Il film: Ritorno a Seoul (Retour à Séoul), 2022. Regia: Davy Chou. Cast: Park Ji-min, Oh Kwang-rok, Kim Sun-young, Régine Vial, Choi Cho-woo.
Genere: drammatico. Durata: 119 minuti. Dove l’abbiamo visto: al cinema, in lingua originale.
Trama: Una giovane coreana adottata da una coppia francese si ritrova un po’ per caso nel paese di nascita, e scopre di poter rintracciare i genitori biologici.
Sono talvolta curiose le logiche che portano alla scelta del film che rappresenterà una determinata nazione agli Oscar nella categoria del miglior lungometraggio internazionale (da quando è stato abrogato il vincolo della lingua nazionale, il Regno Unito propone opere di altri paesi a cui ha partecipato come co-produttore).
La nazionalità del regista Davy Chou, francese di origine cambogiana, ha per esempio influito sull’identità del titolo di cui parliamo nella nostra recensione di Ritorno a Seoul, che ha fatto il suo percorso in odore di Academy Award a nome della Cambogia (arrivando alla shortlist di dicembre che precede la cinquina definitiva), pur essendo un racconto molto coreano con elementi transalpini, liberamente basato sulle esperienze di un’amica del regista (il quale si è riconosciuto in alcuni elementi che ricordavano le vicende della sua famiglia, fuggita dalla patria prima dell’ascesa del regime di Khmer Rouge).
La trama: ritrovare i genitori
Frédérique Benoît, detta Freddie, ha 25 anni, è nata in Corea del Sud ed è stata adottata da una coppia francese. Un giorno, complice un volo annullato per Tokyo, si ritrova a Seoul, dove lega con Tena, la receptionist dell’albergo dove passerà la notte. Tramite lei Freddie viene a sapere della possibilità di rintracciare i genitori biologici, rivolgendosi all’agenzia di adozione.
La ragazza, che si dice indifferente alla cosa, va comunque a informarsi presso l’agenzia, e scopre che essa può inviare dei telegrammi ai genitori, i quali possono poi chiedere di organizzare un appuntamento con la prole o di non essere mai più contattati al riguardo. E quando arriva una risposta positiva, per Freddie è l’inizio di una nuova esperienza inattesa in un paese che non conosce veramente…
Il cast: grande scoperta
Tutto ruota attorno alla grandissima performance dell’esordiente Park Ji-min, la quale ha attivamente contribuito alla caratterizzazione di Freddie e alla (ri)scrittura di certi passaggi del film con il proprio bagaglio culturale (soprattutto per quanto riguarda la natura patriarcale di certi comportamenti coreani, con i quali Davy Chou aveva poca dimestichezza).
Il suo è un debutto a dir poco folgorante, capace di cambiare registro interpretativo all’istante ed esibire tutte le sfumature espressive e psicologiche di una persona che gradualmente cambia atteggiamento nei confronti di una realtà che la attrae e repelle allo stesso tempo, ribadendo la propria natura francese ma simultaneamente avvicinandosi sempre di più alle radici coreane. Una performance che rapidamente arriva dritta al cuore e poi non smette più di stupire ed emozionare per quasi due ore.
Identità da ricostruire
Come la sua protagonista, Davy Chou si avvicina al territorio ignoto con curiosità e trepidazione, lasciando che gli eventi si susseguano davanti ai suoi occhi. Tramite lo sguardo di Freddie, distaccato ma in realtà colmo di emozioni contraddittorie, il cineasta espone con delicatezza tutte le sfumature fisiche ed emotive di un viaggio che si fa sempre più stratificato e imprevedibile, ragionando sul passare del tempo con mirate, ponderate ellissi che accrescono la forza drammaturgica di quello che è un autentico spaccato di vita. E da quei frammenti ha origine una ricostruzione che forse non potrà ripristinare del tutto l’identità spezzata su cui la giovane si interroga, ma arricchisce quella attuale con tocchi di crudele tenerezza che stupiscono e travolgono in continuazione.
La recensione in breve
Davy Chou racconta lo spaesamento e la ricerca dell'identità con intelligenza e delicatezza, avvalendosi della collaborazione di una grandissima attrice esordiente.
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Voto CinemaSerieTV