Il film: Rumore Bianco, del 2022. Regia di Noah Baumbach. Cast: Adam Driver, Greta Gerwig, Don Cheadle, Raffey Cassidy.
Genere: black comedy, disaster movie. Durata: 136 minuti. Dove l’abbiamo visto: al Festival di Venezia 2022, in lingua originale.
Trama: Jack Gladney, docente di studi hitleriani in una prestigiosa università americana, è sposato con Babette, e ha quattro figli. La sua vita e quelle dei suoi familiari vengono sconvolte quando un incidente libera nell’aria una nube di sostanze tossiche potenzialmente mortali, che li porta a fare improvvisamente i conti con le molte illusioni con cui avevano convissuto fino a quel momento.
A tre anni dall’ottimo Storia di un matrimonio, il regista americano Noah Baumbach rinnova il suo sodalizio con Netflix e propone una black comedy variopinta e poliedrica, che parla di una famiglia e del suo sogno americano, di ansie pandemiche e disinformazione, dell’assurdità insita nei rapporti sociali e nel mondo accademico, ma, soprattutto, dell’ultimo grande mistero che ancora tormenta e affligge l’uomo contemporaneo: la morte.
Per farlo, Baumbach adatta e reinterpreta un grande classico della narrativa postmoderna, White Noise di Don DeLillo, avvalendosi di due grandi interpreti: Adam Driver e Greta Gerwig. Il risultato è un racconto vivace e provocatorio, volutamente disarticolato, che affronta e mette a nudo molti luoghi comuni e ipocrisie del mondo di oggi.
Ma approfondiamo meglio i molti temi del film con la nostra recensione di White Noise – Rumore Bianco.
La trama in breve
Jack, Babette e i loro quattro figli – Heinrich, Denise, Steffie e Wilder – conducono una vita felice, scandita da una vivace routine familiare. Jack è un rinomato docente universitario, e dopo tre matrimoni falliti sembra aver finalmente coronato la propria personale versione del sogno americano.
Un giorno, però, una fuga di materiali tossici fuori controllo li costringe a lasciare la casa, e intraprendere un’autentica odissea di fronte alla costante minaccia di perdere la vita: nubi assassine, incidenti stradali, deviazioni nella foresta e folle impazzite fanno capire ai nostri protagonisti che la quiete di ogni giorno era, in realtà, soltanto un’illusione: la morte è sempre in agguato, anche quando meno ce lo si aspetterebbe.
La sfida peggiore, però, deve ancora arrivare, e metterà a dura prova gli equilibri matrimoniali di Jack e Babette, fino a quel momento basati su una fiducia reciproca cieca e assoluta.
La struttura: un’antologia disomogenea che racconta i mille volti della morte
Sia a livello di tono che sul piano narrativo, White Noise è una storia articolata in più capitoli autonomi, più simile a un’antologia che a un racconto unitario. Nel corso delle due ore del film, i protagonisti affrontano una grande varietà di situazioni e peripezie: si parte da un ritratto satirico e dissacrante delle dinamiche sociali e familiari del mondo contemporaneo, per poi passare a una rocambolesca peripezia apocalittica che richiama il genere del disaster movie e, infine, approdare a una vicenda cupa e paradossale, all’insegna del sospetto, della gelosia e della revenge story.
Pur muovendosi sempre nel solco della black comedy, tra grottesco e surreale, il film cambia pelle a più riprese e sperimenta numerosi registri narrativi: il risultato è una storia vivace, ricca e variegata, anche se non sempre ben calibrata nella sua struttura interna.
Il filo conduttore delle molte disavventure familiari che coinvolgono Jack, Babette e i loro quattro figli è il grande mistero della morte, che dà il titolo al film e al romanzo di DeLillo: “E se la morte – si chiedono i protagonisti – non fosse altro che un rumore bianco”, ossia un suono soffuso e ovattato che avvolge ogni cosa? Nel dubbio, l’uomo preferisce non pensare affatto alla propria condizione di individuo fragile e mortale, e rifugiarsi nella propria zona di comfort, tra consumismo, vita familiare e relazioni sociali.
