Il film: Quel posto nel tempo, del 2022. Regia di Giuseppe Alessio Nuzzo. Cast: Leo Gullotta, Beatrice Arnera, Giovanna Rei, Tomas Arana.
Genere: drammatico. Durata: 87 minuti. Dove lo abbiamo visto: all’ anteprima stampa.
Trama: Mario è un anziano direttore d’orchestra affetto da Alzheimer che si è ritirato in un resort in Inghilterra. Un evento che riguarda la figlia Michela, da sempre trascurata, lo riporterà nella sua città di origine, Napoli, ad affrontare i suoi fantasmi e sensi di colpa.
Ammettiamolo, abbiamo difficoltà a pronunciare il nome delle malattie. Spesso, preferiamo usare giri di parole che ci danno la sensazione di allontanare ed eludere la malattia e tutto ciò che ne consegue. Il film scritto e diretto da Giuseppe Alessio Nuzzo e interpretato da un vibrante ed emozionante Leo Gullotta, in uno dei suoi migliori ruoli, affronta di petto la sindrome dell’Alzheimer (di cui si celebra oggi la giornata mondiale) e non teme di restituircela in tutta la sua terribile realtà e, soprattutto, irrealtà.
Anzi, è proprio sul confine labile che si viene a creare nella psiche del protagonista ammalato, tra mondo reale e immaginazione, che l’opera seconda di Nuzzo si gioca le sue carte narrative migliori. Cercheremo dunque anche noi di affrontare questa recensione di Quel posto nel tempo con altrettanta sincerità nei confronti di un film che affronta con coraggio un tema tanto delicato.
La trama: Mario, la musica e i ricordi.
Il direttore d’orchestra in pensione Mario, che ha vissuto sempre e solo per la musica, trascurando gli affetti, si è ritirato in un resort di lusso in Inghilterra, dove conta di trascorrere ciò che gli resta da vivere in balia della sindrome dell’Alzheimer, di cui soffre già da tempo. Mario viene assalito da improvvisi ricordi che lo scollegano dalla realtà e lo fanno piombare in una dimensione alternativa, in cui Amelia (Giovanna Rei), la moglie morta è ancora viva e il rapporto con la figlia, trascurata e abbandonata, è ancora recuperabile. Un evento che riguarda appunto la figlia Michela (Beatrice Arnera), lo riporta a Napoli, città d’origine, ad affrontare i propri fantasmi e sensi di colpa.
Narrazione come flusso di coscienza
La memoria umana non segue connessioni di causa ed effetto, ma ha invece una sua logica interna ed emotiva. A maggior ragione, la psiche di una persona affetta da Alzheimer segue traiettorie temporali insondabili e imprevedibili, facendo balzi improvvisi che possono essere scatenati anche dall’ascolto di una semplice melodia, magari collegata a un ricordo in particolare. È questo infatti che viene efficacemente illustrato dal dottor Bennet, medico e amico di Mario, interpretato da Tomas Arana (volto noto di tanti film americani da Guardia del corpo a Il gladiatore).
In base a questo meccanismo erratico della mente affetta dalla malattia, il regista Nuzzo costruisce una narrazione onirica, ondivaga, che accompagna Mario nei suoi ricordi e, con lui, fa piombare lo spettatore in oasi temporali avulse dal presente della narrazione, finché anche quest’ultima si sfalda, facendo perdere quasi totalmente la bussola a chi guarda, fino a immergerlo nello stato di disorientamento di chi si trova a vivere la sindrome dell’Alzheimer in prima persona. È in questo riprodurre il meccanismo psichico malato del protagonista, facendolo vivere in prima persona allo spettatore, che Quel posto nel tempo trova la sua cifra stilistica e narrativa più felice.
Anche stilisticamente, giocando con la profondità di campo, ovvero nell’uso di inquadrature volutamente fuori fuoco, Nuzzo rende la metafora del non riuscire a mettere a fuoco la realtà, tipica dei malati di Alzheimer. Il vagare desolato di Mario in una Napoli notturna, svuotata e spettrale, restituisce infine la solitudine e il senso di spaesamento del protagonista.
Felici coincidenze
Non possiamo non pensare a una felice analogia con The Father, film del 2021 di Florian Zeller, in cui c’era una altrettanto intensa immersione nella mente di un malato di Alzheimer, magistralmente interpretato da Anthony Hopkins, premiato tra l’altro con l’Oscar. Ma si tratta solo di una felice coincidenza, poiché le origini del film di Nuzzo sono precedenti alla pellicola di Zeller: risalgono infatti a un cortometraggio del 2016, Lettera a mia figlia, interpretato da Leo Gullotta che già all’epoca abbracciò il progetto. Il corto vinse numerosi premi italiani e internazionali e fu acquistato perfino dalla Universal, dunque espanso in un lungometraggio che è stato già presentato alla 79° Mostra del cinema di Venezia.
I cassetti della coscienza
Se c’è un effetto che Quel posto nel tempo sortisce molto bene è quello di, per usare le parole dello stesso regista, “aprire dei cassetti nella coscienza dello spettatore”, che non si sapeva di avere o che si riteneva di tener chiusi per sempre. Soprattutto è nel rapporto con la figlia, una bravissima e intensa Beatrice Arnera, verso la quale Mario prova enormi sensi di colpa, che si gioca il fulcro emotivo del film, in cui viene naturale, per qualunque spettatore, proiettare i propri rapporti irrisolti con un padre, una madre o un figlio, a seconda dell’età. È dunque davvero difficile che la pellicola di Nuzzo non smuova qualcosa nell’animo di chi guarda, imponendo un confronto inevitabile con i propri fantasmi.
Lo stupore di Leo Gullotta
Non era facile rendere lo spaesamento di Mario di fonte a una realtà che non riconosce senza scadere nel patetico e quindi nel registro dell’emotivamente ricattatorio. Ma lo stupore di Leo Gullotta nei confronti di un reale respingente e sconosciuto, dunque ostile, è sincero, diretto e privo di orpelli. Il suo disorientamento e il suo dolore sono tangibili, palpabili. Basti la scena in cui Mario vede sé stesso davanti allo specchio, in cui vede riflesso un anziano in cui non si riconosce, essendo la sua psiche rimasta a quando era più giovane.
Il paradosso della malattia
C’è inoltre un’ulteriore osservazione da fare riguardo il personaggio di Mario: la condizione in cui vive come malato di Alzheimer è in realtà simile a quella che viveva da sano. La ragione risiede nel fatto che, quando era ancora pienamente cosciente di sé, Mario viveva già in un mondo tutto suo, fatto soltanto di musica, la sua principale ragione di vita, dal quale escludeva la moglie e la figlia. Paradossalmente, la condizione della malattia e l’immersione totale nei ricordi, gli ha regalato una maggiore consapevolezza riguardo le sue mancanze come padre, che cercherà di sanare durante il suo soggiorno napoletano.
La recensione in breve
Il film di Giuseppe Nuzzo tratta un tema molto delicato, come quello dell’Alzheimer, con coraggio e delicatezza, facendoci vivere dall’interno il disagio e il disorientamento di una psiche in balia di sé stessa. Difficile non commuoversi di fronte al rapporto conflittuale e doloroso del protagonista, roso dai sensi di colpa, con la figlia, e di fronte all’interpretazione vibrante e sincera di Leo Gullotta.
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