Il film: Rustin, 2023. Regia: George C. Wolfe. Cast: Colman Domingo, Chris Rock, Jeffrey Wright, Audra McDonald, Glynn Turman. Genere: Drammatico, Biografico. Durata: 99 minuti. Dove l’abbiamo visto: Su Netflix, in anteprima stampa.
Trama: Storia e proteste di Bayard Rustin, attivista per i diritti civili degli omosessuali che ha contribuito a organizzare la storia marcia su Washington tenutasi nell’agosto del 1963.
Erigete un monumento nazionale negli Stati Uniti d’America dedicato a Colman Domingo. Questo straordinario interprete americano (lo abbiamo visto al cinema in Selma e Ma Rainey’s Black Bottom, in tv nell’acclamato Euphoria) si è calato in maniera impressionante nei panni di Bayard Rustin, attivista afroamericano per i diritti civili della sua comunità e omosessuale dichiarato, tra gli autori dietro le quinte della storica marcia su Washington del 1963. Una storia, quella di Rustin, che finalmente prende la forma di un film targato Netflix ed in arrivo nella piattaforma di streaming a partire da venerdì 17 novembre.
Nella nostra recensione di Rustin, lungometraggio diretto da George C. Wolfe da una sceneggiatura a quattro mani curata dal premio Oscar Dustin Lance Black (Milk) e Julian Breece, vi narreremo dei punti di forza e di debolezza di questo canonico biopic, tessendo le lodi delle straordinarie capacità recitative dell’attore protagonista e gettando una luce adeguata sull’importanza occulta di Bayard Rustin nella storia americana delle lotte civili.
La trama: contro ogni razzismo ed omofobia
Il film firmato Netflix racconta di Bayard Rustin (Colman Domingo), attivista per i diritti civili, celebre per aver organizzato la leggendaria marcia su Washington del 28 agosto 1963. Evento ricordato soprattutto per il discorso di Martin Luther King e del suo ‘I have a dream’. Rustin, afroamericano e omosessuale dichiarato, ha sempre dovuto lottare contro le discriminazioni di cui è stato vittima. Nel 1953 fu anche arrestato a causa del suo orientamento sessuale, considerato all’epoca illegale in molti Stati americani. Nel corso della storia, l’attivista troverà numerosi ostacoli anche all’interno del movimento stesso che preferirebbe tenerlo in ombra; c’è difatti il timore che un leader gay non sia accettato e possa creare uno scandalo mediatico, compromettendo l’esito delle azioni di disobbedienza civile. Il suo potenziale di portavoce viene così sacrificato e il suo nome dimenticato dalla storia, tanto che ad oggi nei libri scolastici degli Stati Uniti d’America, alla pagina dedicata alle lotte civili afroamericane degli anni ’60, il nome di Bayard Rustin non viene mai citato a fianco di quello (ben più ingombrante) di Martin Luther King.
A rispolverare la memoria collettiva statunitense e a regalare all’attivista afroamericano il suo meritato momento di gloria ci pensa il regista George C. Wolfe, che per Netflix aveva firmato nel 2020 il premiatissimo Ma Rainey’s Black Bottom con Chadwick Boseman e Viola Davis. Nel cast di quel film di stampo teatrale, in un ruolo minore ma essenziale, c’era anche Colman Domingo, che qui torna a collaborare con il cineasta americano in un prominente ruolo da protagonista titolare, forse il primo che il prolifico interprete di cinema e tv oltreoceano accetta nella sua poliedrica carriera davanti la macchina da presa.
Un biopic che non rende giustizia a Bayard Rustin
Partiamo però dalle dolenti note: Rustin, tutto sommato, è un lungometraggio di stampo biografico che coscientemente non vuole rifuggire dalla tradizionale struttura narrativa del genere a cui appartiene. Il film Netflix diretto da George C. Wolfe e co-scritto dallo sceneggiatore premio Oscar per Milk di Van Sant, presenta neanche troppo velatamente tutti i crismi del biopic contemporaneo, tra ambizioni da lezione scolastica per grande (e piccolo) schermo, semplificazione di profili psicologici ed eventi di portata storica, fino ad una prevedibile conclusione conciliatoria. Che poi, a ben pensarci, non ci sarebbe nulla di male nel voler realizzare un film interamente dedicato ad uno degli attivisti afroamericani più importanti di sempre, anche se il risultato mal si conforma con una produzione cinematografica che sforna tutto sommato ogni anno progetti biografici ben più audaci e memorabili.