Paradossalmente, l’unico autentico paradiso terrestre dove l’individuo di oggi può vivere in maniera spensierata e dimenticarsi almeno per un attimo della sua eterna paura dell’oblio sembra essere il centro commerciale, da visitare rigorosamente in famiglia, avvolti dal rassicurante abbraccio della routine, delle amicizie e dei mille prodotti in offerta. Ma cosa accade quando la bolla si rompe, il velo di Maya si squarcia e la prospettiva della morte torna a fare capolino?
I personaggi: ritratto di una famiglia
Quella di White Noise è, prima di tutto, la storia di una famiglia. Jack Gladney, magistralmente interpretato da un ottimo Adam Driver, è un uomo pacato, carismatico e pieno di certezze, a cui la moglie e i figli si rivolgono costantemente per ottenere ogni genere di risposta, dalle più profonde alle più banali.
Babette (Greta Gerwig), invece, è una madre insicura, tormentata dal dubbio e da una sistematica incapacità di scegliere e decidere per se stessa: a inizio film confida a Jack che la sua vera paura non è quella di morire, bensì di sopravvivere alla scomparsa del marito e alla disgregazione della sua famiglia. Ma forse, in fondo, non lo pensa davvero…
La loro relazione, in apparenza solida e profonda, cela alcune piccole crepe che Jack sceglie ripetutamente di ignorare, nonostante le strane scoperte della figlia Denise, sempre animata da un’insaziabile curiosità nei confronti di tutto ciò che la circonda. Perché Babette assume di nascosto dal marito e dai figli una misteriosa pillola bianca che sembra non rientrare in alcun catalogo farmaceutico? Perché legge in soffitta, lontano da tutti, un libro sull’occulto? Dove si reca la sera, quando lascia la casa per frequentare i corsi organizzati dalla parrocchia?
Proprio come nel libro di DeLillo, tuttavia, i dialoghi e la vita quotidiana della famiglia non sono mai raccontati con uno sguardo realistico, bensì attraverso uno specchio deformante e iperbolico, delineando un’autentica “cronaca dell’assurdo” che viene interpretata in maniera convincente dai due attori principali.
Il mondo universitario: se il teatro prevale sulla sostanza
Oltre a essere un buon padre di famiglia, Jack è un docente rinomato, che ogni anno tiene un bizzarro corso di “studi hitleriani” in una delle più prestigiose università degli Stati Uniti. La sua intera carriera è basata sull’iper-specializzazione nozionistica che ormai caratterizza l’intero mondo accademico di oggi: Jack sa tutto di Hitler, conosce ogni minimo dettaglio della sua biografia, e la sua competenza in proposito rasenta l’ossessione.
Ancora una volta, la scelta del dittatore tedesco rappresenta un’occasione per parlare del vero filo conduttore del film: secondo Jack, infatti, la chiave di lettura del successo politico e sociale di Hitler risiede nella magnetica attrazione che i suoi seguaci inconsciamente provavano nei confronti del mistero della morte.
Le lezioni di Jack sono autentiche performance teatrali, basate sul suo carisma naturale e sulle sue eccellenti qualità oratorie: per aiutare un collega che fatica a conquistarsi una platea di studenti con il suo corso, esclusivamente dedicato alla figura di Elvis Preasley, il protagonista si esibisce con lui in un duetto frizzante e surreale, che propone un improbabile parallelismo tra i due personaggi.
Poco importa se, a conti fatti, Jack è uno studioso che non ha alcuna visione d’insieme della propria materia, e neppure conosce la lingua tedesca (che sta che cercando di recuperare in gran segreto con alcune lezioni private, senza però ottenere risultati molto lusinghieri). L’unica cosa che conta davvero è lo spettacolo, lo show, la performance e, ovviamente, il nozionismo. Anche su questo versante, White Noise propone una satira vivace e dissacrante del mondo contemporaneo, catturando le mille contraddizioni e assurdità delle dinamiche universitarie.
La crisi delle certezze di fronte alla catastrofe
Un giorno, un camion che trasporta sostanze tossiche infiammabili si scontra con un treno. Dal sito dell’impatto si leva un minaccioso pennacchio di fumo nero, ma di fronte alla prospettiva di una catastrofe, Jack sceglie di ignorare il pericolo e continua a condurre la propria vita quotidiana, esortando i figli e la moglie a fare lo stesso.
