cottura non eliminò di fatto la presenza del batterio, entrato in contatto con la carne macinata a causa delle pessime condizioni degli allevamenti. L’escherichia coli, infatti, è legato agli escrementi, che in qualche modo avevano contaminato le carni poi utilizzate per il macinato. L’azienda era a conoscenza che gli hamburger non fossero cotti a sufficienza. Questo bastò per spingere Marler a intentare una causa, vinta.
… a un pericolo più grande
Partendo da questo fatto e con la collaborazione di Marler e di altri testimoni importanti come il padre di una bimbe morte in seguito ad assunzione di hamburger, la Soechtig racconta con piglio molto energico, senza fare sconti, la gigantesca operazione di oscuramento del problema portato avanti dalle aziende in primis e successivamente dal governo federale. Che nonostante la presenza di tanti organi preposti a controllare la qualità dei cibi messi in vendita, USDA e FDA per citarne due, non ha mai realizzato leggi specifiche.
Preferendo invece dare tutta la responsabilità agli acquirenti. Come dire, sei tu, massaia del Kentucky, a dover cuocere bene il pollo o l’hamburger che dai ai tuoi figli. E le aziende? Tutte all’apparenza sarebbero immacolate. Non importano le condizioni terribili a cui sottopongono gli animali. O il fatto che proprio queste condizioni possano causare malattie. Ad esempio quando le deiezioni del bestiame inquinano le acque, che a loro volta vengono usate per irrigare (e avvelenare) le verdure. Se una cosa fa guadagnare, si prosegue a farla nella stessa maniera.
Un copione che si ripete
Restiamo sempre affascinate davanti a lavori come questi. Non a caso abbiamo citato What the health e The Game Changers. La maestria di questi documentaristi (la Soechtig ha firmato altri doc importanti come Fed Up, Knock Down the House e The Devil We Know) si manifesta tutta nella capacità di raccontare i fatti in maniera empatica, senza però rinunciare all’analisi di ogni singolo avvenimento. Le domande sono incalzanti. L’autore mette spesso e volentieri in difficoltà l’intervistato (non importa quanto sia stato addestrato dal suo publicist, la caduta è in agguato, fosse anche solo con un’espressione del viso).
Tutto è scrupolosamente dettagliato. L’unico problema è, appunto, la somiglianza tra produzioni simili, che seguono un canovaccio identico. Prima si presenta il problema, poi si raccolgono le testimonianze, infine si chiude il cerchio con un epilogo amaro. A ben guardare, questo schema forse è l’unico possibile quando si parla di temi importanti legati alla salute, ma la sensazione che si prova è di trovarsi davanti a un prodotto preconfezionato. Pur se di eccellente qualità.
Non c’è soluzione. O forse sì.
L’America è un mondo a sé. Tutto negli USA è gigantesco. Tutto diventa spettacolo. E a tessere i fili del racconto sono spesso e volentieri le grandi multinazionali, le lobbies, i gruppi d’interesse. Se qualcuno si muove per far approvare una legge che, per esempio, renda la salmonella un agente inquinante per il cibo (al momento non è così, perché è considerata parte integrante del processo produttivo delle uova e di pollame), subito si muovono i grandi oppositori.
Le grandi class action possono portare un sollievo momentaneo alle vittime d’ingiustizia. Ma il governo federale non si muoverà mai. Che senso hanno allora documentari come questo se poi nella stanza dei bottoni non si schiacceranno mai quelli giusti? Innanzitutto, a conoscere certi meccanismi tossici. Conoscerli nelle loro dinamiche più profonde, intendiamo, e non solo per sentito dire. E poi per agire in maniera più consapevole da acquirenti. Meglio ancora, da esseri umani affettivi.
L’indignazione che non c’è
Tra conflitti di potere, insabbiamento, protezione del proprio orticello (inquinato), la domanda chiave è sempre la stessa: come si esce da questo meccanismo tossico? La risposta che dà Stephanie Soechtig è tenere sempre gli occhi aperti. Consiglio più che mai sensato, che tuttavia avrebbe avuto bisogno di un sostegno più marcato. E di un pizzico di indignazione in più.
Ecco, forse manca la zampata finale, quella che scatena le coscienze per considerarlo un documentario pienamente riuscito. Nel caso specifico, per eliminare l’escherichia coli da un hamburger basta effettivamente cuocere bene la carne all’interno. Tuttavia, una riflessione sulle condizioni terribili degli allevamenti intensivi, veri responsabili della diffusione di infezioni batteriche, avrebbe dovuto essere fatta. Anche solo per capire il vero cuore della questione. Ossia lo sfruttamento inumano di ogni genere di risorsa per il proprio tornaconto personale.
La recensione in breve
Nonostante la ripetitività del canovaccio che lo rende simile a tanti altri documentari del genere, il lavoro della Soechtig è ben riuscito e smaschera con una certa efficacia le azioni di certe aziende alimentari. Manca forse la zampata finale, quella che scatena le coscienze.
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Voto CinemaSerieTV