Forse perché il film di George C. Wolfe, che batte sì bandiera Netflix ma che parte come ennesimo esperimento con fini educativi dalla Higher Ground di Barack e Michelle Obama, nasce proprio per espletare questa sua valevole destinazione: educare un nuovo pubblico di utenti, spettatori e studiosi di tutto il mondo posizionando sotto la luce dei riflettori una delle voci più essenziali della lotta per i diritti civili della comunità afroamericana, di ieri e di oggi. Senza dimenticare tematiche scottanti (ma pur sempre attuali) quali razzismo ed omofobia.
Lode a Colman Domingo
Una lezione cinematografica senza fronzoli dunque, realizzata da produttori, regista e sceneggiatori con l’intento di portare a galla un personaggio di caratura storica pesante e specifica incomprensibilmente “messo a tacere” nei libri scolastici degli Stati Uniti d’America. Una scomodità, quella rappresentata dall’aura di Bayard Rustin, a cui rende sì giustizia un magnifico Colman Domingo. L’interprete afroamericano accetta di vestire i panni dell’attivista omosessuale con commovente rispetto ed amore verso il personaggio storico, imitandone alla perfezione timbro vocale, fisionomia, ironia e grinta.
Una performance attoriale che, da sola, giustifica un biopic cinematografico dai buoni sentimenti, ma che non morde e non scuote, in paradossale antitesi con l’attitudine rivoluzionaria e sprezzante invece dello stesso Bayard Rustin. Colman Domingo, seppur accerchiato da un cast omogeneo tra cui spiccano i volenterosi Chris Rock e Jeffrey Wright, risucchia tutta l’attenzione dello spettatore su se stesso e sul suo innato carisma davanti la macchina da presa, restituendoci un ritratto dell’attivista gay degli anni ’60 onesto e al contempo sensazionale.
Un manifesto programmatico di uguaglianza e libertà individuale
Che poi, a voler pareggiare i conti con gli altri elementi meno riusciti del film biografico diretto da George C. Wolfe, è alla fine della fiera un po’ un peccato. Perché Bayard Rustin avrebbe meritato di più; avrebbe meritato un posto d’onore sui libri di scuola americani (dove oggi il suo nome viene sistematicamente dimenticato a favore del suo partner in crime Martin Luther King), avrebbe meritato un film tutto suo che ne riuscisse a rispecchiare energia, imprevedibilità, rottura totale con le retrograde convenzioni sociali di una società occidentale (e non solo quella americana tra gli anni ’50 e gli anni ’60) che non riusciva ancora a fare i conti con razzismo ed omofobia interiorizzati.
Per questo motivo il film targato Netflix in arrivo nel catalogo cinematografico della piattaforma da venerdì 17 novembre, ha più il sapore (legittimo) di un manifesto programmatico di valori universali e condivisi quali l’uguaglianza sociale e la libertà individuale, che non di un progetto artistico destinato a rimanere negli annali della settima arte contemporanea. Con buona pace di Bayard Rustin, che nel corso della sua coraggiosa esistenza ci ha insegnato a vivere senza paura, pagando lo scotto di venire “cancellato” dalle pagine di Storia.
La recensione in breve
Il film biografico diretto da George C. Wolfe e scritto da Dustin Lance Black sposta i riflettori sulla storia di Bayard Rustin, tra i promotori della storica marcia pacifica della comunità afroamericana su Washington del 1963. Attivista politico ed omosessuale dichiarato, ancora non trova posto nelle pagine di storia americana, anche se Wolfe ci prova a rendere giustizia al personaggio, riuscendoci però solo in parte. Grande Colman Domingo nel ruolo titolare.
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