Il film: Rapito, del 2023 Diretto da: Marco Bellocchio Cast: Fausto Russo Alesi, Enea Sala, Barbara Ronchi, Fabrizio Gifuni, Paolo Pierobon. Genere: Drammatico, storico. Durata: 125 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Cannes 2023 in lingua originale.
Trama: Nella Bologna del 1858 il piccolo Edgardo Montara viene portato via, dalla Chiesa, ai suoi genitori di religione ebraica, dopo essere stato segretamente battezzato. Avrà inizio una lunga lotta da parte della famiglia Mortara per riavere il bambino…
Non c’è alcun dubbio che siano anni fortunati per Marco Bellocchio: la brillante carriera del regista italiano non accenna a fermarsi, dopo Il Traditore (2019) ed Esterno Notte (2022), anche il suo trentunesimo film è presentato in concorso al Festival di Cannes. L’ultima sua opera è ancora ispirata ad una storia vera, ma questa volta ci riporta indietro nel tempo, in una Bologna di metà Ottocento, raccontandoci un caso che all’epoca fece un’enorme scalpore: il “rapimento” da parte della Chiesa del piccolo Edgardo Mortara, bambino di religione ebraica che venne battezzato all’insaputa dei suoi genitori.
Come vedremo in questa recensione di Rapito, il film di Marco Bellocchio manca forse del coraggio e della voglia di sperimentare di altri suoi titoli, ma è comunque capace di trascinarci in una storia affascinante ed emotivamente coinvolgente. Un’opera a tratti visivamente splendida e che colpisce per la sua feroce critica contro il mondo ecclesiastico, che dimostra ancora una volta lo spessore della voce e dello sguardo di Bellocchio nel nostro cinema.
La trama: Il papa rapitore
La storia si apre nella Bologna del 1858: in una notte di giugno alcuni ufficiale della gendarmeria dello Stato Pontificio (che all’epoca comprendeva ancora la città emiliana) si presentano alla porta di Momolo Mortara (Fausto Russo Alesi), rispettabile padre di famiglia di religione ebraica. I gendarmi sono stati incaricati di prelevare il piccolo Edgardo (Enea Sala), di sei anni, uno degli otto figli di Momolo e di sua moglie Marianna (Barbara Ronchi). Il bambino è stato battezzato in segreto e all’insaputa dei genitori quando ancora era in fasce: ora per la legge della Chiesa è un vero cristiano e non può continuare a vivere con i suoi familiari.
La disperazione e gli appelli dei genitori non servono a nulla, ed Edgardo viene portato via per essere cresciuto nello stato Pontificio. Lì il bambino incontra papa Pio IX (Paolo Pierobon) e viene costretto lentamente ma inesorabilmente a dimenticare le proprie origini e la propria religione. I Mortara però non si arrendono e non smettono di lottare per il loro bambino: la famiglia porterà l’attenzione del mondo intero sul caso e con il tempo riuscirà ad ottenere che padre Feletti (Fabrizio Gifuni), l’inquisitore che aveva dato per primo l’ordine di prelevare il bambino, venga processato. Ma riusciranno a farsi restituire il piccolo Edgardo? Il bambino sarà capace di tornare alla sua vecchia vita o è ormai troppo tardi?
La critica alla Chiesa
La parte più interessante e riuscita del film di Bellocchio è senza dubbio quella dedicata all’infanzia del piccolo Edgardo (come vedremo quella finale, in cui ci spostiamo avanti nel tempo risulta fin troppo trascinata e didascalica), in cui l’autore costruisce una splendida critica all’ipocrisia della Chiesa e alla vacuità di certe sue pratiche. I continui parallelismi tra la la vita religiosa dei genitori, fatta di una ritualità familiare ed estremamente sentita, e quella che viene imposta ad Edgardo nella sua nuova vita, fatta invece di gesti e di preghiere imparate a memoria ma di cui non conosce il significato, ci parlano di un mondo forse splendido e maestoso all’apparenza, ma vuoto e crudele nelle sue coercizioni.
Davvero significativa, in questo senso, la sequenza dello Shabbat dei Mortara intervallata alla messa a cui partecipa Edgardo, in cui il bambino viene costretto a ripetere gesti e parole in maniera meccanica.
Bellocchio costella tutto il suo film di scene visivamente impressionanti, che non possono lasciare indifferenti tanto per la loro potenza formale che per il loro significato simbolico: tra queste non possiamo che ricordare quella del viaggio in barca di Edgardo verso Roma, una sorta di discesa all’inferno notturna; quella in cui il bambino libera Gesù dalla croce sgravandosi del senso di colpa che lo attanaglia; o, infine, quella in cui ci viene mostrato per la prima volta papa Pio IX, intento ad analizzare le vignette satiriche che gli sono state dedicate.
Il cast: un ottimo Enea Sala
Tra le interpretazioni più di spessore di Rapito, oltre a quelle del cast adulto ed in particolare degli ottimi Fausto Russo Alesi e Barbara Ronchi (ma anche un’inquietante Fabrizio Gifuni, che dopo l’Aldo Moro di Esterno Notte incarna il terribile inquisitore Feletti), non possiamo che soffermarci su quella del piccolo Enea Sala, che nel ruolo del piccolo Edgardo dimostra una presenza scenica davvero notevole per la sua giovanissima età.
Il personaggio ci ha invece convinto di meno nella sua versione adulta, quando è interpretato da Leonardo Maltese. L’attore, che era stato tra i protagonisti de Il signore delle formiche e che anche in quel ruolo non ci aveva particolarmente colpito, non riesce ad instaurare con il pubblico – forse anche a causa del poco tempo in scena – la stessa connessione emotiva della sua controparte bambina.
Un finale che perde di forza
Ed è qui che arriviamo a quelle che per noi sono le note dolenti di Rapito: a nostro parere, purtroppo, il film di Marco Bellocchio si perde in una parte finale sfilacciata e poco emozionante, in una conclusione che si trascina troppo a lungo e che non colpisce – sia visivamente che emotivamente – quanto invece aveva fatto tutta la porzione centrale dell’opera. Il salto temporale in avanti trasforma la narrazione in un susseguirsi un po’ didascalico di fatti, che finiscono per distaccare chi guarda da quanto sta accadendo sullo schermo.
A livello di messa in scena, poi, tutta la parte dedicata alla guerra contro lo Stato Pontificio e alla presa di Porta Pia ci è sembrata relativamente sciatta e raffazzonata, e non al livello di altri momenti del film ben più maestosi e di tutt’altra grandiosità. Anche il finale, in cui si assiste ad un ultimo confronto tra Edgardo e sua madre, risulta un po’ piatto, fallendo completamente nel coinvolgere lo spettatore: è un vero peccato, perché quelle incentrate su Marianna ed Edgardo (bambino) – in particolare il commuovente incontro dopo il rapimento – sono state tra le scene che più ci hanno toccato dell’intero film.
La recensione in breve
L'ultimo film di Marco Bellocchio colpisce per una storia emozionante e per la grande ricerca formale, delude però un po' nel confronto con le sue opere più recenti ed per un finale poco convincente e fin troppo didascalico.
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Voto CinemaSerieTV