È difficile non rivedere, nei mille alibi di Jack – che dapprima considera la nube troppo lontana, poi ritiene che vista la stagione non ci sarà vento, quindi si convince che spirerà nella direzione opposta, e infine minimizza l’accaduto – l’atteggiamento di tutti noi a inizio 2020, di fronte ai primi giorni della pandemia.
Mentre l’intero quartiere si prepara all’evacuazione, la famiglia di Jack rimane ostinatamente in casa e prepara la cena come se nulla stesse accadendo: le sirene di evacuazione e gli ordini delle forze dell’ordine la colgono del tutto impreparata, e mandano improvvisamente in frantumi le certezze del protagonista e la sua credibilità di fronte alla propria famiglia, mettendo a nudo la bolla di illusioni in cui ha vissuto fino a quel fatidico momento. Ne segue una disavventura rocambolesca, contraddistinta da ritmi incalzanti, sorprendenti effetti speciali e una pregevole fotografia. Dalla folle corsa verso la salvezza emerge un’unica, drammatica verità: di fronte alla concreta e imminente minaccia della morte, ogni equilibrio sociale si dissolve istantaneamente, e l’uomo ritorna al caos primordiale.
In uno scenario del genere, ad assumere momentaneamente un ruolo decisivo non sarà Jack, bensì il figlio Heinrich, fino a quel momento confinato nell’ombra dall’esuberanza dei suoi familiari, oltre che dalla sua timidezza e dal suo carattere introverso. Di fronte al pericolo, sembrano ricordarci Baumbach e DeLillo, le vere capacità individuali tornano a prevalere rispetto alle vuote parole e ai trucchi di prestigio dell’oratoria.
Il trionfo del consumismo e la comodità dell’oblio
In antichità, il filosofo greco Epicuro aveva proposto a un suo discepolo, Meneceo, un “farmaco” contro la paura del dolore e della morte. Non si trattava di una vera e propria pozione o di un’erba, bensì di un semplice ragionamento, basato sull’accettazione razionale della propria condizione di individuo mortale: “Quando noi viviamo, la morte non c’è. Quando c’è lei, non esistiamo noi. Dunque, la morte non è nulla né per noi, che siamo vivi, né per i morti, che non sono più. Invece, la gente comune fugge la morte come il peggiore dei mali“.
In White Noise, invece, assistiamo al trionfo del consumismo e della concezione capitalistica della realtà: ogni cosa, per astratta o concreta che sia, viene introdotta e descritta come un contratto, una transazione o un prodotto in offerta, e neppure il celebre farmaco di Epicuro fa eccezione.
Un finale tra luci e ombre
Il vero obiettivo di White Noise, tuttavia, era quello di raccontare la situazione attuale dell’Occidente: il mondo dopo la paura della catastrofe e, con esso, il mutamento esistenziale che si verifica dopo che, per un istante, la bolla in cui viviamo è sembrata dissolversi per sempre. Tutto può davvero tornare a essere come prima? Il terzo atto del film fa i conti con questa domanda, tira le somme della riflessione sulla paura della morte e svela la vera natura dei molti piccoli misteri che si sono accumulati nel corso del racconto. Purtroppo, tuttavia, quest’ultimo atto risulta essere la parte più debole e meno convincente dell’architettura narrativa del film, con un ritmo narrativo non così efficace e incalzante rispetto a quanto visto fino a quel momento.
Inoltre, senza svelare il contenuto del finale, possiamo però anticipare come Baumbach abbia scelto di non adattare fino in fondo le vicende del romanzo cult di DeLillo, con una cesura anticipata che risulta indebolire l’ottimo percorso tracciato fino a questo momento. Ciò nonostante, non mancano, pure qui, alcune vette satiriche particolarmente pungenti ed efficaci, che riscattano almeno in parte il valore della sequenza finale: che cosa pensa davvero la religione di oggi del mistero della morte? Almeno le suore che gestiscono il pronto soccorso della città credono davvero nella vita eterna? O, anche in questo caso, il consumismo ha avuto la meglio?
La recensione in breve
In piena linea con il grande classico postmoderno di DeLillo da cui il film trae spunto, White Noise è un'antologia narrativa ricca, variegata e disomogenea che racconta la paura dell'uomo di fronte alla morte con un tono vivace e dissacrante. Nonostante un ritmo non sempre impeccabile, il film affascina e convince, anche grazie all'ennesima ottima performance di Adam Driver.
- Voto CinemaSerieTv