Il film: Poker Face, 2022. Regia di: Russell Crowe. Genere: Noir. Durata: 89 minuti. Dove l’abbiamo visto: Alla Festa del Cinema di Roma.
Trama: IL giocatore d’azzardo professionista Jack Foley riunisce i suoi amici di una vita in una villa di campagna isolata con la scusa di una partita a poker, ma i motivi sono ben altri. Le cose si complicano ulteriormente con l’arrivo di una banda di ladri.
Sembra quasi un prologo alla Stephen King l’attacco del film scritto (anzi riscritto), diretto e interpretato dalla star Russell Crowe, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, dove il divo dalla voce inconfondibile e suadente riceverà un premio alla carriera. Come accennavamo, incipit kinghiano, con un gruppo di ragazzi che si riunisce sul costone di un laghetto e viene minacciato da un gruppo di bulli, capeggiato dal fratello di uno di loro. Ma le similitudini con lo scrittore del Maine finiscono qui, in quanto i due gruppi non risolvono le divergenze a sassate, come in It, bensì tramite una partita a poker. È proprio del gioco d’azzardo con le carte più famoso al mondo, nonché dell’azzardo come modalità esistenziale, che parleremo in questa nostra recensione di Poker Face.
La trama: dei giocatori e una villa isolata
Jake Foley (Russell Crowe) è un giocatore d’azzardo professionista che ha fatto fortuna sviluppando, nel 1994, il primo software per giocare a poker online, in seguito riadattato dai governi come sistema di sorveglianza dei cittadini, per conoscerne abitudini e vizi. Jake invita i suoi amici d’infanzia (quelli del prologo alla Stephen King) nella sua villa iper-tecnologica di campagna con la scusa di una partita a poker. In realtà ha in mente un piano ben preciso, tramite il quale mettere alla prova i suoi amici per portare alla luce alcune verità taciute troppo a lungo.
A complicare la situazione interviene una banda di ladri che si introduce nella villa per rubare le preziose opere d’arte contenute, nonché l’arrivo della figlia, avuta da un precedente matrimonio con una moglie ormai defunta, e dell’attuale compagna.
Toni e generi altalenanti
Dopo il prologo vagamente kinghiano il film di Crowe sembra prendere una strada onirica, nel momento in cui vediamo Jack che contempla un’opera d’arte in un museo e, con un montaggio alternato piuttosto serrato, entriamo nella sua mente, saltando da un ricordo a un altro. Ma questo flusso di coscienza dura poco, perché veniamo subito introdotti nei preparativi della reunion con gli amici di una vita, e non si tornerà più a quel registro visionario.
Questo alternarsi di toni a cui assistiamo fin dall’inizio costituisce la debolezza di Poker Face, film che non sa bene che strada prendere, tra la pellicola sui giocatori (alla Rounders con Damon e Norton per intenderci), e il film d’assedio in stile Panic Room, oppure ancora il noir a puzzle in cui, dietro una messinscena ingegnosa, in questo caso una partita a poker, si vuole in realtà scoperchiare il marcio di alcuni personaggi. Il tutto dovrebbe trovare una sua coerenza tematica, nonché un senso unificante, in un monologo di Jack/Russell Crowe che apre e chiude il film sulle scelte che si fanno nella vita e sulle loro conseguenze.
Un film sul poker senza il poker
Peccato che questa narrazione fuori campo, dal sapore genuinamente retrò, non basti affatto a tenere insieme una narrazione piuttosto confusa, in cui nessun personaggio esce fuori come dovrebbe. Il racconto sorvola superficialmente sui rapporti tra i protagonisti e sulle loro motivazioni, per cui allo spettatore non importa più di tanto del loro destino. Né il piano di Jack per coglierli in fallo è così ingegnoso e imprevedibile.
L’intervento del gruppo di malviventi nella villa non fa che confondere ulteriormente le acque, facendo deragliare per un po’ la storia nella classica situazione di assedio, risolta in modo decisamente frettoloso e poco avvincente. Inoltre il poker come gioco, e come possibile metafora di vita, non viene affatto esplorato: non a caso il minutaggio dedicato alla partita a carte è davvero breve. Per un film che si chiama Poker Face è ben strano. Per una volta possiamo affermare che, nello stesso campo da gioco, il cinema nostrano sfornò già un piccolo grande capolavoro, e cioè Regalo di Natale (1986), di Pupi Avati, sublime metafora sul gioco e sulla vita, a cui il film di Crowe non può proprio accostarsi.
Una lavorazione difficile
Sono dunque purtroppo evidenti i problemi di questo film che, sulla carta, poteva essere molto interessante, ma che, purtroppo, ha subito le conseguenze del primo lockdown, evento che lasciò il progetto senza regista. Crowe è dunque intervenuto per salvare la situazione, riscrivendo la sceneggiatura in pochi giorni e assumendo le redini della regia. Da quest’ultimo punto di vista il film è girato con tutti i crismi, tramite un utilizzo della macchina da presa dinamico e affabulante e un montaggio che, almeno inizialmente, segue una scansione temporale tutta interna alla psiche del personaggio.
Al netto di questo rimane però una sceneggiatura raffazzonata, con personaggi poco approfonditi e una storia poco avvincente, senza un vero centro narrativo. Sebbene il carisma di Crowe rimanga indiscutibile e intatto, donando comunque valore con la sua sola presenza a ogni scena del film, purtroppo il suo coinvolgimento non basta a salvare un noir fiacco e dimenticabile.
La recensione in breve
Poker Face è un noir sul poker dove di gioco d’azzardo c’è ben poco e la storia risulta fiacca e confusa, indecisa su quale strada prendere con personaggi poco accattivanti. Si salvano il carisma indiscutibile di Crowe e, in parte, l’approccio visivo dell’attore/regista.
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