Il film: Possessor del 2020. Regia di Brandon Cronenberg. Cast: Andrea Riseborough, Christopher Abbott, Jennifer Jason Leigh, Sean Bean. Genere thriller, sci-fi, horror. Durata: 103 minuti. Dove l’abbiamo visto: su Prime Video, in lingua originale.
Trama: Tanya Vos è un’assassina per conto di un’ignota organizzazione. Per compiere gli omicidi si impossessa del corpo di persone vicine alla vittima designata. Quando assume l’identità di Colin per uccidere il padre della sua ragazza, noto magnate dell’hi-tech, le cose degenerano in maniera irreparabile.
Possessor arriva qui in Italia con due anni di ritardo rispetto al resto del mondo e finisce direttamente sulla piattaforma streaming Prime Video. Giunto al suo secondo lungometraggio dopo l’interessante Antiviral (2012), Brandon Cronenberg prosegue nel percorso d’esplorazione di una propria dimensione cinematografica, senza tuttavia esimersi del tutto dai riverberi che echeggiano dall’opera di suo padre, il più celebre David.
Non che si voglia necessariamente tracciare la rotta nell’ingombrante confronto tra i due, ma è tuttavia difficile ignorare i punti di contatto che legano il lavoro di Brandon alle iperboli del visionario genitore. Come vedremo nella nostra recensione di Possessor, il film è contenuto all’interno di una cornice minimalista e asettica, parte dal corpo per sfruttarlo come vascello nel tentativo di addentrarsi nel dedalo della mente, di esplorare le derive della perdita dell’identità nell’epoca del virtuale e della videosorveglianza estrema.
La trama: omicidi da remoto
Dopo un incipit battezzato in una rabbiosa esplosione di violenza incontrollata, seguiamo le vicende di Tanya Vos (Andrea Riseborough), agente operativo per una non meglio identificata organizzazione segreta. Il suo lavoro è commettere degli omicidi da effettuare attraverso lo scambio di corpo con persone vicine alla vittima designata, destinate poi a suicidarsi ad atto compiuto.
Una volta individuato l’obiettivo di questo switch d’identità, Tanya può accedervi da remoto e prenderne il controllo diretto come se si trattasse di un nuovo avatar. Al termine di ogni missione ci vuole un po’ perché Tanya torni in sé e si riappropri completamente del suo io, ma tutto sembra essere nella norma, perlomeno fino a quando non riceve l’ultimo incarico.
L’obiettivo è il pezzo grosso di una società hi-tech di data mining (Sean Bean) e per avvicinarlo Tanya deve impossessarsi del compagno della figlia del magnate, Colin (Christopher Abbott). Da qui Possessor cala la sua protagonista in una spirale di progressivo disallineamento tra realtà esperita e realtà percepita, dove lo scollamento fa la spola nella lotta interna per il dominio del corpo tra Tanya e il suo legittimo proprietario.
Un allucinato vortice tra violenza e voyeurismo
Lasciando sullo sfondo la vena da thriller che tiene assieme una storia tutto sommato esile, Cronenberg spinge sulla superficie dello schermo le fatiche che Tanya compie nell’immedesimarsi in una nuova realtà che stavolta pare volerla sputare fuori, espellere.
Il corpo la rigetta e Possessor gioca la sua inquietudine sovrapponendo i piani e creando allucinazioni visive e sonore. La questione dello sconfinamento del voyeurismo e delle conseguenze che questo comporta pare chiara anche in alcune ridondanze che mescolano le storture del presente alle minacce del futuro. Come ad esempio nel frangente in cui ci viene mostrato il lavoro di estrazione dati di Colin, che indossato un visore di realtà virtuale si intrufola in webcam e dispositivi privati partecipando, non visto, all’intimità di sconosciuti.
Se da un lato la scelta di prediligere un tono dilatato, giostrato più sul percettibile che sul concreto accadimento degli eventi aiuta ad acuire un’evidente sensazione di malessere, dall’altro il film non si immerge mai realmente nell’esplorazione dei temi che accarezza e si limita a suggerire, come quello del parallelismo tra violenza fisica e distruzione della privacy.
Un film che non supera il proprio concetto
Pare insomma che Possessor si faccia bastare un certo tipo di speculazione da ricostruire un po’ a fatica a tavolino, dove il nodo sta in una buona costruzione dell’asfittico contesto che inciampa in personaggi di fondo poveri di carattere.
Il film si lascia quindi prendere da alcune interessanti vertigini che rimangono però tutto sommato epidermiche, incapaci davvero di superare il gap tra profondità del postulato e gli improvvisi strappi di estreme conseguenze che operano più sul piano della suggestione che della riflessione. In alcuni frangenti è un film che oscilla maggiormente dalle parti del cinema puramente concettuale di Jonathan Glazer, come Under the Skin, che quelle di Cronenberg padre, che eppure sopravvive in una visione del corpo come oggetto integrabile, martoriabile, fluido.
Sarà a questo punto interessante vedere dove andrà a parare in futuro la carriera cinematografica di un autore che sta ancora mettendo in linea le sue idee, tra lo scalpitare nel tentativo di avere una propria voce e un’ingombrante eredità.
La recensione in breve
Brandon Cronenberg arriva al suo secondo film con Possessor, opera che tenta di trovare la propria via con uno sguardo a metà tra le derive di un futuro possibile e le pulsioni di Cronenberg padre. Un film che riesce più a suggerire che a formulare un proprio discorso, a tratti inquietante ma anche eccessivamente adagiato su questa inquietudine.
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